mercoledì 18 gennaio 2023
La «mano invisibile» avrebbe dovuto garantire vantaggi per tutti, ma è cresciuta a dismisura la frattura tra i grandi capitali e coloro che vivono svolgendo impieghi mal pagati
La democrazia degli oligopoli: così il profitto vince sul lavoro
COMMENTA E CONDIVIDI

La holding ferroviaria Northern Securities Company, costituita all’inizio del ventesimo secolo da J.P. Morgan e altri, in breve acquisì il monopolio dei trasporti negli Usa. I suoi costi operativi erano un decimo di quelli delle imprese di trasporto che usavano la trazione animale, ma i prezzi dei biglietti erano solo del 10 percento inferiori a quelli praticati da queste ultime. La tecnologia funzionava come moltiplicatore di profitti, però consentiva anche a chi prima se n’era impossessato di dominare il mercato e bloccare la concorrenza. Si traduceva in un miglioramento dei servizi per molti, ma anche in un moltiplicatore di ricchezze per pochi, e quindi in un volano di disparità sociale e economica. Una situazione che suona familiare anche oggi: ne tratta il volume Il paradosso del profitto (Franco Angeli editore) di Jan Eeckhout, professore all’Università Pompeu Fabra di Barcellona e, dopo Piketty, Stiglitz e diversi altri, uno degli studiosi impegnati sul problema della concentrazione di potere economico e della relativa perdita del potere di acquisto per chi vive di lavoro e non di capitale.

Le evoluzioni tecnologiche hanno permesso – oggi più ancora di quanto avvenne nel passato – il costituirsi di forti disparità e di nuovi monopoli. I casi di compagnie come Microsoft, Apple, Facebook, Google, Amazon sono evidenti. Operano come se non esistessero confini e sono i volti di un’epoca in cui, da quando nel 2000 le Nazioni Unite hanno rilevato che l’uno per cento dei ricchi possedeva il 40 percento dei beni del mondo, la concentrazione di potere in poche mani di privati non ha fatto che crescere. La “mano invisibile” avrebbe dovuto garantire vantaggi per tutti, e in un certo senso ha ottenuto lo scopo almeno per i Paesi industrializzati (chi preferirebbe tornare alle condizioni economiche dell’immediato secondo dopoguerra?), ma il prezzo pagato è stato, appunto, l’aumento delle posizioni monopolistiche con tutto quello che questo comporta. Nel mezzo della pandemia, nel 2020, la Borsa di New York toccava i suoi massimi storici: la liquidità immessa dallo Stato per contrastare gli effetti della crisi si riversavano nella finanza, dove i profitti possono massimizzarsi in brevissimo tempo pur quando il resto dell’economia langue. Perché chi dispone di potere economico sa anche far convogliare gli interventi pubblici sui propri interessi. E, tanto maggiori sono le imprese, tanto maggiore la loro capacità di influire su governi e organismi statali.

Oltre a quello, diversi altri sono i modi in cui le grandi compagnie condizionano il libero mercato. Per esempio, se sorgono potenziali concorrenti possono acquisirli, più o meno come un impero conquista nuovi territori potenzialmente nemici. La storia delle compagnie che operano via Internet è piena di episodi del genere. Un piccolo esempio. WhatsApp fu lanciata nel 2009 da alcuni ex impiegati di Yahoo! con un investimento relativamente moscono, In breve è cresciuta e nel 2014 è stata acquistata da Facebook per quasi 20 miliardi di dollari: contenti i suoi creatori che son diventati ricchissimi, contento l’acquirente che ha consolidato il suo monopo-lio. Ma gli utenti e gli impiegati? Le grandi compagnie che operano in condizioni monopolistiche, o quasi, sono in grado di controllare i prezzi non solo dei servizi che offrono ma anche dei salari che distribuidesto. per via della carenza di concorrenza. Molti servizi online appaiono gratuiti ma sono in realtà pagati in modo diverso: col commercio dei dati sui singoli utenti di cui le compagnie si appropriano. Questi si traducono in pubblicità mirata e geolocalizzata: i dati consentono di rilevare le preferenze di ognuno e di misurare le informazioni pubblicitarie sui gusti delle persone in relazione all’area dove vivono. Così sui grandi numeri il monopolista ricava grandi incassi. E oggi WhatsApp, per restare nell’esempio di cui sopra, ha un parco utenti che sfiora il miliardo di persone. I singoli scompaio di fronte a tali cifre. E i lavoratori oggi sono come quelli presi dagli ingranaggi descritti da Chaplin in Tempi moderni: sono i tecnici delle grandi compagnie, i fattorini di Amazon, i distributori di hamburger di McDonald’s o la pletora di nuovi/vecchi impieghi esternalizzati e sottopagati.

Ne traggono vantaggi economici solo i ceo, i dirigenti di alto livello o i proprietari diretti o indiretti tramite il mercato azionario: vantaggi enormi a fronte della moltitudine di nuovi poveri. Se nel secondo dopoguerra s’è verificato un miglioramento delle condizioni economiche generali in tutti i Paesi occidentali, è attorno al 1980 che è avvenuto un cambiamento. Da allora, riferisce Eeckhout, la spesa delle aziende per i salari è diminuita costantemente e se prima ammontava a circa il 65 percento del valore della produzione (la restante parte andando al mantenimento del capitale e ai profitti), oggi la quota riservata al lavoro è meno del 58 percento: una differenza enorme, tanto più che si manifesta in un periodo in cui la remunerazione di alcuni alti dirigenti raggiunge cifre stratosferiche. Da allora i profitti e le concentrazioni delle grandi compagnie sono cresciuti sempre più. Da allora si impose il verbo dei Chicago Boys: “liberi di scegliere”, deregulation, laissez faire. Ne vediamo oggi gli effetti nello schiacciamento della classe media. Come disse Louis Brandeis, che dal 1916 al 1939 fu giudice della Corte suprema statunitense: si può «avere la democrazia [...] o la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ma non si possono avere entrambe queste cose». Il busillis si ripone oggi al mondo globalizzato. I mercati per funzionare hanno bisogno di regole, non fosse altro per difendere la proprietà: è utile esplicitare che sono necessarie anche tutte quelle altre misure intese a evitare che grandi concentrazioni monopolistiche soffochino il mercato stesso e mettano a repentaglio i livelli di vita delle famiglie. Senza queste le tensioni sociali non potranno che aumentare.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: