lunedì 5 luglio 2021
Lo studio annuale dell’Osservatorio JobPricing analizza il valore retributivo della laurea e stila le classifiche tra Atenei
Cerimonia di laurea all'Università Bocconi di Milano

Cerimonia di laurea all'Università Bocconi di Milano - Fotogramma

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L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, che ha congelato il mercato del lavoro, ha avuto effetti più visibili sui neolaureati che su coloro che hanno una laurea già da alcuni anni. Il titolo di studio è stato comunque una garanzia di mantenimento del posto per chi era già occupato e i laureati si distinguono per un minor calo del tasso di occupazione e un minor aumento dell'inattività rispetto a chi ha titoli di studio inferiori. È quanto emerge dall’analisi dell’University Report 2021, lo studio annuale dell’Osservatorio JobPricing che analizza il valore retributivo della laurea nel mercato del lavoro italiano. Secondo lo studio, tra la retribuzione annua lorda (Ral) di laureati e non laureati c’è una differenza di circa 12mila euro lordi.

L’Italia spende mediamente meno degli altri Paesi per l'istruzione. La spesa per istruzione in termini di PIL tra le più basse d’Europa (circa 4% vs 4,6% media Ue) e la più bassa in termini di percentuale della spesa pubblica (8,2% vs 9,9% UE). La categoria più lesa però è l’istruzione terziaria: si spende, infatti, circa 8% sul totale della spesa pubblica in istruzione, contro una media Europea del 16,4%. In Italia solo il 19,6% della popolazione ha un titolo di studio accademico, contro il 33,2% medio dei Paesi Ocse. Se si considerano i giovani (25-34 anni) si sale al 27,7% contro il 44,9% della media Ocse. Ci posizioniamo penultimi nella classifica Ocse subito prima di Messico. Il tasso di abbandono scolastico si attesta al 13,5% contro un 10,2% europeo. La pandemia ha incentivato l’abbandono scolastico, in quanto la cosiddetta Dad (didattica a distanza) ha negativamente impattato sul coinvolgimento dei ragazzi più a rischio di abbandono. Abbiamo la più alta incidenza di Neet in Europa e un livello di disoccupazione tra i più alti d’Europa. Nel 2020 sale di un punto percentuale raggiungendo il 25% dei giovani tra i 15 e 34 anni contro il 24% del 20219 e il 30% dei giovani tra i 25 e i 34 anni contro il 29% del 2019. La disoccupazione dei giovanissimi (15-24 anni) nel nostro paese è tra le più alte d’Europa e dei Paesi Ocse, attestandosi a circa il 29% contro circa 17% dell’Europa e circa 12% della Ocse, inferiore solo al Costa Rica, Spagna e Grecia.

Nel contesto della crisi pandemica, sono stati i giovanissimi laureati a pagare il prezzo più alto della crisi sanitaria. L’occupazione della fascia di età 15-24, nell’ultimo anno, è diminuita di 3,9 punti percentuali, a fronte di un aumento della disoccupazione giovanile di 6,3 punti percentuali. La pandemia da Covid-19, congelando il mercato del lavoro, ha di fatto impedito ai neolaureati di accedere al mercato del lavoro. Durante la crisi pandemica, l’occupazione dei laureati è stata quella che meglio ha retto al "congelamento" del mercato del lavoro: tra il 2019 e il 2020 la variazione registrata per gli inattivi laureati risulta essere la più bassa tra tutti i livelli (1,8 contro 2,7 dei diplomati; 4,4 per licenza di scuola media e 9,3 per licenza elementare o nessun titolo). Dalla crisi del 2008 adoggi il tasso di disoccupazione dei laureati è l’unico a essere rientrato ai livelli pre-crisi. Malgrado l’aumento generalizzato della disoccupazione l’aumento per i più istruiti è stato più contenuto, tanto da essere l’unica classe ad essere rientrata nei livelli del 2009 (11,3 nel 2020; 11,6 nel 2009).

Il 24,6% sul totale degli occupati è costretta a rivedere al ribasso le proprie aspettative e ad adattarsi a svolgere un mestiere per cui è richiesto un titolo di studio inferiore a quello di cui è in possesso. Secondo il Rapporto Almalaurea 2020 sulla condizione degli occupati, questo fenomeno è in crescita: tra il 2008 e il 2018 è cresciuto del 5,7%. Il 33,5% degli occupati in possesso di un titolo di studio terziario svolge un lavoro per il quale basterebbe un titolo di studio inferiore e circa il 15% dei laureati giudica il titolo di studio poco o per nulla efficace a cinque anni dal conseguimento. Fra laureati e non laureati c’è una differenza retributiva di circa 12mila euro lordi nella Ral (39.881 € vs 27.566 € - 46%). Il divario retributivo tra laureati e non laureati cresce a seconda delle fasce di età. Nella fascia tra i 15 e i 24 anni è in media del 10% e arriva al 64% nella fascia tra i 45 e i 65 anni di età. Inoltre, i salari di chi ha un master di secondo livello crescono tre volte tanto i salari di chi ha solo un’istruzione superiore.

