mercoledì 29 gennaio 2025
Si moltiplicano le iniziative legate all’economia circolare per salvare uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta
L'Amazzonia dei fiumi volanti: come si cambia per non morire
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Si moltiplicano le iniziative legate all’economia circolare per salvare uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta Mentre avanza il disboscamento, in Brasile si ricava acqua potabile dalla traspirazione degli alberi e le ninfee vengono utilizzate per produrre farina Giuseppe Baselice Che l’Amazzonia sia in pericolo lo dicono gli esperti, che prevedono che, se il disboscamento dovesse proseguire agli attuali ritmi da qui al 2050, potrebbe persino «morire». E sarebbe una tragedia, visto che è il più efficace assorbitore di anidride carbonica, la maggiore riserva di acqua dolce del pianeta e un patrimonio inestimabile di biodiversità: ospita il 20% della fauna mondiale e 40mila specie di piante, di cui oltre 2mila usate per l’alimentazione e la medicina. La foresta pluviale da 6,5 milioni di chilometri quadrati è dunque fondamentale per la nostra sopravvivenza, e può anche essere una risorsa inaspettata per l’economia circolare: dall’abbigliamento al cibo, dall’acqua potabile all’arte. In Brasile, Paese che ospita il 60% dell’Amazzonia e il cui territorio è occupato per metà dalla foresta tropicale, hanno trovato modi insospettabili di sfruttare il suo ricchissimo bioma.

Acqua potabile dai “fiumi volanti”

Uno di questi modi potrebbe essere la soluzione ad un futuro sempre più caratterizzato dalla siccità: ricavare acqua potabile dalla traspirazione delle piante, in particolare dalle 2.500 specie di alberi di grandi dimensioni presenti nella foresta. Questi alberi “sudano” e le gocce restano sospese, formando quelli che le comunità locali chiamano “rios voadores”, “fiumi volanti”. Grazie ad una apposita tecnologia, queste gocce vengono catturate, processate e imbottigliate. Il progetto si chiama Amazon Air Water ed è stato fondato nel 2010 dall’avvocato Cal Gonçalez Junior: oggi la sua acqua a zero impatto ambientale è venduta in tre continenti, dagli Stati Uniti agli Emirati Arabi. «Viene estratta solo nelle notti di luna piena – ha raccontato Gonçalez – per rispetto della leggenda di Naià, una indigena guaranì che fu trasformata dal dio Jaci in una ninfea, i cui petali si aprono solo nelle notti di luna piena». Ecco perché una bottiglia da 1,5 litri costa in media 200 euro, ma le limited edition possono arrivare anche a 1 milione di dollari: per ora l’acqua amazzonica è un bene di lusso, ma chissà che il progresso tecnologico non possa renderla scalabile.

La ninfea diventa… pizza

Le ninfee sono protagoniste di un altro caso di utilizzo virtuoso delle risorse naturali. È quello suggerito da alcuni chef dello Stato del Parà, nel Nord del Brasile, che ricavano farina dalle foglie di “vitoria-regia” (così si chiama in portoghese) e ci fanno impasti per pasta, pizza, fritture e dolci. Nata come esperimento, questa pratica è diventata un vero e proprio stile culinario, con un repertorio che contempla diverse ricette usando anche foglie e semi. Abbinandole ad altre specialità locali, nel Parà sono venute fuori leccornie come gli spaghetti di ninfea ai gamberi, serviti nel ristorante di Dona Dulce, una delle pioniere della nuova cucina sostenibile: « Estraggo tutto il necessario dal mio giardino di ninfee, dove coltivo 200 piante che divido con gli animali, che pure ne sono ghiotti: tartarughe, lamantini, persino vacche ». Pratiche come questa sono peraltro fondamentali per preservare la vegetazione dell’area, sempre più minacciata dai cambiamenti climatici e dagli incendi che quest’anno hanno colpito l’Amazzonia, mandando in fumo una superficie pari a quella della Croazia.

Pesci alla moda

Siccità e caldo anomalo hanno causato in Amazzonia anche una moria di pesci, che sono fondamentali per il sostentamento delle comunità locali: bacuzinho, surubim, pirapitinga, pirarucu, animali a noi sconosciuti e che non vengono usati solo come cibo. Nel 1989 il medico carioca Oskar Metsavaht ha fondato il marchio di abbigliamento Osklen, che dal 2001 utilizza materiali sostenibili, come le scaglie di salmone e appunto di pirarucu, per fabbricare accessori, scarpe da ginnastica, borse e portafogli. « I pesci – tiene a precisare l’azienda – non vengono pescati per essere venduti a noi: ricicliamo gli scarti della ristorazione ». L’azienda ha già raggiunto il milione di pezzi prodotti a impatto zero, usando non solo gli avanzi dei pesci ma anche plastica composta da cotone e fibra di poliestere ottenuta dal riciclaggio degli imballaggi; cotone organico, coltivato senza l'uso di sostanze tossiche per l'ambiente; e seta biologica, da bozzoli scartati dall’industria tradizionale perché non negli standard.

La cenere si fa pittura

Ultima ma non meno importante, l’arte e i messaggi che veicola. Con le ceneri delle migliaia di incendi che nel 2024 hanno devastato l’Amazzonia, lo street artist brasiliano Mundano ha realizzato un murales gigante nel centro di San Paolo: 1.500 metri quadrati di parete dipinta, raffigurante l’attivista indigena Alessandra Korap con la scritta «Stop the destruction #keep your promise». L’opera richiama l’attenzione proprio sul disastro ambientale e ricorda alle multinazionali che estraggono materie prime nella foresta amazzonica di mantenere gli impegni che prendono e che tradiscono. Come la statunitense Cargill, che nel cuore della foresta vorrebbe ora costruire una linea ferroviaria da mille chilometri, sacrificando una superficie che equivale a quella di 285mila campi da calcio.

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