mercoledì 23 novembre 2022
In una regione devastata dal cambiamento climatico, l’impegno di Granarolo e Cefa onlus a favore delle cooperative di allevatori: inaugurata una Centrale del latte
Mozambico, il latte nutre la speranza: «Così rinasce Beira»
COMMENTA E CONDIVIDI

Quella notte in cui sul Mozambico piomba il ciclone Idai, nel marzo 2019, la città di Beira si trova all’improvviso esposta ad un flagello, quello del cambiamento climatico, di cui fino ad allora la popolazione locale non immagina ancora bene i contorni. Tre anni e altri due cicloni dopo, questo grande centro situato esattamente a metà tra la capitale Maputo e la turbolenta provincia settentrionale di Cabo Delgado, mostra ancora evidenti i segni della devastazione. Molte casupole non hanno un tetto, le strade sono state risistemate alla bell’e meglio, diverse scuole e strutture sanitarie non sono state ancora riparate. In tanti, poi, hanno perso nelle inondazioni i loro capi di bestiame, da cui derivava il sostentamento di decine di migliaia di famiglie, mentre anche l’agricoltura ha faticato a riprendersi. Tutti fattori che, sommati, hanno aggravato l’insicurezza alimentare nella provincia, ulteriormente poi acuitasi con l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità dell’ultimo anno. È in un contesto simile che acquista una valenza particolare l’intervento dell’Ong Cefa onlus, impegnata qui dal 2016, con l’azienda Granarolo, che insieme hanno portato avanti un progetto per contribuire da una parte allo sviluppo rurale e, dall’altra, alla promozione di una corretta educazione nutrizionale.

Nutrizione, reddito e un latte sicuro: a fine settembre tutto ciò si è tradotto nell’inaugurazione a Beira di una vera e propria Centrale del latte, punto di arrivo, ma anche di partenza, di un solido rapporto con la comunità locale. « Da quattro anni – spiega Luciano Centonze, responsabile per Cefa dei progetti in Africa orientale – abbiamo affiancato tre cooperative formate da 140 allevatori proprietari di circa 300 capi di bestiame, che ora gestiranno la Centrale. Le abbiamo assistite, formate con un miglioramento tecnico di cura e gestione degli animali, svolto attività sulla produzione di foraggio in un contesto come quello attuale in cui il cambiamento climatico va tenuto in conto. Molte delle persone coinvolte sono donne: è importante che abbiano opportunità lavorative e di reddito con cui sostenere le famiglie». Sono state proprio le donne, sottolinea Myriam Finocchiaro, responsabile della comunicazione esterna e della responsabilità sociale d’impresa di Granarolo, le vere «ambasciatrici del cambiamento, mamme modello che all’interno dei villaggi guidano altrettante donne nel percorso di educazione nutrizionale, lavoro nei campi e mungitura».

Un migliaio quelle coinvolte in totale anche sul fronte dell’educazione nutrizionale: « Per loro l’obiettivo sembra chiaro: non perdere bambini lungo la strada e nutrire la loro speranza in un futuro migliore», aggiunge Finocchiaro. Le vacche jersey utilizzate per la produzione di latte erano state introdotte alcuni anni fa nella zona da un’organizzazione non governativa americana che poi si è fatta da parte. Cefa ha iniziato a lavorare in coincidenza con l’inizio della produzione di latte. Si è adoperata prima per fare educazione nutrizionale, formando le «mamme modello», poi ha provveduto a distribuire sementi e attrezzi per dissodare il terreno, affiancando gli agricoltori nella produzione di foraggio. « All’inizio le vacche producevano solo 2 litri di latte al giorno, ora siamo sui 4-4,5 litri al giorno e cerchiamo di migliorare, anche con vaccinazioni e cure – aggiunge Centonze –. Bisogna lavorare per introdurre tecniche agricole che possano far fronte al cambiamento climatico, per migliorare in quantità e qualità dei prodotti e per avere un paniere più ampio per il consumo familiare. Inoltre, lavoriamo perché le persone coinvolte possano avere più prodotti da vendere al mercato: si cerca quindi sia di far fronte all’insicurezza alimentare sia per dare opportunità di reddito».

La Centrale del latte appena inaugurata alla presenza di Paolo Sertoli, responsabile della sede di Maputo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e di molte autorità locali, è il passo che mancava. Sono arrivati i reagenti per analizzare il latte crudo e gli impianti per raffreddare, pastorizzare e confezionare latte e yogurt. C’è anche una moto con rimorchio, che avrà il compito di trasportare il latte tra le strade sterrate per raggiungere i villaggi più lontani. Le cooperative porteranno il latte crudo alla Centrale e potranno poi commercializzare un latte pastorizzato e sicuro per i bambini della regione. « In fondo – fa notare Finocchiaro – è lo stesso modello che a suo tempo adottò Granarolo: da una parte gli allevatori, dall’altra i trasformatori e commercializzatori ». Tra i prossimi obiettivi, fa notare Centonze, c’è quello di fornire almeno una volta alla settimana il latte anche agli studenti delle scuole primarie, da una parte per insistere sull’educazione all’uso del latte, dall’altra per offrire un latte proveniente da un processo di pastorizzazione, quindi controllato dal punto di vista sanitario.

Spesso, infatti, il latte venduto a livello locale è prodotto in maniera informale, con ricadute negative dal punto di vista della salute. Qui in Mozambico, tre anni fa, il ciclone Idai ha provocato oltre mille morti e decine di migliaia di sfollati. Lo straripamento dei fiumi Buzi e Pungue nella regione di Beira ha sommerso interi villaggi che sono rimasti isolati per giorni. D’altronde, nel frattempo, altri cicloni hanno già colpito. L’Africa australe è tra le aree del pianeta maggiormente a rischio per il cambiamento climatico. Anche gli allevatori delle cooperative hanno subito perdite importanti e l’incubo che qualcosa di simile possa riaccadere è ormai una costante. La speranza, però, è che anche da piccoli progetti di cooperazione qualcosa, sul fronte dello sviluppo, possa cambiare. « Resta fondamentale costruire progetti da realizzare insieme alle comunità locali e con interlocutori istituzionali – aggiunge Centonze –, perché l’unica possibilità in termini di sostenibilità nel tempo è proprio il coinvolgimento delle comunità. L’obiettivo finale è che le persone coinvolte abbiano tutte le capacità per una piena gestione del progetto. Noi li accompagniamo per capire di quali strumenti hanno bisogno. Poi, per andare avanti, toccherà solo a loro»

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: