mercoledì 27 aprile 2016
​Dall'Ambrosiano sanato alla prima banca del Paese. Oggi l'ultima assemblea da presidente dopo 30 anni.
 Così un non banchiere ha segnato la rivoluzione del sistema italiano (Marco Girardo)
Intesa SanPaolo, l'eredità di Bazoli
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Dopo 34 anni dalla sua nomina a presidente dell’istituto sorto sulle ceneri del crac dell’Ambrosiano di Roberto Calvi, Giovanni Bazoli, classe ’32 e laurea in giurisprudenza, lascerà oggi ufficialmente la presidenza di Intesa Sanpaolo in occasione dell’assemblea dei soci a Torino. A succedergli è Gian Maria Gros-Pietro, mentre a lui, come stabilito dal nuovo statuto, andrà la carica, non retribuita, di presidente emerito. Un mandato di tre anni a garanzia della transizione della governance duale da lui architettata dopo la fusione con Torino al nuovo sistema monistico. Un incarico che servirà non soltanto a promuovere le numerose iniziative culturali della banca, ma anche a fornire consigli al board guidato da Carlo Messina: 'il professore' potrà infatti esprimere pareri e partecipare alle riunioni del consiglio, con funzione consultiva, su richiesta del presidente o del consigliere delegato. Negli ultimi anni, però, Bazoli è stato più volte accusato di «eccessivo attaccamento alla poltrona». Attacchi che sono arrivati non solo dai piccoli azionisti in assemblea, ma anche da Diego Della Valle, soprattutto sul fronte del partecipata Rcs. Il banchiere bresciano a questi attacchi ha sempre risposto a viso aperto e proprio in occasione dell’ultima riunione dei soci aveva avuto modo di chiarire: «Sta per concludersi una lunga esperienza, ma anche una mia grande responsabilità nel sistema bancario italiano. Una delle ragioni che mi aveva spinto ad accettare questo compito era l’intento di dimostrare la capacità di agire ad alto livello nella finanza mostrando correttezza, per contribuire al recupero di fiducia nel Paese. Ritengo di averlo fatto». Giovanni 'Nanni' Bazoli, longevo quanto brillante banchiere, verrà acclamato fra poche ore Presidente onorario di Intesa San Paolo: il maggior istituto creditizio nazionale con forte radicamento all’estero. Più che un premio, un riconoscimento per la straordinaria avventura professionale, in non poca misura realizzata suo malgrado: per «spirito di servizio» anziché per ambizione. Nel Gotha bancario europeo, Bazoli è considerato a giusto titolo l’erede dei mitici Raffaele Mattioli della Comit e di Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca. Eppure, fosse stato per lui, ormai cinquantenne (è nato a Brescia il 18 dicembre 1932), avrebbe sicuramente preferito continuare la carriera universitaria (cattedra di diritto amministrativo alla Cattolica di Milano), di avvocato nello studio di Mino Martinazzoli, di vice presidente della banca San Paolo di Brescia che si stava occupando del salvataggio della siderurgia locale. Felicemente sposato (con prole) con Elena Wuhrer, 'signora della birra', il Nanni pareva professionista e studioso sereno e soddisfatto. Un’unica debolezza: l’incontenibile passione per il Brescia calcio. Tifoso fra i tifosi, alla tribuna preferisce le gradinate, talvolta partecipando ai riti degli ultras. La famiglia Bazoli è fra le più rappresentative della città. Il nonno fu fra i fondatori dello sturziano partito Popolare. Papà Stefano, avvocato di spicco e cattolico- liberale deputato nelle liste Dc, poi messo in disparte per aver denunciato la rinuncia agli ideali e la corsa al potere. Il fratello Luigi assessore all’urbanistica che rinnovò interi quartieri mettendo a disposizione alloggi per i meno abbienti. Di 'uscire dal guscio', il Nanni proprio non pensa. A snidarlo sono il notaio Giuseppe Camadini, esponente dell’imprenditorialità bresciana, e il ministro del Tesoro Nino Andreatta. Il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi concorda: per risollevare il glorioso Banco Ambrosiano, vittima delle malefatte di Roberto Calvi, occorre una figura nuova, specchiata. «Non volevo venire qui. Mi sono adoperato molto perché nascesse il nuovo Ambrosiano, ma era lontano da me il pensiero che la responsabilità massima cadesse sulle mie spalle», confiderà Bazoli a Giampaolo Pansa. «Gli incarichi economici, come quello che ora ho, non possono diventare una professione. Non sono qui per durare ad ogni costo...».  