mercoledì 1 giugno 2022
La ragione che motiva la ricerca della felicità, ci dice Hirschman, è, spesso, il fatto che la felicità sta proprio nell’atto di cercarla
Un’immagine dal film 'La ricerca della felicità' con Will Smith

Un’immagine dal film 'La ricerca della felicità' con Will Smith

COMMENTA E CONDIVIDI

Le nostre scelte non sono motivate solamente dalle conseguenze che esse producono. In uno schema puramente consequenzialista l’azione A verrà preferita ad una azione B se la conseguenza di A è migliore, in qualche senso rilevante per il decisore, della conseguenza di B. La cosa non è del tutto irragionevole, anzi, appare piuttosto plausibile. In questo schema, allora, si comprende come attraverso l’uso di incentivi e sanzioni si possa plasmare il comportamento dei decisori: un incentivo, infatti, rende più probabile una certa azione perché ne rende più attraenti le conseguenze; simmetricamente una sanzione associata ad una certa azione tenderà a scoraggiarla rendendo peggiori le sue conseguenze. Perché allora non di rado osserviamo che incentivi e sanzioni producono esiti non voluti, controproducenti, addirittura opposti a quelli attesi? Perché noi esseri umani non ragioniamo esclusivamente in termini consequenzialisti; non siamo spinti solamente dalle conseguenze che ci aspettiamo le nostre azioni producano. A volte, infatti, agiamo spinti dalla convinzione che la ricompensa a una certa azione sia costituita dall’azione stessa, non dai suoi esiti. Oltre quelle che possiamo definire 'motivazioni estrinseche' agiscono, cioè, nella nostra vita un altro tipo di motivazioni, che chiamiamo 'motivazioni intrinseche'.

Un’idea simile viene espressa da Albert Hirschman nel suo Le passioni e gli interessi, quando ci ricorda che 'La ricerca della felicità pubblica (in qualche modo concreto) e il suo raggiungimento non sono cose che possono essere nettamente separate. In effetti, l’atto stesso di inseguire la felicità è spesso, effettivamente, la cosa più vicina a quella stessa felicità'. La ragione che motiva la ricerca della felicità, ci dice Hirschman, è, spesso, il fatto che la felicità sta proprio nell’atto della sua ricerca. Il concet- to di motivazioni intrinseche è stato formulato e sviluppato inizialmente in ambito psicologico da Edward Deci e Richard Ryan nel contesto della loro self-determination theory. Con quell’espressione i due indicavano ciò che ci spinge a 'svolgere un’attività per la sua soddisfazione intrinseca piuttosto che per qualche conseguenza separata. Quando è motivata intrinsecamente una persona viene spinta ad agire per il divertimento o la sfida implicata piuttosto che a causa di stimoli esterni, pressioni o ricompense'. L’idea è stata poi importata in economia principalmente grazie al lavoro dell’economista svizzero Bruno Frey il quale, in particolare, ha studiato i potenziali effetti negativi dell’effetto di incentivi estrinseci possono esercitare sulle motivazioni intrinseche; il fenomeno del cosiddetto 'spiazzamento motivazionale' (motivational crowding-out). Per via di questo fenomeno Frey sostiene che, per esempio, cose come le virtù civiche, il rispetto dell’ambiente, la dedizione al lavoro, il volontariato, le donazioni di sangue e molte altre attività simili, rischiano di essere compromesse da un uso eccessivo degli incentivi estrinseci che non riconoscono il ruolo che le motivazioni intrinseche giocano in tutte queste attività. Le ragioni che spiegano il fenomeno dello 'spiazzamento motivazionale' sono molteplici, tra esse particolare rilevanza rivestono gli effetti sull’autodeterminazione e sull’autostima. L’imposizione di un controllo esterno o di un sistema di incentivi materiali può suscitare nei soggetti, infatti, l’impressione di essere 'pilotati' e di non avere più il controllo della situazione, facendo sì che il locus della motivazione si trasformi da interno a esterno. Gli interventi estrinseci, allo stesso modo, possono veicolare il messaggio che la responsabilità soggettiva dell’agente (e quindi anche un suo eventuale merito) non venga riconosciuta e che la sua motivazione intrinseca venga trascurata. Come risultato di una misconosciuta responsabilità, il soggetto vede minata la sua autostima e di conseguenza egli riduce la disponibilità a compiere quella determinata azione che in realtà si sarebbe voluto promuovere. Un esempio a questo riguardo è quello fornito da Harry Barkema il quale riporta il caso di due gruppi di manager che vengono sottoposti a regimi di monitoraggio differenti. Al gruppo A viene attribuito un ampio margine di discrezionalità nello svolgimento delle loro abituali mansioni; il gruppo B, invece, viene sottoposto a controlli stringenti e continui. L’idea di base è che un controllo più serrato è associato all’aumento della probabilità di scoprire una violazione e quindi al rischio di ricevere una sanzione.

Questo dovrebbe, in virtù di un effetto deterrente, far aumentare l’impegno e la produttività. L’effetto di questa differenziazione è sorprendente (almeno da un punto di vista puramente economico), perché, mentre il gruppo B riduce sensibilmente la sua performance, il gruppo A, a cui era stata attribuita maggiore discrezionalità, ottiene una performance migliore ('Do Top Managers Work Harder When They Are Monitored?'. Kyklos 48, pp. 19-42, 1995). Mentre nel caso del gruppo B osserviamo un esempio di crowding-out, nel caso del gruppo A si è verificato, invece, il fenomeno opposto, di crowdingin, di rafforzamento, cioè, delle motivazioni intrinseche. Un ruolo fondamentale, in questo ambito, viene giocato dal modo in cui i soggetti ed interpretano l’intervento esterno. Questo, infatti, può essere percepito o come un intervento di riconoscimento e supporto (il caso del gruppo A) o co- me un intervento di sfiducia e controllo (come nel caso del gruppo B). Nel primo caso si favorisce l’aumento delle motivazioni intrinseche che determina il fenomeno del crowding-in, mentre un atteggiamento di controllo, a causa dell’effetto negativo sull’autodeterminazione e sull’autostima, produce una riduzione delle motivazioni intrinseche e l’effetto crowding-out. Questo tema è particolarmente rilevante per 'la cura delle radici', il nostro discorso relativo alla tutela e alla valorizzazione dei beni comuni. Perché le radici possano essere adeguatamente curate, infatti, non bastano gli incentivi materiali e le sanzioni; occorrono anche forti motivazioni intrinseche.

È necessario maturare la consapevolezza del valore che tale cura porta in sé. Occorre rafforzare la disponibilità a cooperare al di là dell’interesse personale diretto per salvaguardare quei beni che salvaguardano, indirettamente, quel nostro stesso interesse personale. Come già ammoniva Garrett Hardin 'Dovremmo imparare ad accettare la responsabilità delle conseguenze non volute delle nostre azioni e allo stesso tempo fare di tutto per prevederle'. Accettare le conseguenze non volute delle nostre azioni non può che essere una scelta fondata, per la sua stessa natura logica, sulle motivazioni intrinseche. Dovremmo, anche per questo, sempre più imparare a riconoscerle, valorizzarle e trasmetterle a chi verrà dopo di noi.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: