mercoledì 27 novembre 2024
Il Meridione al +0,9% contro il +0,7% del resto d'Italia. Eppure aumenta l’emergenza emigrazione: entro il 2050 le regioni del Mezzogiorno avranno oltre 3,6 milioni abitanti in meno
Nel 2024 il Sud è cresciuto ancora più del Nord. Ma si sta spopolando

Imagoeconomica

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L’economia del Mezzogiorno è ancora in salute. Una tendenza iniziata dopo il Covid, che nel 2023 ha permesso al Sud di fare meglio del Nord e che questo anno porterà il primo a crescere ancora più del secondo: +0,9% contro +0,7%. Un aumento dovuto a una più robusta dinamica degli investimenti in costruzioni (+4,9% contro il 2,7% del resto del Paese) trainati dalla spesa in opere pubbliche del Pnrr che valgono 1,8 punti percentuali di Pil, mentre circa tre quarti della crescita del Sud nel triennio sarà legata proprio alla capacità di attuazione degli investimenti del piano, a fronte di circa il 50% nel resto del Paese.

È quanto emerge sfogliando il nuovo rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno. «Il Sud non è un vuoto a perdere», ha detto il suo direttore generale Luca Bianchi «gli investimenti hanno aiutato e aiutano il Mezzogiorno ad essere competitivo».

Accanto a questi numeri però ce ne sono altri che fotografano un Paese in difficoltà. Nel 2050 l’Italia perderà 4,5 milioni di abitanti, l’82% proprio nelle regioni meridionali: -3,6 milioni. Non solo spopolamento, ma una progressiva fuga dei giovani colpirà il Mezzogiorno, destinato a perdere 813mila under15, quasi un terzo di quelli attuali (-32,1%), mentre gli anziani con più di 65 anni aumenteranno di 1,3 milioni (+29%). Eppure, sottolineano dalla Svimez, si potrebbe invertire questo trend se solo si riuscisse a ribaltare «la percezione comune del pericolo legato all’immigrazione». «Inclusione per ridurre l’emigrazione dei giovani – ha scandito ancora Bianchi – per attrarre nuove famiglie e spezzare il circolo vizioso tra spopolamento e rarefazione dei servizi pubblici essenziali». In definitiva «accogliere per restare» come ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. «Bisogna aprire gli occhi – ha spiegato – leggendo questo come tanti altri rapporti, ascoltando gli industriali, viene da chiedersi: come è possibile che ancora crediamo che dobbiamo alzare muri? Chi accoglie ha futuro, chi viene accolto resta». E poi ha aggiunto: «La Chiesa non vuole far entrare tutti, vuole salvare tutti: che muoia un bambino in mare, non lo possiamo davvero accettare».

Anche perché, sottolineano dalla Svimez, questo trend demografico avverso avrà un forte impatto sul numero degli iscritti nelle nostre scuole. Al 2035, la riduzione di studenti è stimata al -21,3% nel Mezzogiorno, addirittura al -26% nelle regioni del Centro (-18% nelle regioni settentrionali). «Per la scuola primaria – si legge – il rischio chiusura è concreto in 3mila comuni con meno di 125 bambini». Scuole dove non c’è la mensa per un bambino su tre nel Mezzogiorno, e per uno su due non ha la palestra per l’attività fisica. Le soluzioni per uscire dall’impasse ci sono e i ricercatori della Svimez le declinano in «politiche di lungo periodo orientate al rafforzamento del welfare familiare, strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, offerta dei servizi per l’infanzia, sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità». L’emergenza allora per la Svimez è l’emigrazione, non tanto l’immigrazione. Basta ricordare che sono oltre 200mila i laureati andati al Nord negli ultimi 10 anni, 140mila quelli che hanno lasciato definitivamente l’Italia.

Il motivo? I salari bassi che sono diminuiti del 5,7% nell’ultimo quadriennio. E ancora: «Nelle regioni meridionali si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani (circa 1,4 milioni), più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine: 21,5%, contro una media europea del 13,5%». C’è polemica, allora, per l’abrogazione dell’incentivo sulla decontribuzione al Sud (vale 5,9 miliardi per il solo 2025) «che fino ad oggi ha preservato l’occupazione», come ha ricordato Natale Mazzuca, vicepresidente di Confindustria e che viene cancellata nella manovra mettendo a rischio 25mila posti di lavoro. «La legge di Bilancio 2025 – sottolineano dalla Svimez – prevede a compensazione, il finanziamento di un nuovo Fondo per interventi al Sud, con una dotazione però pari a circa la metà di quanto tagliato e senza ancora una chiara destinazione né uno strumento attuativo». Eppure il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, intervenuto alla presentazione del rapporto, oltre ad affermare che «il governo pone priorità assoluta al Mezzogiorno» se l’è presa più con una certa mentalità del meridionale che «non sempre vuole cambiare». È toccato alla presidente di Ance, Federica Brancaccio sottolineare che «serve una strategia con misure strutturali per far crescere il Paese in maniera omogenea».

Che vuol dire? «Significa continuare a investire nelle infrastrutture e ancora più importante intervenire con misure per far restare i giovani nel Mezzogiorno, a cominciare dalle Università. Abbiamo bisogno di una prospettiva non solo per il settore delle costruzioni ma per il Paese».

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