mercoledì 19 maggio 2021
Quando gli economisti provano a misurare la felicità ciò che trovano è la soddisfazione di vita e la ricchezza di senso. Riflessioni ispirate da "HappyNext. Alla ricerca della felicità"
Felicità, il romanzo di Cristicchi e ciò che dicono le Scienze sociali
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Il libro-ricerca di Simone Cristicchi sulla felicità HappyNext. Alla ricerca della felicità (La nave di Teseo) è una miniera di riflessioni, storie ed esperienze personali. Provo ad incrociarlo con quello che ci insegnano decenni di studi delle Scienze sociali con milioni di dati sulla soddisfazione e ricchezza di senso di vita e le loro determinanti, assieme a ciò che ho capito personalmente da quegli studi e dall’esperienza personale vissuta.
Simone parte nella sua introduzione da un’esperienza transitoria di tre giorni di beatitudine personalmente vissuta (che chiama «la finestra sull’infinito»). Se ci intestardiamo a intendere che sia questa la felicità da cercare e ci diamo l’obiettivo di vivere permanentemente in quello stato (è quello che molti hanno in mente quando affermano che è impossibile essere felici) saremo inevitabilmente frustrati. Gli stati di "consolazione" e "desolazione" che attraversano la nostra vita come le nuvole il cielo d’Irlanda non sono sotto il nostro controllo. Quando noi studiosi parliamo di felicità abbiamo in mente qualcos’altro. Ciò che pensiamo e misuriamo da tanti anni in tutti i Paesi del mondo mettendo in relazione dati ed esperienze è la soddisfazione di vita (benessere soggettivo cognitivo) e la ricchezza di senso di vita (benessere soggettivo eudaimonico). Queste due dimensioni dipendono al 90% se non al 100% da noi nonostante siano profondamente influenzate da eventi positivi o negativi che ci accadono e possono dunque essere l’opera d’arte della nostra esistenza. Ma come? Nel ricchissimo e lungo percorso del libro Simone ci dà molti indizi sintetizzati all’osso nelle conclusioni. Primo, «la felicità è una porta che si apre solo verso l’esterno». Ovvero la felicità ha a che fare con la qualità della propria vita di relazioni. Si può "masssimizzare l’utilità" (come nel vecchio paradigma economico) da soli, ma per essere felici bisogna essere in relazione. Secondo «chi ha un perché per cui vivere, può sopportare qualsiasi come. Che il mistico non è chi ha visioni, ma chi ha una visione della vita». Relazioni e purpose sono le due questioni essenziali che sfidano il luogo comune dell’idea di felicità come benessere in una spa, assenza di problemi.
Quando abbiamo iniziato a misurare la generatività dei territori italiani con Avvenire e il Festival dell’Economia civile abbiamo spiegato la novità dell’approccio dicendo che una persona può avere reddito, salute, istruzione, ma se passa la giornata sdraiata sul divano senza uno scopo non può essere felice. La felicità (intesa come soddisfazione e senso di vita) è espressività personale orientata ad un fine, è coinvolgimento che implica uno sforzo. la soddisfazione e ricchezza di senso di vita è dunque possibile ma è faticosa (e ciò allontana molti dalla meta). Un modo sintetico per mettere assieme quello che leggiamo nel libro con le risultanze dei lavori empirici a livello internazionale è che la felicità è, in modo simile all’energia elettrica, data da un’energia che si alimenta attraverso il continuo passaggio da una polarità negativa ad una positiva. La prima è il lato passivo e contemplativo della felicità per cui siamo noi senza alcun merito a ricevere qualcosa (dalla bellezza che ci circonda, da una relazione spirituale con qualcuno/qualcosa che capiamo essere fuori da noi, dalla relazione con Dio per i credenti) ammesso che siamo capaci di contemplarla e metterci in sintonia, la seconda è il nostro impegno nel mondo a costruire relazioni e attività che migliorano la vita dei nostri simili (aiutandoli a loro volta ad avere vite soddisfacenti e ricche di senso). Partendo dall’assunto che la persona è complessa e ha bisogni materiali, sociali e appunto di risposta alla domanda di senso, economia, politica, arte e cultura possono e devono contribuire a soddisfare ciascuno per la propria parte questa domanda. In alcuni momenti della nostra vita sentiamo il bisogno di mettere ordine e vogliamo separare i due momenti passivo ed attivo. Ma la sintesi più bella che aumenta l’energia evitando di creare dicotomie è nel concetto di "contemplazione nell’azione" tipico della spiritualità ignaziana che implica la sintesi di un passaggio continuo nella nostra vita tra le due polarità.
Nel libro troviamo molti utili consigli per il cammino. L’"attenzione" che vuol dire capacità di contemplare e di discernere in mezzo alla babele degli stimoli a cui siamo sottoposti nella società digitale. La "lentezza" descritta come capacità di concentrarci si una cosa alla volta. L’"umiltà" descritta come il «presentarci come un campo arato, pronti ad accogliere i semi di bellezza e conoscenza che chiunque può spargere». Uno dei tesori più preziosi del libro è un brano più nascosto in cui si parla di un anonimo contadino che sull’Appia Antica passa le sue giornate a coltivare un campo non suo. Il segreto della generatività, che si alimenta della sintesi tra il nostro contemplare e il nostro agire, sta proprio nel seminare con gioia un terreno senza l’assillo di pretendere di controllare i frutti.

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