Le botte fanno male, le parole di più

Carolina Picchio è morta suicida tredici anni fa, presa di mira dai cyberbulli. Una fondazione che porta il suo nome aiuta vittime e persecutori a ricostruire relazioni sane, a superare ansie e paure
November 7, 2025
Le botte fanno male, le parole di più
In media, in un anno, i giovani tra gli 11 e i 19 anni trascorrono due mesi sul web. Moltissimo tempo, spesso vissuto un po’ allo sbando, senza un orientamento e una guida; ma immergersi nei social, nei videogiochi e nelle chat comporta molti rischi: isolarsi, per esempio, sviluppare una dipendenza o farsi tentare dalla prepotenza e diventare un cyberbullo. Colpa di internet? Ma va! Internet è solo uno strumento e come tutti gli strumenti va usato, senza farsi usare da esso. È importante saper riconoscere i pericoli e avere accanto adulti preparati che sappiano indicarli e aiutare a superarli. Questa è la missione di Fondazione Carolina, creata da Paolo Picchio nel 2018 in memoria della figlia, che si è buttata dal balcone di casa dopo esser stata presa di mira dai cyberbulli. Aveva solo 14 anni. Prima di togliersi la vita, Carolina ha scritto: «Le parole fanno più male delle botte». Dal 2018, la Fondazione si impegna perché i giovani imparino a usare internet in modo consapevole, portando nelle scuole testimonianze, organizzando corsi di formazione e facendo ricerca attraverso il proprio Centro Studi. È fondamentale conoscere bene il web e monitorare i comportamenti online per capire come cambiano, quali sono le challenge in circolazione, quali i social più usati. Se si verifica un’emergenza, la Fondazione agisce sul campo: una squadra di esperti è pronta a intervenire nei casi di cyberbullismo, revenge porn, isolamento o dipendenza digitale. Negli ultimi due anni il Rescue Team – il pronto intervento della Fondazione – ha seguito 278 casi di emergenza. Quando arriva una chiamata da una scuola o da una famiglia, un’equipe composta da psicologi, pedagogisti, avvocati ed esperti di comunicazione decide come agire: a volte basta una consulenza al telefono, altre è necessario andare sul posto, incontrare la classe e ascoltare tutti. L’obiettivo non è punire ma ricostruire le relazioni: con la vittima, con chi ha ferito, con il gruppo. Non sempre l’emergenza rientra in pochi giorni. E, poi, ci sono ragazzi che hanno ferite molto profonde nel loro intimo, che si manifestano sotto forma di ansia, depressione, ritiro sociale, dipendenza. Per loro è nato il Centro Re.Te., dove i percorsi di recupero sono più lunghi, solitamente tra i 6 e i 10 incontri. Si tratta di uno spazio accogliente, con tre stanze che somigliano un po’ a quelle di casa, in cui si viene ascoltati da un gruppo di psicoterapeuti ed educatori. «Il percorso unisce sostegno psicologico e accompagnamento educativo: si fanno i compiti, si gioca, si cammina insieme», racconta Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione. «Ogni ragazzo viene seguito anche fuori dal Centro, con attività sportive ma anche teatrali oppure con esperienze negli oratori». Il servizio è gratuito e coinvolge anche le famiglie, spesso disorientate davanti ai comportamenti dei figli. Dallo scorso aprile, quando il centro è stato aperto, sono stati seguiti 45 ragazzi. In alcuni casi, a trovare assistenza nel centro sono giovani che hanno commesso reati e che vengono inseriti in un percorso di “messa alla prova”: un’opportunità per capire gli errori commessi ed essere aiutati a ritrovare la via giusta. Tra le attività realizzate da Fondazione Carolina, ci sono anche campi estivi di “digital detox”: una settimana senza cellulare, tra trekking, orientering e attività con gli animali. «All’inizio i ragazzi faticano a staccarsi dal telefono, ma dopo poche ore se ne dimenticano. Nascono nuove amicizie, vere, faccia a faccia», racconta Zoppi. E forse è proprio questo ciò che più manca ai giovani: uno spazio fisico d’incontro e di ascolto autentico. «Il bullismo è il sintomo di un disagio più profondo – prosegue – e il vero problema è la mancanza di un mondo adulto che sia in grado di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità educative. Spesso, i primi ad abusare della tecnologia sono i genitori». Per questo, non bastano i divieti o i regolamenti, come quelli che vietano l’uso dei cellulari a scuola. Servono percorsi di accompagnamento, capaci di educare alla consapevolezza digitale e alla relazione. Perché la richiesta che arriva dai ragazzi è chiara: vogliono essere visti, hanno bisogno di adulti che li vedano e li ascoltino, non di etichette.
