lunedì 10 maggio 2021
Viaggio tra i volontari e le famiglie che danno ospitalità ai minori in arrivo dallʼEst Europa. Il rinvio dei soggiorni, causa pandemia, non ha cancellato il desiderio di accoglienza
I benefici di salute per i bambini di Chernobyl che vengono nel nostro Paese sono notevoli, secondo tutti gli studi

I benefici di salute per i bambini di Chernobyl che vengono nel nostro Paese sono notevoli, secondo tutti gli studi - .

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Potòm, 'dopo', è una delle prime parole che si imparano e rimane una delle più usate. Fa parte del frasario essenziale del quale le famiglie italiane si dotano quando si preparano ad accogliere i minori in arrivo dalla Bielorussia e da alcune regioni di Ucraina e Russia per quelli che tecnicamente si definiscono “soggiorni terapeutici di risanamento”. Insomma, “i bambini di Chernobyl”, come li si chiama in modo più colloquiale ma non del tutto inesatto.

Avviata già nei mesi successivi al disastro nucleare del 26 aprile 1986, in trentacinque anni l’esperienza ha portato nel nostro Paese più di 650mila minori provenienti dalle zone contaminate. «Secondo una ricerca effettuata dall’Arpae di Piacenza – spiega Fabrizio Poli, coordinatore nazionale dell’associazione Verso Est di Roma – un mese di permanenza all’estero comporta un abbattimento medio degli isotopi radioattivi compreso fra il 35% e il 65%, ma sono stati registrati anche episodi di riduzione pari al 90%». L’ambiente salubre, l’alimentazione più ricca e variata, l’esposizione al sole (anche quando non si svolgono durante le vacanze, i soggiorni vengono effettuati preferibilmente tra la primavera e l’estate) sono i fattori che garantiscono l’efficacia dell’iniziativa, i cui effetti sono ancora più ampi, anche dal punto di vista clinico. «In molti casi si approfitta della presenza dei bambini in Italia per garantire loro visite specialistiche oppure per effettuare interventi di ortodonzia», aggiunge Bianca La Neve, che da alcuni anni è impegnata con la famiglia nei progetti dell’associazione Puer.

«L’elemento che più mi ha colpito è lo scambio che si instaura tra chi accoglie e chi viene accolto», sottolinea la scrittrice Nicoletta Bortolotti, che nel romanzo Quelle in cielo non erano stelle( Mondadori) racconta con delicatezza e precisione la dimensione più quotidiana di un’esperienza che, insiste, finora è stata troppo poco rappresentata. «Mentre mi documentavo per il libro – aggiunge – ho scoperto molte storie di legami che si sono dimostrati capaci di durare nel tempo. In più di un’occasione, inoltre, realtà nate per dare ospitalità ai bielorussi hanno ampliato il loro raggio di azione, venendo incontro ai bisogni di minori di altri Paesi o comunque in situazione di difficoltà».

È il valore di quel potòmche dà continuità e, insieme, sostiene l’azione educativa. Messi a confronto con un contesto decisamente diverso da quello al quale appartengono («Nella maggioranza dei casi – ricorda Poli – vengono da piccoli villaggi di campagna»), i bambini di Chernobyl si lasciano facilmente prendere dall’entusiasmo. Una giusta dose di pazienza li aiuta ad apprezzare di più il gusto della pizza o la compagnia dei nuovi amici. Se ben impiegato, potòm è una promessa, non un diniego.

E proprio per questo è necessario che le promesse vengano mantenute. Sotto l’urto della pandemia, purtroppo, il “dopo” ha assunto un significato molto meno incoraggiante: il rinvio dei soggiorni si è ormai ripetuto più volte, fino a suscitare la mobilitazione delle famiglie coinvolte. Su Facebook, attraverso l’hashtag #facciamolitornare, è possibile scorrere i numerosi messaggi di quanti invitano a sbloccare una situazione che si protrae ormai da oltre un anno, in un clima di continua incertezza e, specie per i bambini, di crescente sofferenza. «A marzo del 2020 – riassume Bianca La Neve – si è imposta la necessità di sospendere tutte le attività in attesa della stabilizzazione della pandemia. Con le riaperture di maggio, c’è stata la possibilità di riprendere i progetti con i Paesi dell’Unione Europea, nella fattispecie con la Lituania, ma l’approvazione del protocollo sanitario con la Bielorussia si è dimostrata più difficoltosa del previsto.

Al momento, tutto è ancora fermo, con conseguenze difficili da valutare. L’aspetto affettivo è molto importante, considerato che molti dei bambini ospitati hanno già subìto un abbandono e oggi vivono in istituto. Dalle lettere e dai disegni che riceviamo emerge un quadro di spaesamento veramente doloroso: non capiscono perché non possono venire in Italia e noi stessi abbiamo difficoltà a rispondere. Quello che non sappiamo, inoltre, è che cosa comporterà in futuro questa prolungata interruzione dei soggiorni terapeutici». La preoccupazione è condivisa da Fabrizio Poli, che attira l’attenzione su un altro aspetto: «Nel loro complesso, le cifre dell’accoglienza restituiscono un’immagine di grande generosità – dice –. Ma se le analizziamo più da vicino, ci rendiamo conto che già nello scorso decennio si è verificato un calo molto consistente.

Per l’esattezza, secondo i dati diffusi dall’ufficio Minori stranieri del ministero del Lavoro, siamo passati dai 21.914 bambini e ragazzi giunti in Italia da quest’area geografica nel 2010 ai 7.802 del 2019. Una tendenza che rischia di essere accentuata dalla stasi degli ultimi mesi. Senza trascurare il fatto che la pandemia ha colpito duramente molte delle famiglie che in passato si erano dimostrate disponibili e che adesso, trovandosi a loro volta in difficoltà, potrebbero non riuscire più a far fronte all’impegno». Una bozza del protocollo sanitario necessario per ripristinare gli scambi con la Bielorussia è stata predisposta dal ministero della Salute già nell’ottobre scorso, in vista di un’auspicata normalizzazione per il periodo natalizio.

L’andamento sfavorevole dei contagi ha ulteriormente procrastinato la decisione, ma non ha fatto venire meno l’intraprendenza delle associazioni. Tra le più attive nell’interlocuzione con le istituzioni c’è proprio la Puer, che agli inizi di aprile ha partecipato all’incontro, svoltosi a Minsk, tra l’ambasciatore italiano Mario Baldi e i rappresentanti del dipartimento bielorusso per gli Aiuti umanitari. In quell’occasione è emersa la volontà di riattivare i collegamenti nel mese di giugno, anche grazie ai voli Covid free messi a disposizione dalla compagnia area Belavia. «Nel Parlamento italiano sono state presentate diverse richieste di interrogazione – insiste La Neve –. Da parte loro, la Regione Lazio e i Comuni di Roma e Firenze hanno approvato mozioni per il ripristino delle attività, indicando una linea che altre amministrazioni locali si apprestano a seguire ».

Tutto questo è stato ribadito nei giorni scorsi dal presidente di Puer, Sergio Di Cicco, in una lettera inviata al ministro Roberto Speranza, con la quale si chiede di accelerare l’approvazione del protocollo da parte del Comitato tecnico scientifico. «Siamo consapevoli che il documento è stato preparato con grande competenza e responsabilità – conclude Poli –. Ci auguriamo che non manchi molto alla svolta». Così, finalmente, anche questa promessa potrà essere mantenuta.

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