Figli naturali o adottivi? Perché quella distinzione odiosa va cancellata
di Luciano Moia
A Luino un 19enne ha accoltellato a morte il padre. Alcuni hanno scritto: era un ragazzo adottato. Il Ciai: sbagliato, così si attribuisce all’adozione una connotazione negativa. E noi siamo d
Facciamo un gioco. Un gioco come tanti. Questo ha però un retrogusto un po’ amaro. Mettiamo in fila tre ragazzi, maschi o femmine non importa. Tutti più o meno della stessa età. La provenienza geografica e sociale ha scarso rilievo. Guardiamoli bene, uno per uno. Hanno una caratteristica comune, tutti e tre – come ciascuno di noi – sono figli. Ma chi sarebbe in grado di distinguere tra loro un figlio naturale da uno adottivo, un figlio con genitori viventi da un figlio orfano? Anche perché, a pensarci bene, tutti e tre sono in qualche misura naturali e adottivi. Tutti e tre hanno o hanno avuto i genitori. Tutti e tre, se Dio concederà loro la grazia di morire dopo il loro papà e la loro mamma, saranno prima o poi figli orfani. Un figlio, una figlia, è tale perché ha ricevuto un dono straordinario e irripetibile, la vita. E questo basta. Le modalità, le condizioni presenti, la situazione in cui si trova rispetto alle relazioni familiari o alla legge, non hanno davvero alcuna importanza. Ciascuno di noi nasce come figlio naturale, secondo cioè le modalità stabilite dalla natura, che neppure la procreazione medicalmente assistita può ancora sovvertire. La pma può favorire, accelerare, agevolare, ma non stravolgere. Senza un gamete femminile e senza uno spermatozoo maschile – comunque combinati - nessuno viene al mondo. È la natura. Siamo tutti figli naturali.
Ma nascere non basta. Se non è desiderato, amato, accudito, accompagnato dai suoi genitori nessun figlio può immaginare di sopravvivere. Attenzioni, cure, premure, sostegno che diventano una forma di adozione ideale. Ogni figlio, al momento della nascita, viene di fatto “adottato” dai suoi genitori che decidono – con una volontà implicita e di fatto espressa senza il bisogno di consensi istituzionali e di carte bollate – di farlo crescere e di occuparsi di lui. È l’adozione dell’amore che trova manifestazione per via naturale, secondo percorsi che si ripetono dall’eternità, sempre uguali nei contenuti, sempre diversi secondo le alternanze delle culture e delle varie sensibilità. Quindi, in un certo senso, siamo tutti figli adottivi.
Questa coincidenza di naturalità e di adottività rende del tutto superflua, e anche un po’ irritante, la persistenza di una tra le peggiori abitudini sociali, quella di specificare se un figlio è naturale o adottivo. Sottolineatura davvero irritante. Forse ci vorrebbe una legge per vietarlo, come è capitato con quelli che una volta venivano definiti “figli illegittimi” perché nati fuori dal matrimonio. Oggi sarebbe tale la maggior parte dei bambini. Ecco, dobbiamo arrivare a cancellare questa distinzione odiosa anche per i bambini adottati che, come dovrebbero essere ben noto, sono figli a tutti gli effetti, con diritti e doveri che non si scostano neppure di un’unghia dai loro fratelli “naturali”. Figli, e basta. E dovremmo impararlo in fretta e una volta per tutte anche noi giornalisti che, qualche volta, purtroppo, ci ostiniamo ancora a mettere in luce quella particolarità, che tale non è, come se fosse una caratteristica importante per comprendere quel determinato episodio.
Qualche giorno fa, in occasione di un fatto tragico capitato a Luino, un padre accoltellato a morte dal figlio 19enne, troppi media cartacei e online si sono buttati a pesce sul particolare considerato – a torto – molto ghiotto. Quel ragazzo è un “figlio adottivo”. E in tanti l’hanno messo in luce nei titoli o nei sommari. Come se l’adozione fosse in qualche modo una spiegazione della tragedia, un modo per lavarsi preventivamente la coscienza, per giustificare le dinamiche violente di quella famiglia. Non è vero nulla. Come ci raccontato ogni giorno le cronache, esistono situazioni di gravissima violenza familiare di cui sono protagonisti figli “naturali”, fino a qualche istante prima considerati esemplari e irreprensibili. Non c’è differenza, purtroppo. Il male, la tragedia, lo strazio non hanno aggettivi. Non sono migliori o peggiori in base al fatto che un figlio venga definito “naturale” o “adottivo”. Inutile, assurdo e ingiusto farlo. Quando il male afferra il cuore di un ragazzo e lo induce a compiere gesti atroci e irreparabili, come rivolgere un’arma contro i propri genitori, che senso ha sapere che quindici o vent’anni prima quella famiglia aveva aperto le porte di casa? Che una scelta coraggiosa e consapevole di genitorialità aveva trovato il coraggio di mettere da parte le leggi della biologia per sostituirle con quelle degli affetti e delle relazioni?
Non sappiamo cosa sia successo in quella casa di Luino e quali dinamiche malsane siano alla base di quell’episodio. E, in questo contesto, non ci interessa neppure saperlo. Ma vogliamo cogliere l’occasione per unirci all’appello lanciato ieri da Daniela Russo, responsabile adozioni del Ciai che fin dal 1968 si occupa del tema: "Aggiungere la definizione “adottivo” ai termini padre e figlio significa attribuire immediatamente all’adozione una connotazione negativa, come a motivare il compimento di un gesto insano: qualcosa che non aggiunge nulla alla gravità del gesto e al dato di cronaca”. Assolutamente d’accordo. Dice ancora Daniela Russo: “Le parole hanno un peso e il rischio è di stigmatizzare e condannare a priori le persone adottate e le coppie che scelgono questa modalità differente di fare famiglia. Con rammarico abbiamo assistito a un'occasione mancata di limitarsi ai fatti, di definire le persone coinvolte in questa ennesima tragedia familiare per quello che sono: un padre e un figlio”. Senza aggettivi. E se sarà necessario arrivare a una legge per cancellare quella distinzione fin dall’origine, per mettere in luce anche con questa modalità, l’autentico interesse del minore e dei suoi genitori, per azzerare uno stereotipo ancora carico di tante negatività, saremmo ben lieti di sostenerne e motivarne l’approvazione.
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