
ANSA
In un mondo in preda a instabilità e conflitti, rischia di passare sotto silenzio la drammatica crisi del debito e dello sviluppo. Una crisi che non è solo fatta di obbligazioni finanziarie nei confronti dei creditori, di questioni legali e di tassi di interesse, ma che è intrisa del futuro di intere popolazioni, dell’ambiente in cui vivono, delle possibilità di studiare, lavorare, curarsi, abitare in condizioni dignitose. Infrastrutture, sanità, educazione, adattamento al cambiamento climatico: i Paesi fortemente indebitati a tassi a doppia cifra – per la gran parte economie fragili del Sud del mondo – sono costretti a sacrificare investimenti in ambiti primari per onorare i debiti contratti all’interno di un sistema finanziario penalizzante. Serve - questo l’appello della Commissione Giubilare nominata da papa Francesco– una nuova architettura finanziaria globale, che sia al servizio delle persone e del pianeta e che non punisca i più poveri in nome del profitto.
Per raggiungere questo obiettivo, suggerisce in un rapporto la stessa Commissione presieduta dal premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, occorre promuovere finanziamenti di sviluppo sostenibili, che favoriscano il raggiungimento di obiettivi economico-sociali di lungo termine con tassi agevolati, e migliorare le attuali politiche di ristrutturazione del debito, rendendole più tempestive e praticabili e basandole sulla crescita e non sull’austerità. Cruciale, inoltre, porre fine ai salvataggi dei creditori privati, cambiando le politiche e le pratiche delle istituzioni multilaterali, tra cui il Fondo monetario internazionale. Necessario inoltre, secondo la Commissione, migliorare la trasparenza delle politiche finanziarie e rafforzare, nei Paesi fragili, le normative che possano creare contesti più stabili per gli investimenti a lungo termine.
Ad oggi, 54 Paesi in via di sviluppo spendono il 10% o più delle loro entrate fiscali solo per far fronte agli interessi del debito. Un fenomeno che va aggravandosi: l'onere medio degli interessi è quasi raddoppiato nell'ultimo decennio. «Le conseguenze sono particolarmente gravi in Africa, dove la crisi del debito è più grave. È l'unica regione in cui il debito pubblico è cresciuto più rapidamente del Pil dal 2013. Circa il 57% della popolazione del continente – 751 milioni di persone, di cui quasi 288 milioni vivono in povertà estrema – risiede in Paesi che spendono di più per il servizio del debito estero che per l'istruzione o l'assistenza sanitaria», sottolinea il rapporto, presentato ieri in Vaticano durante un evento introdotto dal cardinale Peter Turkson.
Secondo gli esperti, lo sviluppo comporta intrinsecamente dei rischi – che siano derivanti da investimenti a lungo termine, dall'esposizione alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime o dalla vulnerabilità agli choc esterni – ma lo sviluppo sostenibile «richiede che tali rischi siano distribuiti a livello globale in modo efficiente ed equo. L'onere dovrebbe essere sostenuto da coloro che sono maggiormente in grado di assorbirlo, cosa che il sistema attuale non offre». In questo contesto, «le soluzioni devono andare oltre un sollievo temporaneo o modeste riduzioni del servizio del debito. Ciò che serve è un nuovo modello economico incentrato sul rafforzamento degli investimenti a lungo termine».
Il sistema finanziario internazionale «riflette e rafforza profonde asimmetrie strutturali tra economie in via di sviluppo e avanzate, che a loro volta determinano le condizioni di indebitamento dei Paesi, i costi che devono affrontare e le conseguenze di tale indebitamento. Queste asimmetrie non sono solo economiche; sono storiche e politiche, preservate da un ordine internazionale plasmato dai più potenti e strutturato in modo da favorirli». I Paesi che dipendono fortemente dall'esportazione di materie prime, spesso con poco potere negoziale, sono percepiti come debitori più rischiosi: il mercato del credito internazionale assegna loro tassi di interesse anche più alti rispetto a quelli giustificabili con il maggior rischio di default. Questi Paesi vedono così limitata «la loro capacità di investire nella trasformazione economica di cui hanno bisogno, rafforzando un circolo vizioso di sottosviluppo e disuguaglianza». Il mercato del credito è inoltre sempre più frammentato e in mano a soggetti privati, il che rende molto più complicati, rispetto al passato, i negoziati in caso di necessità di ristrutturazione del debito. «I fondi pubblici agevolati sono spesso vincolati a progetti a basso rischio e basso impatto, tipicamente nei Paesi a medio reddito, anziché essere destinati a politiche industriali, ammodernamento tecnologico o infrastrutture critiche – rileva il rapporto -. Dal 2015, meno dell'8% dei finanziamenti misti mobilitati a livello globale ha raggiunto i Paesi a basso reddito».
Venticinque anni fa, in occasione del Giubileo del 2000, vennero cancellati oltre 100 miliardi di dollari di debito internazionale, ma la mancanza di riforme strutturali e il sistematico perseguimento del profitto a ogni costo hanno aggravato la situazione per le economie fragili, che vedono allontanarsi gli obiettivi di sviluppo. Lo studio presentato ieri ribadisce ora con forza che «la comunità internazionale ha l’obbligo morale» di promuovere una nuova iniziativa di riduzione del debito a favore degli Stati fortemente indebitati. «La crisi del debito sta soffocando gli investimenti nella salute, nell'istruzione e nel clima, e sta rendendo drammatica la situazione economica e sociale di molte economie in via di sviluppo – ha evidenziato Martín Guzmán, ex ministro dell’Economia argentino e membro della Commissione –. In questo anno giubilare, è necessario che la volontà internazionale si adoperi per affrontare la crisi del debito e dello sviluppo. In caso contrario, le disuguaglianze di opportunità sono destinate ad aumentare e l'instabilità ad aggravarsi, con conseguenze destabilizzanti a medio termine in tutto il mondo». «La crescita sostenibile deve essere per tutti, non per pochi”, ha rimarcato anche Alfonso Apicella, responsabile campagne globali di Caritas Internationalis, richiamando l’attenzione sul «costo dell’inazione» e sulla necessità di rendere ancora più consapevole l’opinione pubblica sul tema del debito e dello sviluppo.
«In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri», ha sottolineato papa Leone XIV in occasione del suo insediamento. Occorre dunque adoperarsi per un nuovo Giubileo, l’appello giunto ieri anche dagli esperti autori del rapporto. «L'attuale sistema del debito è al servizio dei mercati finanziari, non delle persone – la conclusione del Nobel Stiglitz -. Questo rischia di condannare intere nazioni a un decennio di crisi, o peggio. È giunto il momento di agire in modo responsabile».