Per chi fa giornalismo sul web l'AI Mode di Google può essere devastante
di Pietro Saccò
Le nuove modalità di ricerca privano chi produce i contenuti di buona parte del traffico e degli incassi pubblicitari. Gli editori, non solo in Italia, chiedono l'intervento di Bruxelles

I navigatori del web più attenti se ne sono accorti da un po’: la ricerca su Google sta cambiando rapidamente, con un impiego sempre maggiore dell’intelligenza artificiale. Lo scorso 26 marzo sul sito del motore di ricerca è partita anche in Italia l’AI Overview: quando cerchiamo qualcosa su Google la prima risposta che otteniamo non è un elenco di siti, ma un testo elaborato generato da Gemini, il sistema di intelligenza artificiale di Google, che ci offre le informazioni che cerchiamo o ci suggerisce verso i siti che potrebbero fare al caso nostro. Da una settimana sulla barra di ricerca è apparsa la nuova funzione AI Mode: chi ci clicca finisce su un’interfaccia diversa dal “solito Google” ma del tutto simile ai chatbot come ChatGpt o lo stesso Gemini.
Su AI Mode la modalità di ricerca non è più organizzata su parole chiave ma è un dialogo con la macchina, che risponde in modo più o meno naturale come farebbe un interlocutore in una conversazione. AI Mode, ha scritto Melissa Ferretti Peretti, country manager di Google in Italia sul blog aziendale, «combina capacità di ragionamento e multimodalità più avanzate, e offre la possibilità di ampliare la ricerca tramite domande di approfondimento e link utili al web».
In tutto questo però c’è un passaggio che rischia di sfuggire al pubblico meno esperto delle dinamiche dei media: le informazioni che il sistema di Google offre sono state prodotte e pubblicate da altri siti. Quando Gemini usa e sintetizza il loro contenuto, risparmiando all’utente di visitare la fonte originale, sta privando quei siti di buona parte del traffico e quindi dei possibili incassi pubblicitari legati al numero di visite a una pagine web. Quello di Google potrebbe essere un abuso di posizione dominante nel mercato dell’attenzione delle persone, che è la base dell’economia del web. Google (dal quale passano oltre il 90% delle ricerche sul web) potrebbe stare abusando della sua posizione dominante.
È sulla base di questa accusa che gli editori di giornali europei si stanno mobilitando. La Fieg, l’associazione italiana degli editori, ha presentato un reclamo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per ottenere dalla Commissione europea l’apertura di un procedimento contro Google per violazione delle norme previste dal Digital Services Act, il regolamento europeo sul digitale entrato in vigore a febbraio 2024.
L’AI Mode, accusa la Fieg, è un “traffic killer”: «Google sta anteponendo le sue risposte AI alle query degli utenti integrandole direttamente nell’elenco dei risultati, senza dover cliccare sulle fonti originali, ossia i siti degli editori. Stiamo parlando di un prodotto che non solo si pone in diretta concorrenza con i contenuti prodotti dalle aziende editoriali ma che determina anche una riduzione della loro visibilità e reperibilità, e quindi dei relativi introiti pubblicitari, minacciando il loro rifinanziamento. Ciò ha gravi conseguenze per la sostenibilità economica e la diversità dei media, con tutti i rischi correlati alla mancanza di trasparenza e al proliferare dei fenomeni di disinformazione nel dibattito democratico».
Gli editori italiani non sono soli. L’associazione europea del settore, Enpa, sta portando iniziative analoghe in altri Paesi, con l’obiettivo comune di chiedere l’intervento di Bruxelles. A luglio era stata Foxglove, organizzazione non profit che lotta contro gli abusi dei grandi gruppi del web, a inviare una lettera alle autorità Antitrust di Regno Unito e Commissione europea chiedendo un intervento urgente «per impedire a Google di rubare il lavoro dei giornalisti professionisti e di rigurgitarlo in riassunti generati dall'intelligenza artificiale pieni di errori che derubano i reporter che hanno svolto tutto il vero lavoro». Secondo uno studio portato avanti dalla stessa Foxglove con Authoritas, società che si occupa di ottimizzazione per le ricerche sul web, i sistemi di IA di Google stanno privando i siti di informazione del 79% del traffico. «In altre parole, rubando il 79% dei loro clic, Google non si limita a rubare il lavoro dei giornalisti umani e a presentarlo come proprio, ma ruba anche i clic che hanno contribuito a pagare quel lavoro – scrive l’associazione –. Ciò rappresenta una seria minaccia a lungo termine per l'ecosistema della stampa così come lo conosciamo».
Ora starà all’Agcom decidere se portare il caso italiano a Bruxelles. Non sarà una partita semplice: l’attività di lobby dei grandi gruppi tecnologici americani ha spinto Donald Trump ad attaccare direttamente le norme europee sul digitale (le ha definite «tutte progettate per danneggiare o discriminare la tecnologia americana») e non è un mistero che queste norme siano sul tavolo del negoziato sui dazi, che Trump sembra sempre pronto a riaprire.
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