
Alla fine il rischio è sempre lo stesso: ritrovarsi da soli. Anche nelle imprese. E non si tratta della vecchia immagine dell’«uomo solo al comando», ma di un dato di fatto comune, a quanto sembra, ad una buona parte degli imprenditori. Certo, i manuali la fanno facile: ci sono la squadra, il team, il gruppo di lavoro, l’organizzazione e le procedure che ti aiutano. Però ad un certo punto, chi deve davvero dire l’ultima parola nelle aziende è lì come davanti ad uno specchio e si rende conto che non ha nessuno accanto. La chiamano «solitudine dell’imprenditore». Condizione comune a molte esperienze d’impresa che, adesso, è meglio messa a fuoco grazie ad uno studio specifico condotto dal Censis e promosso dalla Compagnia delle Opere del Piemonte (Cdo Piemonte) con il sostegno della Camera di commercio di Torino.
Torino e il Piemonte, dunque, come due grandi laboratori di studio su un “male” che affligge la classe imprenditoriale un po’ ovunque. Perché si ha un bel dire dell’efficacia e dell’aiuto che possono arrivare dal Web e dalla digitalizzazione dell’economia e della produzione. Quando i mercati non reggono più, quando è sempre più costoso e complicato produrre, quando – appunto – occorre decidere cosa fare della propria azienda oppure anche solo di un singolo reparto di questa, gli imprenditori lo dicono chiaro: c’è un momento in cui la solitudine arriva e rischi di essere travolto. Esperienza, questa, che proprio nel nord ovest d’Italia, alle prese con una crisi pesante legata all’auto e non solo, si vive ogni giorno.
«Oggi, in Piemonte, vivere o anche solo avvertire una realtà di solitudine da parte degli imprenditori può compromettere decisioni cruciali per la crescita dell’impresa », spiega una nota di Censis e Cdo che sottolineano «l’importanza delle relazioni fra gli imprenditori e gli altri stakeholders» per uscire da situazioni che possono diventare anche pericolose. Detto in altri termini, dalla ricerca emerge la “fatica” di fare impresa accanto ad una altrettanto grande «fatica di fare rete». È una sorta di crisi nella crisi quella che spesso vive chi deve governare un’azienda: ci si rende conto di essere soli, ma si ha difficoltà ad uscire da questa solitudine. Perché ci sono gli impegni quotidiani di fabbrica e ufficio, quelli del mercato e delle banche e c’è anche il costo, in termini di tempo e risorse, che occorre sostenere per sviluppare e mantenere relazioni in grado di aiutare l’impresa, soprattutto nei momenti di incertezza e di difficoltà. E non basta.
Censis e Cdo spiegano come l’isolamento involontario e la solitudine nel momento di prendere decisioni importanti, riflettano un’inadeguata circolazione del “fattore fiducia” nelle imprese. Qualcosa che colpisce realtà varie, non solo quelle grandi ma anche le imprese familiari, dove spesso questa carenza condiziona il ricambio generazionale. Perché andare avanti se ci si sente soli e non si ha fiducia nel futuro? La sintesi efficace di quanto spesso accade è quella di Felice Vai – presidente di Cdo Piemonte – che dice: « Mai come oggi l’imprenditore avverte una sensazione di solitudine. È una paura legittima ma non può rappresentare una barriera verso il futuro». Ma quindi che fare? I risultati della ricerca indicano che la «prospettiva è quella di rafforzare nuovi ecosistemi territoriali all’interno dei quali avviare un circolo virtuoso di supporto e collaborazione, necessari per il successo e la sostenibilità delle aziende».
Che, detto in parole semplici, significa aiutare e aiutarsi andando oltre le formule preconfezionate e le tecnologie digitali. «Fra gli imprenditori che abbiamo ascoltato, emerge una domanda implicita di costruzione di relazionalità e di superamento del rischio di isolamento, alla quale hanno finora risposto i tanti soggetti di rappresentanza delle imprese», spiega Giorgio De Rita, segretario generale del Censis , che tuttavia aggiunge: «Oggi, anche i soggetti intermedi e di rappresentanza vivono una stagione di difficoltà, solo in parte superata attraverso l’organizzazione di servizi rivolti alle imprese e agli imprenditori. Solo alcuni hanno invece provato a innovare il rapporto con gli associati, salendo di livello e intercettando quelle voci che chiedevano di essere ascoltate». Cdo Piemonte ci prova con un «desk di ascolto» con l’obiettivo di «riattivare quel rapporto umano e relazionale di cui gli imprenditori hanno evidenziato la necessità e che è alla base del nostro operato», sottolinea Vai.
È, a ben vedere, quell’umanesimo d’impresa che non dovrebbe mai mancare e che, invece, spesso è stato perso oppure dimenticato in un angolo, travolto dagli indici di efficienza ed efficacia, dall’andamento delle quotazioni delle materie prime, dai numeri di bilancio e dalle tensioni della società in generale che si riverberano anche nelle fabbriche e negli uffici. Condivisione e dialogo appaiono così essere due delle parole chiave da seguire. Per tutti.