La storica capanna Rothornhütte SAC a 3.180 metri, un solido edificio a due piani dalle spesse pareti in pietra, è stata demolita nel 2023 per essere ricostruita poche decine di metri più a valle. La nuova struttura, inaugurata a metà agosto 2024, è un moderno rifugio in legno ricoperto di pannelli in alluminio, con ampie vetrate che affacciano sulle Alpi del Cantone Vallese, in Svizzera. L’operazione è costata circa 3,7 milioni di franchi svizzeri (poco meno di quattro milioni di euro) ed è stata dettata anche dal cambiamento climatico: temperature sempre più elevate, anche tra le vette più inaccessibili, hanno reso instabile il terreno ghiacciato (permafrost) su cui erano ancorate le fondamenta della vecchia struttura. Ma la Rothornhütte SAC non è un caso isolato. Nel 2021 sono state chiuse sia la Trifthütte (2.520 metri sul livello del mare) sia la Mutthornhütte (2.901 metri): una valanga causata dal ritiro del ghiacciaio sovrastante ha danneggiato la prima e una frana minaccia la seconda. Il Club Alpino Svizzero Cas ha deciso che entrambe le strutture verranno demolite e ricostruire in una posizione più sicura: con un costo rispettivamente di 4,8 e 4,4 milioni di franchi svizzeri. E nei prossimi anni gli adattamenti al cambiamento climatico avranno un peso sempre più importante negli interventi edilizi che riguardano i rifugi gestiti dal CAS. Che stima in 20-25 milioni di franchi all’anno i costi per gli interventi sulle strutture ricettive in quota, di cui un terzo per quelli causati dagli effetti del cambiamento climatico.
«Abbiamo stimato, entro il 2040, una spesa complessiva di 100 milioni di franchi legata a misure di adattamento al cambiamento climatico – spiega Ulrich Delang, responsabile del settore capanne presso il Segretariato centrale del CAS –. Circa un terzo verrà destinato, ad esempio, ad assicurare l’approvvigionamento idrico o installare gabinetti a secco per risparmiare acqua. Singolarmente si tratta di interventi poco costosi, ma il numero di strutture coinvolte è molto elevato». Ma a fare la differenza sui bilanci del Cas saranno i costi per l’abbattimento e la costruzione di nuove strutture al posto di quelle minacciate dal cambiamento climatico: «In passato questa voce di spesa non c’era», puntualizza Delang.
Come in Italia, le capanne sono di proprietà delle diverse sezioni del Club Alpino. Ed è su queste entità che ricadono i costi per la ristrutturazione o la ricostruzione integrale della struttura, cui si aggiunge un contributo che oscilla tra il 30% e il 40% da parte del Fondo capanne gestito dalla sede centrale de Cas. Nei prossimi anni, una delle sfide più importanti sarà individuare la gravità del problema e garantire la sicurezza delle strutture rispetto a frane o al cedimento del terreno. Vari rifugi d’alta quota, infatti, poggiano potenzialmente sul permafrost (termine che deriva dall’inglese perennially frozen ground): un geo-materiale composto da suolo, detriti o roccia ghiacciati a una temperatura uguale o inferiore allo zero per due o più anni consecutivi.
Quando la temperatura sale il permafrost si degrada, mettendo a rischio la stabilità degli edifici. Di fronte a queste situazioni – che mettono a serio rischio la sicurezza non solo delle strutture, ma soprattutto quella di chi le vive e le frequenta – le opzioni possibili sono multiple: la stabilizzazione delle fondazioni (molto complessa), la chiusura e l’abbandono dei singoli rifugi in pericolo o la loro ricostruzione. Con costi che però sono molto elevati. «Nel medio periodo il Fondo capanne probabilmente non potrà più coprire questi investimenti– riflette Ulrich Delang –. Sarà quindi necessaria una discussione su quali misure adottare: abbassare i costi, ad esempio riducendo il numero di rifugi che vengono sostenuti ogni anno, oppure aumentare gli introiti. Ad esempio, aumentando i prezzi di chi pernotta». Il cambiamento climatico rende più difficile per alcuni rifugi l’approvvigionamento idrico: in alta quota l’acqua arriva spesso direttamente dai ghiacciai che si ritirano o da fonti sotterranee sempre più difficili da raggiungere. Gli interventi, in questi casi, sono meno onerosi ma riguardano moltissime capanne e i costi, di conseguenza, crescono: «Solo pochi anni fa pensavamo che questo problema riguardasse una struttura su cinque. Ma ora il problema si è aggravato e il loro numero è aumentato», spiega Delang.