Nella legge di Bilancio servirebbe un segnale sui congedi di paternità

Resta fermo l’impianto attuale, con il solo prolungamento fino al 14° anno del figlio, ma senza maggiori tutele economiche. La misura intanto continua a essere utilizzata soprattutto dalle madri, segno di una disparità ancora radicata
November 11, 2025
Un padre a una manifestazione indossa la maglia “Papà c'è”  / Ansa
Un padre a una manifestazione / Ansa
Pubblichiamo un intervento della sociologa delle Pari opportunità e consulente del Centro per la salute delle bambine e dei bambini (Csb) di Trieste, Annina Lubbock
Nessuna novità per i congedi nella legge di Bilancio, salvo il prolungamento al 14° anno del figlio/a del congedo parentale, senza alcun aumento di durata e retribuzione. Confermati i tre mesi di congedo, tutti trasferibili tra madre e padre (con retribuzione all’80%), ma usati, come conferma l’Inps, principalmente dalle donne: la “maggiorazione della retribuzione” decisa con l’ultima manovra si è tradotta in un aumento dell’utilizzazione del 5,3% per le donne e del 2% per i padri. Lo strumento del congedo parentale, ci dice sempre l’Inps, resta sottoutilizzato, perché complessivamente mal retribuito. Nulla c’è sui congedi riservati ai padri, che inizi a correggere una situazione in cui la responsabilità di cura continua a gravare — in Italia più che in altri Paesi a noi simili come Portogallo e Spagna — in modo sproporzionato sulle donne e nonostante la lenta, ma continua evoluzione del ruolo paterno, soprattutto fra i più giovani.
Rispetto al resto d’Europa la situazione dell’Italia è paradossale: è al primo posto in Ue per durata del congedo di maternità (anche se pagato all’80% e non al 100% come in molti Paesi europei), ma resta agli ultimi posti per congedi riservati ai padri e ben retribuiti: 10 giorni (il minimo previsto dalla direttiva Ue 2019/1158), contro le 16 settimane (elevate recentemente a 19) della Spagna e le 20 (che possono diventare 22) della Norvegia, per fare solo due esempi. E comunque restano escluse dal diritto al congedo diverse categorie di lavoratori (ad esempio gli autonomi iscritti alla gestione separata come i padri partita Iva e i lavoratori domestici). Persiste in ambiti governativi una resistenza al principio della “obbligatorietà” del congedo per i padri (non contestato per le madri), dove “obbligo” significa tutela del diritto soggettivo del genitore alla cura. Si preferisce agire sui soli congedi parentali/volontari trasferibili, sostenendo la “libera scelta” nella coppia su chi prende i congedi: peccato che i persistenti squilibri occupazionali e retributivi fra uomini e donne e una perdurante cultura che attribuisce alla donna la principale responsabilità non rendono “libera” tale scelta. Alcune associazioni datoriali - come Confindustria - si oppongono all’estensione dei congedi per i padri perché ci sarebbe «carenza di manodopera» e ne soffrirebbe la produttività, ma tutto ciò non è avvenuto in Spagna.
Una riforma dei congedi strutturale è urgente, e non solo per sanare lo squilibrio uomo-donna nella cura e rispondere alla crescente domanda, sia dei padri che delle madri — documentata da numerosi sondaggi — per un sistema di congedi che faciliti la equa condivisione e la conciliazione famiglia-lavoro. Il coinvolgimento emotivo e pratico del padre, soprattutto nei primi mille giorni, è fondamentale per la salute e lo sviluppo cognitivo, affettivo, relazionale del bambino o bambina. La ricerca ci dice anche che l’esercizio precoce da parte dei maschi di una paternità accudente ed empatica diminuisce il rischio della violenza domestica. Inoltre, i congedi presi dai padri, già nel primo anno di vita, contribuiscono all’aumento e alla stabilizzazione dell’occupazione femminile, per la quale l’Italia resta all’ultimo posto in Europa. Come confermano gli economisti del World Economic Forum (Wef), la bassa occupazione femminile costituisce un freno importante all’aumento del Pil e influisce negativamente sulla natalità. È noto, peraltro, che c’è una correlazione positiva tra condivisione della cura, parità di genere e andamento della natalità (ricordiamo su questo gli studi di Claudia Goldin, premio Nobel per l’Economia). È assai dubbio che un incentivo (come previsto dalla legge di Bilancio) ad aziende che assumono donne con tre figli e più possa stimolare la natalità e l’occupazione, anche visto che tante donne lasciano il lavoro già dopo la nascita del primo figlio, per assenza di servizi e perché l’altro genitore non fruisce di congedi. A chi obietta sul congedo più lungo per i padri andrebbe ricordato che l’Italia perde ogni anno decine di migliaia di talenti, giovani e laureati che emigrano. Una delle ragioni principali è il fatto — oltre alle migliori opportunità lavorative — di poter contare all’estero su un buon sistema di welfare. C’è da chiedersi, dunque, se non sia possibile prevedere qualche misura — concreta anche se parziale — che segnali la volontà del Governo di muovere almeno un primo passo verso una riforma vera dei congedi, normalizzando il congedo per i padri, come lo è già quello per le madri, ed estendendo il diritto a chi oggi ne è escluso. Come Centro per la Salute delle bambine e dei bambini (Csb), assieme ad altre associazioni ripresenteremo l’emendamento che avevamo presentato per il 2025, proponendo di elevare a un mese il congedo obbligatorio per i padri, di cui la metà da fruire continuativamente e dopo la nascita, e il resto entro i cinque mesi. Accogliendolo, il governo manderebbe un segnale positivo alle mamme e ai papà che reclamano a gran voce un sistema più equo e adeguato al loro desiderio di potersi prendere cura, entrambi, dei figli e delle figlie.

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