«Aiuto, mia figlia si è innamorata di un chatbot. Cosa devo fare?»
di Luciano Moia
A colloquio con Valentina Di Mattei, presidente dell’Ordine degli psicologici della Lombardia. Che ci spiega cosa può succedere agli adolescenti con l'intelligenza artificiale e come intervenire

L’invasione dell’intelligenza artificiale apre problemi nuovi anche per l’educazione all’affettività. La psicologa Valentina Di Mattei: casi in aumento, intervenire senza demonizzare. Ma servono competenze specifiche
Giovanissimi e salute mentale, un’emergenza che sembra non finire mai. Fino a qualche mese fa sul banco degli imputati c’era il lungo inverno del Covid e il contagio della digitalizzazione assunta dai nostri ragazzi, in assenza di alternative, come prassi esclusiva da cui, raccontano gli specialisti, sono derivati a cascata una serie di effetti deleteri. Da qualche mese l’allarme adolescenza-fragile, con particolare attenzione al pianeta affettività, ha messo a fuoco una questione ancora più ingarbugliata, l’intelligenza artificiale, i cui effetti sulla psiche dei nostri ragazzi appaiono al momento ancora più insondabili rispetto a quelli già inquietanti della pandemia. Se ne sta parlando tantissimo, a proposito e a sproposito. Ed è giusto allora fermarci a riflettere, come hanno fatto gli specialisti internazionali il mese scorso durante il congresso americano di psicologia che ha affrontato proprio questa questione. Nello specifico il rapporto tra educazione affettiva e I.A.
A quel congresso era presente anche Valentina Di Mattei, presidente dell’Ordine degli psicologici della Lombardia, professore associato di psicologia clinica all’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano. E può confermare che la questione, insieme a tanti interrogativi e ad altrettante preoccupazioni, sta cominciano a produrre risposte condivise da parte degli esperti.
Messo a fuoco il problema, vuol dire che già sappiamo come intervenire per aiutare un ragazzo che si innamora di un chatbot e si convince che dietro quella voce ci sia un’anima?
Sì e no, protocolli veri e propri non ce ne sono ancora, ma ci sono linee condivise di intervento su cui lavorare, il punto di partenza però è un altro. Noi adulti facciamo distinzione tra reale e virtuale, ma per i ragazzi non è così. Il web per loro è qualcosa di assolutamente reale, quello che per noi è virtuale, per loro è qualcosa che segna e orienta tutta la vita. Oggi le prime esperienze passano dalle chat, dai social, dal web. È il virtuale che molto spesso permette ai ragazzi di superare le barriere della timidezza ma che può anche diventare, com’è noto, motivo di delusione, di contrasti, di stigma. Tutte difficoltà che i nostri ragazzi sperimentano in prima persona.
I genitori chiedono spesso a voi specialisti di aiutarli per far capire ai ragazzi tutti i rischi connessi a social e web, tanto più quando si parla di intelligenza artificiale. Voi psicologi cosa rispondete?
Che serve una visione equilibrata. Spieghiamo che, per quanto possa essere vissuta dai giovani come vita reale, nel virtuale ci sono certamente rischi e non mancano mai le delusioni, tanto più quando parliamo di affettività. Ai ragazzi le relazioni virtuali appaiono spesso come più semplici, come se la distanza potesse annullare i problemi. Noi cerchiamo di far capire che questo tipo di relazioni risultano troppo spesso illusorie perché non mettono alla prova fino in fondo la personalità di ciascuno. La “realtà” del virtuale può quindi essere estremamente ingannevole. Servono tanta prudenza e tanto buon senso.
Dal punto di vista della maturazione affettiva l’intelligenza artificiale rischia di essere quindi una vera e propria bomba ad orologeria?
Tenere gli occhi aperti è giusto, ma sarebbe sbagliato demonizzare in toto l’intelligenza artificiale, sarebbe un po’ una lotta contro i mulini a vento. Non sono modalità da respingere a priori, ma da approfondire e verificare, con l’obiettivo di creare uno spazio di dialogo da condividere e da discutere insieme ai nostri figli.
In questa sfida educativa qual è il primo punto da affrontare?
La prima sfida, per noi molto importante, è quella di mettere a punto una modalità condivisa, con punti chiari e facilmente comprensibili, per proporre un’educazione all’affettività in ambito digitale. La famiglia e la scuola devono viaggiare insieme, devono proporre un approccio coerente, sulla base di competenze non improvvisate.

E nei confronti dei ragazzi da dove si può incominciare?
Dobbiamo aiutarli a distinguere tra reale e virtuale, in modo sereno. Dobbiamo accompagnarli a leggere i sentimenti che vengono sperimentati all’interno di queste relazioni, comprendendo le differenze con la realtà. Così si promuove nei giovanissimi un pensiero critico. In questa prospettiva dobbiamo dire loro che l’intelligenza artificiale non prova emozioni, non ha un’anima ma risponde solo a modelli di calcolo che realizza in modo estremamente accelerato. E, soprattutto, non è in grado di rispondere davvero alle domande che ciascuno ha dentro di sé in modo specifico ed irripetibile.
Ma diceva di non demonizzare questi strumenti… E quindi?
Spiegare limiti e caratteristiche non significa demonizzare ma cercare la verità. E quindi dobbiamo affermare con chiarezza che i suggerimenti della IA non possono mai essere consigli da ascoltare in maniera acritica. Certo, di fronte a tanti ragazzi che non hanno altri interlocutori se non l’IA qualche domanda dovremmo farcela anche noi adulti. Come mai non riusciamo più a dare risposte credibili ai loro problemi, soprattutto su questioni decisive come l’amore e l’affettività? D’altra parte i casi di affezione e di dipendenza da IA sono in aumento e non possiamo restare a guardare.
Le fatiche della famiglia e della scuola le conosciamo. Gli psicologi cosa possono fare?
In Regione Lombardia è stata approvata la legge per lo psicologo di base sul modello del medico di base. C’è stato anche uno stanziamento di 36 milioni, eppure la legge non è ancora operativa, perché mancano i decreti di attuazione. Attendiamo, ma i bisogni dei nostri ragazzi non attendono. E quando leggiamo che ci sono ragazzi che tentano il suicidio dopo aver ascoltato le indicazioni di chatbot comprendiamo che, qualsiasi decisione prenderemo, saremo sempre in ritardo. Su questo aspetto, l’Ordine degli psicologi della Lombardia e il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi stanno lavorando affinché le Istituzioni regionali e nazionali intervengano in modo concreto e più velocemente possibile.
È vero che parlando di percorsi educativi, troppo spesso, insieme ai ragazzi, siete chiamati a farvi carico anche dei genitori?
Qualche volta succede, molto spesso i genitori sono inseriti nei percorsi terapeutici. In altre occasioni cerchiamo di fare un lavoro parallelo, ragazzi-genitori. L’idea è proprio quella di vedere genitori come componenti della rete di cura. Madri e padri, evidentemente, sono importantissimi ma loro stessi comprendono che su questi temi occorrono competenze specifiche. Quindi dobbiamo abituarci a lavorare in rete. Sarà faticoso ma è da scelte come queste che dipende il futuro dei nostri ragazzi. Soprattutto su questioni decisive come la maturazione affettiva.
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