Viene da pensare che nell’occasione della sofferta nomina a Bazoli sia mancata la possibilità di chiedere un’opinione a Papa Paolo VI, cui la famiglia era legatissima, nati com’erano sulla stessa terra bresciana. Il Nanni era più d’una volta in Vaticano a salutare il monsignore amico; ed allorché questi divenne cardinale a Milano, le frequentazioni si moltiplicarono. Cementati da una forte spiritualità, e da comuni ansie. Col Pontificato le occasioni si fecero rare, ma Bazoli affiancando Camadini edificò a Concesio un Centro culturale ad imperitura memoria di Giovanni Battista Montini. È dunque con interiore sofferenza che il Nanni accetta la guida dell’Ambrosiano. Lo spiegherà qualche anno più tardi al gruppo Culturale Etica Finanza, ispirato dal cardinale Carlo Maria Martini: «Gli Enti e le persone che si assunsero la responsabilità di prendere in mano l’azienda si trovarono di fronte a scelte di decisiva rilevanza (...). La decisione iniziale d’impegnarsi in un’impresa che a molti sembrava disperata fu dettata anche dall’intento di realizzare un disegno di utilità generale e respiro ideale. Questo disegno motivò oltre che gli uomini direttamente impegnati nella gestione, il ministro del Tesoro Andreatta e il goverantore Ciampi, che fecero anch’essi scelte rischiose e contrastate.  Si trattava di un progetto idealmente giustificato dall’obiettivo di rispettare le origini delle due banche coinvolte (Ambrosiano e Cattolica del Veneto), e quindi tutelare le tradizioni civili e spirituali delle comunità in cui tali Istituti avevano sempre operato». Il linguaggio, pacato e diplomatico, di Bazoli fa riferimento a uno scontro durissimo ai vertici del sistema finanziario, avvenuto nell’estate-autunno 1989 quando, superato il periodo cruciale della crisi maturata nell’Era Calvi, il Nuovo Ambrosiano ha preso a marciare sulle proprie gambe. Riproponendosi di assorbire la Banca Cattolica del Veneto (sarà l’Ambroveneto), intende compiere un salto di qualità. L’armonia fra i membri del «sindacato di controllo» (Gemina-Fiat, Popolare di Milano di Piero Schlesinger, San Paolo di Brescia, Popolari cattoliche venete, il pubblico Crediop), in realtà apparente. Soprattutto non piace ad Enrico Cuccia di Mediobanca che v’intravede un pericolo per la sua egemonia. Quindi manovra per attrarre Bazoli nella sua orbita, riducendolo a presidentetravicello. Consapevole del pericolo, il Nanni chiede sostegno a Ciampi, Andreotti e Bettino Craxi. Tutti preoccupati dello strapotere di Cuccia-Mediobanca, assicurano a Bazoli il loro appoggio. Nel comprensibile timore che attorno a Mediobanca si formi un potentato fuori da ogni controllo politico-istituzionale. Però, non intendendo esporsi oltre misura invitano Bazoli a trovare un alleato.  Un Cavaliere bianco! E Bazoli compirà il miracolo: il francese Credit Agricole entra con il 20% nel capitale dell’Ambroveneto che ha assunto il nome di Banca Intesa. Perché «Intesa»? Il logo, carico di sottofondo politico in un periodo di spietate guerre bancarie, nasce in realtà da un poco conosciuto coté romantico di Bazoli. «Intesa» era il nome di una piccola finanziaria bresciana da lui creata in gioventù. Quella vittoria nel duello con Cuccia segnerà per Bazoli una svolta decisiva. Mentre la stella dello gnomo di via Filodrammatici prende seppur lentamente a declinare il suo prestigio inizia a crescere vertiginosamente. Nell’establishment si realizza la nascita di un nuovo astro, fino ad allora sottovalutato e che qualcuno, ai piani alti della Finanza, aveva financo cercato di sminuire, ribattezzandolo «Signor Nessuno» o «Non-banchiere in transito». Aggrega, aggrega, Bazoli. Da Giuseppe Guzzetti che porta in dote la Cariplo, all’ingegner Carlo De Benedetti, e si finirà con il San Paolo di Torino. Le tentazioni sono però in agguato. È l’amico di sempre Mino Martinazzoli, nella stagione di Mani Pulite che ha travolto-stravolto l’intero scacchiere politico-partitico nazionale, a chiedergli di lasciare l’abito del banchiere per indossare quello del politico: andare in Roma- Capitale. Da parlamentare, con nello zaino il bastone di presidente del Consiglio. Rifiutò senza tentennamenti: «A me tocca un’altra responsabilità: completare l’opera incompiuta di Banca Intesa, in un momento decisivo per il sistema economico italiano». Pare mai si sia pentito di quella scelta il Nanni. E dovremmo essergli grati: il suo contributo di banchiere rivelandosi decisivo per la tenuta del «Sistema Italia». Ora sarà «Onorario», ma non si dubiti della continuità del suo impegno. In primis di stampo etico.
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