Bruna è cattolica, Amadou musulmano: le famiglie miste sono una (bella) realtà

Hanno tre figli e vivono a Catania. Lei lavora per la Comunità Papa Giovanni, lui fa il mediatore culturale. «Dialogo e ascolto per comprendersi». I matrimoni come i loro in Italia sono triplicati in vent'anni: eccone il valore sociale
November 10, 2025
Bruna e Amadou nel giorno del matrimonio
Bruna e Amadou nel giorno del matrimonio
Due anni fa sono state celebrate nel nostro Paese 21.211 nozze in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero. Quasi tre su quattro riguardano coppie con sposo italiano e sposa straniera (15.389, l’8,4% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2023), mentre le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 5.822, il 3,2% del totale delle spose. Con un trend decisamente in crescita: dal 1996 i matrimoni misti sono triplicati, mentre dal 2002 quelli tra italiani sono diminuiti del 34,7%. C’è di più. Nel 2022 sono nati 29.137 figli da coppie miste (7,5% del totale), con padre italiano e madre straniera in 20.274 casi, e madre italiana e padre straniero in 8.863; nel 2017 si contravano 360mila under 17enni nati da unioni miste. 
Quando si mettono a tavola, prima e dopo i pasti pregano insieme, nel rispetto reciproco. Bruna D’Angelo è cattolica, il marito Amadou Keita musulmano originario della Guinea Conakry: i loro tre bambini di 6, 4 anni e 8 mesi sono stati battezzati e hanno partecipato alla Festa del nome secondo il rito islamico, «poi decideranno a quale religione appartenere, noi intanto diamo l’esempio e non imponiamo nulla», risponde il papà 44enne, che ha due figli maggiorenni nati da una precedente relazione, uno dei quali vive a Catania con loro «rivestendo in pieno il ruolo di fratello maggiore. Nel 2020 aveva dei problemi di salute; Amadou e io – che ero in attesa del secondogenito – lo abbiamo accolto per curarsi, ma è passato quasi un anno e mezzo per ottenere ⁠il ricongiungimento familiare; poi ha deciso di restare con noi», racconta Bruna, antropologa 39enne, che fa parte della Comunità Papa Giovanni XXIII e ha conosciuto il marito nove anni fa. “Galeotto” è stato il consorzio “Il nodo” dove lavorano, lui come mediatore culturale mentre lei coordina progetti d’integrazione per migranti.
«Nido d’amore», così Bruna definisce il luogo in cui si sono incontrati: «Abbiamo parlato quasi subito di argomenti un po’ avveniristici, per capire se c’era una rigidità, ad esempio di come avremmo educato i figli se fossero arrivati. E mi ha colpito la grande saggezza di Ama, la sua capacità di armonizzare le differenze: “Se ci amiamo ci veniamo incontro, senza tradire chi siamo”, mi diceva. Così è scattato un accordo tacito fra noi». Le fa eco il marito: «Nel dialogo ho percepito subito l’ascolto e la comprensione. Ognuno sa quello che vuole l’altro e ci rispettiamo nella fede, nelle scelte educative e concrete. Quando ami qualcuno, devi lasciarlo libero di vivere con serenità». Nel 2018 si sono sposati con il rito misto, presieduto da padre Carmelo, un anziano sacerdote che li aveva accompagnati nel fidanzamento: «Ci ha incoraggiati e ha dissolto tutti i nostri dubbi dicendoci che Dio non è fatto per dividere, che io dovevo sentirmi a casa in moschea e lui in chiesa», riferisce Bruna. E assicura: «Non ho avuto difficoltà a coprirmi il capo quando siamo andati in Senegal in viaggio di nozze a conoscere alcuni suoi parenti e in Guinea l’estate scorsa: la mia persona viene rispettata, non ho il timore che lui mi invada».
I pregiudizi, semmai, arrivano dall’esterno: da conoscenti che si chiedono come mai lui non abbia preferito una moglie musulmana – e Amadou replica che risposerebbe Bruna «ogni giorno» – oppure da chi si chiede perché i loro figli non mangino il maiale a scuola. «Un po’ mi scoccia precisare le differenze, mentre si tratta di decisioni; ai bambini finora abbiamo dato entrambe le appartenenze perché possano sentirsi a casa ovunque. Benediciamo il cibo prima di sederci a mangiare e facciamo il segno della croce mentre Amadou si mette in preghiera restando in silenzio, alla fine recitiamo il Bismillah», che significa «In nome di Dio» ed è un’invocazione presente all’inizio di quasi tutti i capitoli del Corano. Che leggono con i figli, come anche la Bibbia. Durante il Ramadan, quando «tutti i ritmi familiari si alterano a motivo del digiuno che si rompe al tramonto, è difficile non vivere insieme i momenti dei pasti ma è una gioia preparare un piatto caldo a mio marito». Momenti condivisi con altre coppie interculturali del gruppo catanese dell’associazione Aifcom, coordinato dai coniugi Keita con Marta Bandini per offrire «supporto e confronto. Piccolissimi semi gettati che spaccano muri e aprono mondi».

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