mercoledì 18 giugno 2025
Troviamo nuovo senso al mondo che l'IA vuole costruire per noi
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Una volta passavi anche dieci minuti a scegliere il disco da sentire per la cena, scartabellando sugli scaffali fra i cd, se non fra i vinili. Non erano mai in ordine, ma sapevi che c’era quell’album e che era l’album giusto per la serata. Oggi invece, dieci secondi, il tempo di digitare il nome dell’artista, del disco o anche solo del genere musicale o addirittura di che umore ti senti e dalle casse collegate allo smartphone esce la musica “giusta” per la serata. Una volta uscivi la mattina presto per prendere il giornale e scoprire che cosa ci fosse di nuovo sul delitto dell’estate, oggi invece metti la mano in tasca e ogni secondo c’è un aggiornamento sullo smartphone. Una volta ci volevano delle ore per fare una ricerca (“ricerca” era il nome del lavoro di approfondimento che ti chiedevano di fare a scuola), tra consultazioni dell’enciclopedia e un salto alla biblioteca di quartiere, oggi invece ci vuole lo stesso tempo ma per fare una tesi di laurea, da casa, con un po’ di dimestichezza con Google Scholar e ovviamente con ChatGPT. Ma a forza di «una volta» e «oggi invece » non andiamo molto lontano per capire il presente e magari intuire sprazzi di futuro.

È ovvio che la tecnologia ha cambiato le nostre abitudini di vita e le cambierà ancora, soprattutto la tecnologia basata sui sistemi di intelligenza artificiale, ormai la gran parte. Ci adatteremo, come abbiamo sempre fatto. Ma la domanda interessante non è tanto come cambieremo le abitudini, quali vantaggi o svantaggi avremo, quanti posti di lavoro si perderanno e quanti ne nasceranno, non è nemmeno come cambieranno le relazioni umane. La domanda interessante, che sta alla base di tutte le altre, è: come penseremo in futuro? Gli strumenti digitali stanno assumendo un ruolo sempre più decisivo nel determinare cosa guardiamo o ascoltiamo, basandosi sui nostri gusti personali e su quelli di persone considerate simili a noi attraverso processi di profilazione. Spesso, questi strumenti non solo anticipano i nostri desideri, ma li orientano attivamente.

La cosa più preoccupante è che selezionano per noi le informazioni, decidono quali contenuti mostrarci, come e quando presentarceli, inquadrandoli spesso in un contesto interpretativo calibrato sulle nostre preferenze, rendendo l’esperienza confortevole e rafforzando le nostre opinioni già consolidate. Questo processo ci solleva dall’impegno di pensare autonomamente. Inoltre, attraverso una selezione di contenuti mirata, morbida e amichevole, le nostre amate app costruiscono per ciascuno di noi un mondo sempre più comodo, in cui il tempo non si spreca (dal punto di vista commerciale, l’intrattenimento è un valore e non uno spreco) e ci spingono a concepire il futuro come una continua ottimizzazione della realtà. La tentazione è quella di pensare che l’IA risolverà ogni problema, e quindi concentrandosi solo su alcune soluzioni, che contemplano l’uso di IA appunto, perdendone di vista altre possibili.

Se diventiamo follower di ChatGPT, impegnando il nostro pensiero solo in schemi adatti alla relazione con la macchina, rischiamo di perdere la serendipità, la casualità, l’ambiguità e molte altre situazioni limite che spesso aprono a intuizioni nuove. Noi siamo macchine abituate a pensare con pochi dati a disposizione e a ideare soluzioni creative, procedendo per errori, per ipotesi che producono altre ipotesi. Meglio quindi conservare questo pezzo anarchico di pensiero e usare l’IA come un partner cognitivo e non come un oracolo, che possa estendere la nostra mente, non addomesticarla. Facile da dire e difficile da fare, dal momento che è assai performante e sempre ci proporrà una soluzione rapida ed efficiente, a volte perfetta, a volte subottimale, ma pronta. C’è poi da riflettere sul fatto che tutta la nostra conoscenza futura rischia di privatizzarsi, cioè di avere fonti non sempre verificabili e su base di dati che sono proprietà di poche grandi compagnie. E questo ci porta al modo nuovo e inedito in cui l’informazione oggi ci raggiunge: siamo passati, nella storia, dai messaggeri a cavallo alle gazzette, dai giornali alla radio e alla tv. In seguito, questi mezzi sono diventati personali e portatili, risiedono nel nostro smartphone, che è insieme una centrale di raccolta e di trasmissione di informazioni.

Siamo nell’era dell’informazione on demand, ciascuno con il proprio palinsesto (rassicurante e su misura) che si evolve nel domanda-risposta dell’IA, in varie forme: chatbot, motori di ricerca, aggregatori di notizie, palinsesti. Chissà, in futuro magari riceveremo informazioni grazie speciali occhiali o a un chip impiantato, che risponde ai nostri pensieri inespressi. In qualunque modo vada, il mondo dell’informazione potrà ritagliarsi il proprio ruolo, esplorando l’inesplorato, cercando di capire il mondo e di spiegarlo alla comunità, in modo chiaro, efficace, semplice, corretto, credibile e, perché no, veritiero. Per fare ciò, occorre una determinazione umana, umanissima, etica naturalmente, che si faccia garante di questa traduzione del mondo in testo. Proprio così, la risposta alla tecnologia che corre veloce e che trasformerà il mondo è umana, non tecnologica: si tratta di trovare nuovo senso alle cose, sforzarsi di comprenderle e tradurle per tutti. L’alternativa è pensare per le macchine e stare bene.

Filosofia della comunicazione/3

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