mercoledì 24 gennaio 2024
La Gran Bretagna accelera sulla realizzazione di centrali di piccole dimensioni. Nel 2050 l'atomo coprirà un quarto del fabbisogno energetico del Paese
Il cantiere della centrale nucleare di Hinkley Point C, a Bridgwater, in Gran Bretagna

Il cantiere della centrale nucleare di Hinkley Point C, a Bridgwater, in Gran Bretagna - Reuters

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Il Regno Unito rilancia sull’energia nucleare. La nuova “roadmap” con cui il governo prova ad archiviare le polemiche su costi e ritardi dei progetti già approvati ma non ancora compiuti è un documento di settanta pagine, presentato l’11 gennaio, che certifica una chiara ambizione: avere entro il 2050 centrali atomiche capaci di generare in totale almeno 24 Gigawatt di elettricità. Un quarto del fabbisogno nazionale.

Il ministro Claire Coutinho, titolare delle politiche energetiche, ha chiarito che il piano nasce dall’esigenza di assicurare al Paese risorse “pulite”, in linea con gli obiettivi di neutralità carbonica confermati dalle previsioni dell’Agenzia Internazionale per l’energia (Iea) secondo cui, questo dicono le statistiche dell’ultimo rapporto, il sorpasso delle fonti rinnovabili sul carbone per la produzione di elettricità si compirà nel 2026. A far premere l’acceleratore sul nucleare, Oltremanica, c’è anche l’urgenza di rendere il Paese “indipendente” dalle crisi internazionali amplificata dalla guerra in Ucraina.

La parola d’ordine della nuova era atomica britannica è “innovazione”. Cuore della strategia è un approccio diverso alla localizzazione delle centrali: non più rare e colossali ma piccole e numerose. L’idea, in sostanza, è installare “mini” reattori nucleari ovunque nel Paese. Unità modulari, in alcuni casi prefabbricati, che possono essere spostati da una zona all’altra. Soluzioni a basso impatto ambientale che abbattono i rischi di incidenti e, dettaglio non secondario, che costano molto meno delle centrali tradizionali. Progetti dello stesso genere sono in fase di sviluppo anche in Argentina, Canada, Cina, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti. Ciò non significa, tuttavia, che Londra rinuncia del tutto alle grandi opere. L’esecutivo di Rishi Sunak sta esplorando la possibilità di costruirne una completamente nuova (a Wylfa, sull’isola di Anglesey, o a Moorside, in Cumbria) simile per dimensioni e capacità ai colossi “gemelli” di Hinkley Point, nel Somerset, e Sizewell, nel Suffolk. Due “cattedrali” incompiute dell’energia nucleare progettate dalla società francese Edf. I lavori di ampliamento della prima, lievitati negli anni da 20 a 46 miliardi di sterline, non vedranno la luce prima del 2029 (se va bene). Lenta e faticosa, fortemente osteggiata dalla popolazione locale, è anche l’espansione della seconda approvata nel 2022. Il premier è determinato a completare la raccolta degli investimenti privati necessari a realizzarla (circa 20 miliardi di sterline) entro l’anno e, comunque, prima della fine della legislatura. Martedì ha annunciato intanto una nuova iniezione di soldi pubblici: altri 1,3 miliardi, destinati in particolare a infrastrutture che possono accelerare i lavori preliminari, che portano il totale dell’intervento statale a quota 2,5 miliardi.

A completare l’ambizioso rilancio del nucleare britannico c’è un investimento da 300 milioni, condiviso con l’imprenditoria locale, per produrre in casa il cosiddetto Haleu (High-Assay Low-Enriched Uranium): uranio arricchito al 20% (non al 5 come è consuetudine) perché sia a maggiore densità energetica. Prodotto di ultima generazione di cui attualmente dispongono solo Russia e Stati Uniti. Il Regno Unito sarebbe così la prima nazione d’Europa a entrare in questa nicchia di mercato. Il governo britannico punta, poi, dieci milioni in progetti su combustibili alternativi all’uranio. Per esempio, a base di torio. In programma, infine, studi e consultazioni su modalità innovative di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e di bonifica delle vecchie strutture. La nuova “era nucleare”, questa è la promessa di Sunak, quadruplicherà le forniture di energia atomica pulita creando opportunità di investimento e di lavoro. Tasto particolarmente dolente, quest’ultimo, visti i 2.800 licenziamenti annunciati dalla multinazionale dell’acciaio Tata Steel per lo stabilimento di Port Talbot nell’ambito di una transizione verso forme più ecologica di produzione. Ci si chiede se l’ambizioso progetto, presentato come un derivato della lungimirante visione che Winston Churchill aveva del nucleare, riuscirà a superare lo scetticismo del pubblico. Destinatario, non a caso, di una campagna di informazione dedicata: “Tutto ciò che dovresti sapere” sull’energia nucleare. Fa discutere, in particolare, il sospetto che questo rilancio sia motivato da interessi militari oltre che civili. Circostanza che rimanda a un dibattito già visto e sentito anche in Francia che questa volta il governo britannico non si è affrettato a smentire.

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