Laura e le altre: quando una mamma non si arrende alla malattia di un figlio
La disabilità e la paura del futuro, ma anche l’amicizia e il fiorire di una sorellanza: le madri dei bambini ricoverati presso la struttura “La Nostra Famiglia” hanno deciso di raccontarsi

«Dopo l'intervento, Greta non era più la stessa. Aveva sette anni ma sembrava una bambina di pochi mesi: non si muoveva, non parlava, non apriva gli occhi, aveva il sondino, non mangiava, era carne in un letto…». Francesca è una donna minuta, voce dolce e gentile e carattere potente. Nella sua vita, come in quella di tutte le mamme ricoverate alla Nostra Famiglia di Bosisio Parini con i loro bambini, c’è un prima e un dopo, segnato da una malattia o un evento che ha causato la disabilità del figlio o della figlia.
Raccontano di questo spartiacque doloroso Laura, Maria Grazia, Emanuela e, appunto, Francesca, che approda a Bosisio con la piccola Greta dopo l’operazione al San Matteo a Pavia e un percorso di chemio e radio all'Istituto dei Tumori a Milano: «La prima volta che ha ripreso a parlare ero in lacrime, ho pensato che fosse un miracolo, perché era da cinque mesi e mezzo che non sentivo la sua voce. Ha ripreso a camminare, a fare le scale anche da sola e non con la mamma a braccetto: anche se io ci sarò sempre, un passo dietro di lei... Deve ancora migliorare, mi hanno detto che ci vuole tempo e pazienza: di tempo ne ho, la pazienza no ma me la faccio venire… Quando le dico che dobbiamo andare a Bosisio lei è contentissima, prepara la valigia e ci mette tutta la carica del mondo: sa che viene qua per lavorare e per migliorarsi e lo fa davvero».
«Durante il primo anno di vita, Kristian è stato male nel suo lettino: l’abbiamo trovato praticamente inerme», le fa eco Laura, che ripercorre le tappe dell’iter doloroso di suo figlio, dall’ipotesi di crisi ipoglicemica, alle crisi epilettiche, fino al responso del test genetico: duplicazione del cromosoma 15, una malattia rara che tocca una persona su 30mila. Oggi Kristian ha 17 anni ed è in cura alla Nostra Famiglia: «chi segue questa struttura, dalla psicologa alla genetista, è gente meravigliosa».
Giulia invece è nata con una malformazione cerebrale che le causava crisi epilettiche farmaco-resistenti: «io me ne sono accorta subito, ma per chi l’ha fatta nascere era tutto normale». Occhi vivaci e voce squillante, Emanuela è una donna battagliera: «dopo dodici giorni di vita, è stata operata all’ospedale Meyer di Firenze. Aveva tre prospettive: che eliminando i farmaci le crisi passassero, che le crisi passassero solo mantenendo i farmaci oppure che non passassero del tutto. È come buttarsi in un burrone, può andar bene oppure no. In ogni caso l'intervento era da fare, Giulia aveva 60 crisi al giorno e prendeva quattro antiepilettici…». La piccola approda alla Nostra Famiglia nel 2017, a cinque mesi di vita, e ci rimane per quattro mesi: «pian piano abbiamo iniziato a scalare i farmaci e a vedere il risveglio di Giulia. È come se lei fosse rinata a cinque mesi. So che questo è un poliambulatorio d'eccellenza, ma sarebbe una grazia per tanti i genitori se fosse presente in tutte le regioni, per i bambini sarebbe importante».
