
«Siamo appena agli inizi di un’opera che può essere lunga e feconda di bene». Lo scriveva Luigi Einaudi oltre un secolo fa a proposito della cooperazione agricola, che a quei tempi muoveva i primi passi soprattutto tra latterie e cantine sociali sparse tra le Alpi e la Pianura Padana. Più di cent’anni dopo le coop agricole fatturano 46 miliardi di euro, impiegano oltre 106.000 lavoratori e possono contare su 690.000 soci.
L’occasione per scattare una fotografia accurata delle cooperative agricole è arrivata con il rapporto di ricerca “La cooperazione agricola italiana: caratteristiche e rilevanza nel comparto agroalimentare” messo a punto da Crea (Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia) ed Euricse (Istituto di ricerca europeo sull’impresa cooperativa e sociale). Ne è emerso un quadro lusinghiero, non esente da qualche ombra ma dalle forti prospettive di ulteriore crescita. Certo, i dati di riferimento utilizzati dall’indagine arrivano al 2023, ma dicono comunque molto sulla situazione. Sono quindi 4.268 le cooperative agricole (in calo del 5,6% rispetto all’anno precedente) che, nonostante la contrazione numerica, producono un fatturato miliardario in crescita del 9,1% e un’occupazione anch’essa in crescita seppur lieve (+0,9%). Il panorama del comparto mostra una forte specializzazione: le coop ortofrutticole detengono il 23,6% del fatturato, seguite dalle zootecniche (21,5%), lattiero-casearie (17,7%) e vitivinicole (13,9%). Le cooperative olivicolo-olearie raccolgono il 31,3% dei soci ma contano solo per lo 0,9% del fatturato.
Le coop – ed è tutto sommato uno degli elementi di criticità – non sono equamente distribuite sul territorio. Quelle più grandi e produttive si trovano principalmente nel Nord-Est, che genera quasi il 60% del valore economico e vanta un fatturato medio di 25,7 milioni di euro per cooperativa (con il Trentino-Alto Adige ai vertici, insieme all’Emilia-Romagna rispettivamente, con 437,3 e 321,5 euro di valore aggiunto generato per abitante). Al contrario, il Sud e le Isole, pur ospitando la maggior parte delle realtà, producono meno del 20% del fatturato nazionale, facendo registrare rispettivamente 36,6 e 47,7 euro di valore aggiunto per abitante.
Forti anche le cooperative agricole di lavoro con quasi 92mila lavoratori “equivalenti” a tempo pieno. Altro punto delicato è quello del fatturato: più del 50% delle coop ha un giro d’affari inferiore a 500mila euro, mentre il 2% delle più grandi genera la metà del valore economico totale.
Numeri comunque importanti ai quali si aggiungono forti aspettative. La prima ad aspettarsi molto è la stessa Europa. La Politica agricola comune ne fa uno degli elementi chiave nell’ambito degli obiettivi 2023-27 “Migliorare la posizione degli agricoltori nella catena del valore”. Proprio la cooperazione viene vista come uno degli strumenti più efficaci per rispondere ad uno dei principali problemi per l’agricoltura italiana: l’elevata parcellizzazione dei fondi agrari, che limita le economie di scala e il potere contrattuale delle aziende agricole, e che necessita di una maggiore integrazione con le fasi a valle della produzione agricola. L’indagine di Crea e Euricse ricorda a questo proposito che «la forma cooperativa sembra avere ancora molto da dire in tal senso, soprattutto nel Mezzogiorno e per talune colture». Per questo sempre la Politica agricola comune destina 1,3 miliardi di euro alle cooperative arrivando a promuovere anche iniziative particolari come gli smart villages e sostenendo progetti dedicati al ricambio generazionale.
Ma qual è il “segreto” del successo della cooperazione in agricoltura? Raffaele Drei, presidente Confcooperative Fedagripesca, è chiaro: «Il modello cooperativo è un modello di impresa diverso, con alla base valori come la partecipazione, la democraticità nelle scelte e l’intergenerazionalità che si traduce in un forte legame il territorio». Drei quindi sottolinea come «il superamento delle marginalità» sia uno dei punti di forza della cooperazione: «Oggi le coop sono chiamate a dare risposte che consentano di superare le tante marginalità che sono sempre dietro l’angolo, come quella di non riuscire a fare gli adeguati investimenti in tecnologia, in innovazione di prodotto o di processo che sono necessari per riuscire a rimanere competitivi sui mercati nazionali e internazionali». Mentre Dario Casati, professore emerito di economia agraria all’Università statale di Milano, avverte: «La moderna cooperazione alla quale ci riferiamo nasce a metà dell’Ottocento e da allora ha continuato a crescere e progredire. Si tratta adesso di continuare a migliorarla considerando che un cooperativa è comunque un’impresa tra le imprese».
Grandi potenzialità, quindi. Che devono comunque fare i conti con alcuni problemi da risolvere. Crea ed Euricse sottolineano: «Nonostante la resilienza dimostrata, la crescita delle cooperative è frenata, soprattutto in determinate aree del Paese, dalla scarsa nascita di nuove realtà e da strutture troppo piccole per competere a livello europeo». La ricetta per liberarsi dai freni prevede «un maggiore supporto istituzionale e politiche di sviluppo rurale per rafforzare il modello cooperativo in agricoltura e, a livello più generale, nel comparto agroalimentare». Oltre a questo, occorre anche guardare a filiere particolari, come quella brassicola e del tartufo, mentre altre, come quella dell’olio, necessitano di «maggiori sforzi» per valorizzare meglio il prodotto finale sul mercato. Insomma, Einaudi potrebbe essere soddisfatto ma in effetti c’è ancora strada da fare.