.jpg?width=1024)
Reuters
La supremazia del dollaro non è mai stata tanto in discussione come negli ultimi mesi, anche se non è ancora emerso con chiarezza un degno erede del biglietto verde. Anzi, come si dice in questi casi, probabilmente deve ancora nascere. Sta di fatto che il dollaro ha perso nel primo semestre oltre il 10,8% contro un paniere di sei principali valute (euro, yen, sterlina, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero). Una performance così negativa secondo il Financial Times non si vedeva dal 1973, ma una comparazione in realtà è impossibile, in quanto nel 1973 l'euro, che rappresenta il peso maggiore di questo paniere (Dollar Index) con quasi il 60%, non esisteva ancora e sarebbe stato lanciato solo un quarto di secolo più avanti.
Certo è che in questo "semestre nero" per il biglietto verde, l'euro è balzato di quasi il 14% sul dollaro, portandosi sopra quota 1,18 e cioè sui massimi da settembre 2021. Un problema anche per la Bce, che sta cercando di rianimare la ripresa asfittica della zona euro a colpi di sforbiciate dei tassi di interesse, ma fa i conti anche con questa anomalia valutaria. Il dollaro in particolare è stato zavorrato da inizio anno dall'incertezza sui dazi dell'amministrazione americana e poi da rinnovati allarmi sulla sostenibilità del debito Usa, che corre da una decina d'anni ma dovrebbe compiere un ulteriore balzo da 3.300 miliardi di dollari con la potenziale approvazione della nuova legge di bilancio fortemente voluta dal presidente Donald Trump.
Negli ultimi giorni poi il mercato ha iniziato a scommettere su una Fed più accomodante, tanto più che il mandato dell'attuale presidente Jerome Powell scade a maggio 2026, e Trump non disdegnerebbe la nomina di una "colomba" più incline ai desiderata della Casa Bianca, almeno stando ai rumors di stampa. In questo caso sarebbero giustificati i timori di una perdita di indipendenza per la più influente banca centrale del mondo. Tali prospettive in ogni caso contribuiscono ad appesantire il dollaro. Ma non per questo, secondo gli analisti, il "greenback" rischia di perdere il suo status di valuta di riserva mondiale.
"Nonostante il percorso insostenibile del debito, il dollaro statunitense manterrà quasi certamente la sua posizione di valuta di riserva dominante a livello mondiale nei prossimi cinque anni", commenta Peder Beck-Friis, economista di Pimco. L'uso diffuso nel commercio e nella finanza globali, combinato con la mancanza di alternative valide, sostiene questo status. "Ad esempio, il dollaro rappresenta circa l'88% del volume delle transazioni valutarie globali, riflettendo il suo ruolo centrale nei mercati internazionali e rafforzando la sua resilienza nonostante le preoccupazioni fiscali".
Secondo Raphael Gallardo, capo economista di Carmignac, non c’è un’altra valuta che si appresti a rimpiazzare il dollaro. "Il renminbi cinese non è convertibile. L'Eurozona è un'unione monetaria incompiuta, priva del sostegno di un Tesoro unificato. Il Giappone è in avanzato stato di declino demografico. In assenza di alternative credibili, le Banche centrali si rivolgono nuovamente all'oro, tanto più che, a nostro avviso, i fondi sovrani si sposteranno verso altre materie prime strategiche, non direttamente "monetizzabili" come l'oro ma detenibili e in grado di offrire un’assicurazione geopolitica in un mondo divenuto più instabile: petrolio, rame, litio, ecc. Anche il settore privato per la prima volta nella sua storia ha a disposizione un bene non confiscabile, pienamente integrato nei sistemi di pagamento della maggior parte delle valute convertibili e privo di rischio sovrano: le criptovalute a offerta fissa", le cosiddette stablecoin che danno filo da torcere al dollaro.
A beneficiare in parte degli attuali rapporti di forza potrebbero essere anche i mercati emergenti. "Storicamente, un dollaro più debole ha sostenuto i rendimenti dei mercati emergenti, con una forte relazione inversa tra le due variabili", spiega Ygal Sebban, Investment Director, Azionario Mercati Emergenti di Gam. "Questa dinamica favorisce gli asset dei mercati emergenti attraverso tre canali principali: flussi di capitale (un dollaro in deprezzamento attira afflussi di capitale estero), servizio del debito (un dollaro più debole riduce l’onere del debito denominato in USD per gli emittenti sovrani e le aziende dei mercati emergenti), materie prime (prezzi delle materie prime sono fondamentali, poiché molti EM sono esportatori di commodity). Inoltre, un dollaro debole concede alle banche centrali dei mercati emergenti una maggiore flessibilità in termini di politica monetaria, consentendo loro di allentare le condizioni monetarie o di mantenere i tassi invariati. Guardando al futuro, prevediamo un ulteriore indebolimento del dollaro, sostenuto da stimoli fiscali e aspettative inflazionistiche".