Il libro 
“Le parole fanno più male delle botte” è il titolo di un libro scritto dal papà di Carolina (pubblicato da DeAgostini, 15,90 euro). Picchio non racconta la storia di sua figlia – lo ha fatto innumerevoli volte ¬– ma la sua vita dopo la morte di lei. La tristezza e l’apatia, le tapparelle abbassate e la voglia di uscire solo al calar del buio. Il processo e i suoi strascichi dolorosi: gli inquirenti misero insieme le prove necessarie, arrivarono a ricostruire ciò che era successo, decisero che c’erano gli elementi necessari per istituire un processo. Con accuse gravissime: violenza sessuale di gruppo, diffusione di materiali pedopornografico, diffamazione, morte come conseguenza di altro reato. Era la prima volta che in Europa veniva istruito un processo simile a carico di minorenni, per la prima volta finivano sotto accusa anche comportamenti virtuali, aggressioni, violenze, ingiurie decuplicate nella loro potenza dalla diffusione del web.
Paolo Picchio in quel periodo stava diventando un po’ orco. Chiuso in se stesso. Finché non viene spinto a raccontare la storia di Caro nelle scuole. Ci sono tanti ragazzi in questo libro, tutti quelli che Paolo Picchio ha incontrato per spiegare quanto male si può fare quando si agisce con leggerezza. Gli incontri – racconta – seguivano più o meno lo stesso schema, cominciando in sordina (con qualche sbadiglio e gli sguardi annoiati degli studenti) per proseguire in crescendo, con momenti di grande emotività, e concludersi tra gli abbracci. Raccontava molto – confessa nel libro - ma ascoltava poco. Poi sono arrivate le lacrime di una ragazza con i capelli rossi... Niente domande finali, niente abbracci. Solo la consapevolezza di quella tristezza. E la rabbia, tanta rabbia, come la lava di un vulcano. Che la storia di Carolina si stesse ripetendo? Così, Picchio ha deciso di non voler essere un orco ma un supereroe: ha avuto l’idea di creare una fondazione nel nome di sua figlia e grazie all’aiuto di un altro Paolo l’idea della Fondazione Carolina è diventata realtà. Perché ci sono sempre ragazze e ragazzi che possono essere salvati, da un lato e dall’altro dello schermo.
La legge
A Carolina Picchio è dedicata la prima legge in Europa – è entrata in vigore nel 2018 – a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo che, fin dall’inizio, è stata pensata non solo per le vittime, ma anche per il riscatto di quei ragazzi che, spesso inconsapevolmente, danneggiano i propri coetanei attraverso le piattaforme digitali. Chi è vittima di cyberbullismo, personalmente (se ha più di 14 anni) o attraverso i suoi genitori può chiedere al sito o al social di rimuovere il materiale offensivo. Se entro 48 ore non succede nulla, si procede avvisando il Garante per la Privacy, che può obbligare la piattaforma a intervenire. Se si è certi dell’identità del cyberbullo si può segnalarlo al questore che lo convoca e lo ammonisce: gli spiega la gravità del gesto, lo invita a smettere subito e lo avverte che, se continua, ci saranno conseguenze più serie. L’obiettivo principale della legge non è punire, ma far capire agli autori di cyberbullismo la gravità dei loro gesti e aiutarli a cambiare comportamento: per esempio, un minore responsabile può essere coinvolto in percorsi di rieducazione o mediazione invece di subire subito una sanzione penale. La legge prevede anche che ogni scuola abbia un referente per il cyberbullismo e si impegni a promuovere attività di educazione digitale, rispetto online e uso consapevole della rete. Infine ma non ultimo, viene richiesto a scuole, forze dell’ordine, associazioni e piattaforme online di lavorare insieme per prevenire e gestire i casi di cyberbullismo.

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