
Il 21 maggio è una data segnata col circoletto rosso nelle agende degli operatori finanziari europei. Quel giorno entreranno infatti in vigore le linee guida di Esma, l’Autorità europea dei mercati e degli strumenti finanziari, sull’utilizzo di termini ambientali, sociali e di governance (Esg), o relativi alla sostenibilità, nella denominazione dei fondi. Delle linee guida si è iniziato a ragionare a fine 2022. Da novembre sono valide per i nuovi fondi, da maggio varranno per tutti. Nate per contrastare il greenwashing, che insieme a un’applicazione spesso à la carte dei criteri Esg minaccia la credibilità della finanza sostenibile, hanno raggruppato i termini utilizzabili nei nomi dei fondi in sei categorie: transizione, società, governance, ambiente, impatto, sostenibilità. Per ciascuna sono previsti requisiti minimi e soglie di esclusione. Almeno l’80% degli asset devono avere caratteristiche o obiettivi di sostenibilità definiti nella strategia d’investimento.
Quanto alle esclusioni, oltre a tabacco e armi controverse, il nemico pubblico numero uno sono ovviamente le fossili, da cui derivano il 75% delle emissioni globali di gas serra e il 90% delle emissioni di CO2. I fondi in particolare delle categorie ambiente, sostenibilità e impatto (con termini quali “verde, climatico, Esg, sostenibile”), non potranno investire in società che derivano ricavi dai combustibili fossili oltre una data soglia (1% per il carbone, 10% petrolio, 50% gas): chi vorrà continuare a farlo, dovrà cambiar nome. O viceversa. «Queste linee guida – dicono Alessandro Asmundo, senior Policy officer, e Miriam Santoro, Policy officer del Forum per la Finanza Sostenibile – aiutano a chiamare le cose col loro nome perché offrono indicazioni chiare, con soglie quantitative nette, che permettono agli investitori di capire se un prodotto è più o meno sostenibile di un altro. Possono servire sia a contrastare il fenomeno del greenwashing, sia a supportare la trasparenza e l’impegno degli operatori sostenibili. In una fase di grande incertezza, con una profonda e rapida trasformazione in corso in Europa sul fronte delle norme e regolamenti sulla sostenibilità, possono rappresentare una bussola per restare allineati su obiettivi di sostenibilità di lungo periodo. Nel breve, il loro impatto non è immediato da valutare, occorre attendere almeno qualche mese. In ogni caso in questi mesi sul mercato l’arrivo delle linee guida non ha portato a variazioni drastiche, bensì a un processo di progressivo allineamento. A livello europeo non ci aspettiamo al momento un meccanismo di controllo e sanzione collegato alle linee guida, la cui adozione resta su base volontaria. In attesa delle valutazioni delle Autorità di vigilanza nazionali, crediamo che sarà il mercato stesso a penalizzare chi non si allineerà in modo credibile».
Una ricerca di Morningstar Sustainalytics prevede un impatto sul 3050% dei fondi interessati dalle guideline, tra 1.200-2.200 sui quasi 4.500 fondi sostenibili in Europa. « L’impatto – spiega Hortense Bioy, Head of Sustainable Investing Research in Morningstar Sustainalytics – potrà declinarsi in molti modi: chi cambia il nome del fondo, abbandonando un termine per sostituirlo con un altro; chi non cambia il nome ma modifica la strategia; chi opera aggiustamenti di portafoglio, ad esempio disinvestendo; chi precisa il linguaggio utilizzato nel prospetto informativo. Ci aspettiamo complessivamente una ridefinizione del mercato e una riduzione dei fondi Esg o sostenibili». Esma si è concentrata sui nomi non a caso: la percentuale di fondi in Europa con denominazioni Esg (specie legati alla “E”) è cresciuta da meno del 3% prima del 2015 a circa il 9% a metà 2024. Inoltre, i fondi che aggiungono al loro nome termini Esg (specie legati sempre alla “E”), registrano un aumento dei flussi d’investimento. Chiamarsi Esg, insomma, fa vendere e guadagnare.
«Le linee guida avranno un impatto significativo perché, sebbene non vincolanti, hanno una forza di persuasione particolare verso gli operatori in quanto provengono da chi ha il compito istituzionale di supervisionare la loro attività»: a dirlo è Gianluca Manca, oggi ricercatore universitario su temi di sostenibilità applicata alla finanza e consulente per la sostenibilità delle Pmi, ma soprattutto uno dei pionieri della finanza sostenibile a livello internazionale: basti dire che c’è il suo zampino nei lavori dell’Asset management working group che a metà anni 2000, nell’ambito dell’iniziativa per la finanza del Programma Onu per l’Ambiente (Unep Fi), lanciò l’acronimo Esg. Ma c'è un ma, anzi due: « In Europa – sottolinea Manca – sono stati aperti tantissimi tavoli su norme e regolamenti di sostenibilità, che hanno prodotto tanti “pezzi” che però, faticando a trovare omogeneità di linguaggi e definizioni, hanno creato frammentazione e confusione. Inoltre l’Ue, col recente “pacchetto Omnibus”, è entrata in una fase di profondo ripensamento sui criteri di sostenibilità per le imprese, mentre si cerca di mantenere l’asticella alta per la finanza: è contraddittorio».
Una criticità forte, quest’ultima, che conferma anche Francesco Toffoletto, Esg Senior specialist: «C’è disorientamento – afferma – perché le linee guida vanno nella direzione di aumentare la protezione degli investitori, ma lo scenario che sta emergendo in Europa col pacchetto Omnibus è di un passo indietro, sebbene ci fossero sicuramente elementi della normativa da snellire. Il risultato è che oggi ci sono imprese, partite per fare il bilancio di sostenibilità, che si sono fermate e si guardano intorno. Ciò crea problemi di disponibilità e comparabilità dei dati Esg, non solo per gli investitori». Il rischio grosso oggi in Europa, insomma, è di compromettere il percorso fatto finora in quest’ambito. Perché, diversamente da anni fa, green, clima e sostenibilità non paiono più in cima all’agenda.
«Queste linee guida – riassume Manca – sono figlie di un momento storico molto diverso dall’attuale, dove l’enfasi era giustamente sulla crisi climatica (il Piano d’azione Ue sulla finanza sostenibile del 2018, di cui le linee guida Esma sono un portato, era dichiaratamente rivolto a mobilitare risorse per contrastare la crisi climatica, ndr). Oggi invece l’enfasi è sulla sicurezza, anche energetica, la difesa, il riarmo. Tanti investitori istituzionali sono attratti dai rendimenti del business della difesa, ma chi si interroga ad esempio sulla carbon footprint di questi investimenti? Oppure: quando gli Usa hanno dato via libera all’utilizzo nella guerra in Ucraina delle bombe a grappolo, armi bandite da convenzioni internazionali che gli investitori sostenibili ovviamente applicano, chi si è interrogato sulla sostenibilità degli investimenti in T-bond (le obbligazioni del Tesoro Usa, ndr)? Le linee guida possono “spingere” i mercati finanziari a virare verso il sostegno alla parte più “sana” dell’attività umana, come ad esempio quella che supporta la transizione ecologica: sono una sorta di àncora di salvezza. Al prossimo evento climatico catastrofico, in molti ringrazieranno che queste linee guida non siano state anch’esse vittima del grande scompiglio geopolitico attuale».