Salvatore a quattro anni si è ammalato di medulloblastoma, un tumore maligno del sistema nervoso centrale che colpisce soprattutto i bambini: «è stato operato a Catania - racconta commossa Maria Grazia – i medici ci avevano detto che non avevano mai visto un caso come il suo, che era già metastatico e che gli rimanevano tre mesi di vita… Era totalmente bloccato, non muoveva niente, parlava a stento, soltanto io lo capivo…». Maria Grazia non si dà per vinta e con Salvatore approda all'Istituto dei tumori di Milano per la chemioterapia e in seguito a Bosisio per le valutazioni fisioterapiche: la prima volta, nel 2017, sono stati ricoverati sei mesi ed ora tornano ogni anno per follow up valutativi e riabilitativi: «se lei mi chiede che cosa ha Salvatore, faccio prima a dirle cosa non ha ma, come dico sempre, a Bosisio c'è sempre un miglioramento in tutto. Ci sentiamo a casa anche se siamo a centinaia di chilometri dalla nostra e siamo circondati da persone competenti, che credono nelle capacità di Salvatore, lo spronano e lo fanno sentire capace e importante. È famiglia nel vero senso della parola».

Ascoltando queste donne ci si sente piccoli, le loro storie sembrano impossibili da sostenere. Eppure, oltre la commozione del ricordo, sono ancora capaci di sorridere, si aiutano e si infondono fiducia a vicenda. Loro la chiamano “sorellanza”, papa Francesco avrebbe detto «nessuno si salva da solo».
«La prima volta è stato un caso che ci abbiano messe in camera insieme ma quest’anno con Maria Grazia abbiamo combinato il ricovero», racconta Emanuela: «peccato che siamo lontane, io in Piemonte e lei in Sicilia». «È vero, era il 2018 ed è nata proprio una sorellanza», le fa eco l’amica: «Emanuela è la sorella che non ho, la sorella che mi manca a casa io ce l'ho qua. Poi negli anni aumentano sempre di più queste amicizie: ho conosciuto anche la mamma di Kristian, la mamma di Greta, insomma tutte persone con cui è bello condividere anche un caffè, che può essere nulla e può essere tutto, perché magari tu in quel momento hai bisogno anche di dire che sei arrabbiata… Ci capiamo con uno sguardo, tipo “Mary, tutto a posto?"»
«A volte è difficile accettare quello che capita nella vita», aggiunge Emanuela: «i problemi li hanno le famiglie tra virgolette normali, figuriamoci chi entra qua dentro… Eppure noi viviamo la disabilità in maniera… posso dire serena? Per noi questo posto è una rinascita in tutti i sensi».
«Quest'anno però è stata dura: mia figlia ha fatto la maturità e l’ho lasciata da sola. Se non avessi avuto loro sarei crollata», aggiunge Laura: «si chiama Giada ed è una luce preziosa, rara, sotto certi punti di vista per Kristian è diventata una seconda mamma. Ma io la devo tutelare e farò di tutto affinché lei e suo fratello abbiano la loro vita. Nonostante 16 farmaci, nonostante tutto, lui deve essere in grado di gestire la sua vita, pur sapendo di avere una sorella accanto. Poi ci siamo noi e ci sono i Centri, grazie a Dio».
In effetti per i fratelli e le sorelle non è facile, alcuni di loro portano dentro un po’ di rabbia, altri si caricano di un fardello pesante per la loro età: «ho lasciato Giorgia quando aveva sei anni: prima elementare, i primi dentini caduti, le prime amicizie, le prime interrogazioni, i primi compiti… non so come abbia imparato a scrivere: io non c'ero», racconta Maria Grazia. «Eppure, quando ho mandato al gruppo della famiglia alcune foto molto belle con Salvatore, Giorgia mi ha scritto “mamma, si vede il grande amore che c'è tra di voi”».
Tutto bene dunque? Assolutamente no. Queste mamme ce la mettono tutta, vedono il cambiamento nei loro figli, certe volte la rinascita, ma a lungo andare la situazione logora. «Io lavoro e due anni di congedo straordinario per un bambino non bastano: non è un anziano che lo metti in una casa di cura e sta lì». Emanuela non le manda a dire: «Giulia è stata ricoverata a zero anni di vita, i due anni di 104 sono già sfumati. È pesante seguire tante situazioni incastrate ed è impossibile prendersi un po’ di tempo per sé. Lo scriva: sulle famiglie grava il peso di tanti anni. Questa è una cosa importante da sottoporre a tutte le istituzioni, soprattutto al Parlamento».
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