Lo stipendio cresce al crescere del titolo di studio. Un laureato italiano in media ha una retribuzione del 40% superiore ad un non laureato e un master di secondo livello vale il 14% in più rispetto alla laurea magistrale. Inoltre, il 46% di chi ha un master di secondo livello è dirigente o quadro, mentre solo il 5% dei diplomati di scuola superiore arrivano a ricoprire tali cariche. Un titolo di studio terziario è quindi un acceleratore di carriera e quindi un veicolo per raggiungere stipendi maggiori

LE CLASSIFICHE

  • Le Università private offrono le migliori prospettive di carriera e di guadagno: laurearsi in una università privata garantisce un salario più alto del 12% rispetto alle pubbliche e del 2% rispetto ai politecnici. I laureati in Atenei privati guadagnano in media 43.045 €, mentre chi è laureato in Università statali 38.350 € e chi nei politecnici 42.369 €.
  • Laurearsi in Ingegneria e discipline scientifiche offre le migliori prospettive occupazionali: Nella classifica stilata da Alma Laurea (2020) i laureati dei gruppi ingegneria, scientifico, chimico-farmaceutico e medico (che comprende anche le professioni sanitarie) e nelle discipline Stem hanno più probabilità di trovare un impiego a un anno dalla laurea. Meno favoriti, invece, sono i laureati dei gruppi disciplinari psicologico, giuridico e letterario.
  • Le facoltà che prospettano le migliori e le peggiori retribuzioni (tra i 25 e i 34 anni). Le migliori: Scienze Biologiche (35.782 €; +19,5% della media) Scienze Giuridiche (34.656 €; 15,8% della media) Scienze Fisiche (34.425 €; +15% della media) Le peggiori: Scienze storiche e filosofiche (25.620 €; -14,4% della media), Lingue e letterature straniere e moderne (25.543 €; -14,7% della media), Scienze pedagogiche e psicologiche (25.507€; -14.8% della media)
  • Le facoltà che prospettano le migliori e le peggiori crescite retributive (da 25-34 anni a 45-54 anni). Le migliori: Ingegneria Chimica e dei Materiali (98,4%), Scienza chimiche (85,6%), Scienze economiche (79,4%). Le peggiori: Scienze matematiche e informatiche (35%), Scienze pedagogiche e psicologiche (30,7%), Scienze fisiche (18,3%).
  • Le Università che prospettano le retribuzioni migliori e peggiori (tra 25 e i 34 anni): Le Università dove si guadagna di più sono: l’Università Commerciale Luigi Bocconi (34.662€; +15,8% dalla media), Politecnico di Milano (32.308 €; +7,9% dalla media), Luiss Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (31.870€; + 6,5% dalla media). Le peggiori: Università degli Studi di Messina (29.087 €; -2,8% dalla media), Università degli Studi di Perugia (29.013 €; -3,1% dalla media), e Università degli Studi di Cagliari (28.706 €; -4,1% dalla media)
  • Le università che prospettano i migliori e peggiori incrementi sulle retribuzioni (da 25-34 anni a 45-54 anni): le università con i migliori percorsi di carriera sono l’Università Cattolica del Sacro Cuore (+82,8%), Luiss Libera università int. degli studi sociali Guido Carli (79%) e l’Università Commerciale Luigi Bocconi (71,2%). Quelle i peggiori sono l’Università degli Studi di Messina (46,2%), l’Università degli Studi di Napoli Parthenope (46%), Università degli Studi della Calabria (43,6%).
  • Le università che prospettano le migliori e le peggiori possibilità di ricoprire ruoli apicali: In cima alla classifica l’Università Commerciale Luigi Bocconi con il 16% dei laureati che diventa dirigente e il 27,6% quadro, LUISS Libera università int. degli studi sociali Guido Carli con il 10,7% dirigente e il 24,3% quadro e il Politecnico di Milano con il 9,8% dirigente e il 21,5% quadro. In fondo alla classifica troviamo il Politecnico di Bari con il 3,4% dirigente e 20,4% quadro, l’Università degli Studi di Napoli Parthenope con il 3,4% dirigente e 16,3% quadro e Università degli Studi di Milano Bicocca 2,3% dirigente e 13,5% quadro.
  • L’investimento nell’istruzione terziaria è elevato ma richiede tempo: il pareggio dei costi sostenuti una volta che si entra nel mondo del lavoro e si comincia a guadagnare si raggiunge in media in 16,8 in sede e 20 anni fuori sede.
  • Le università con cui si ripagano più velocemente gli investimenti sostenuti durante il percorso di studi (n. anni per studenti in sede e furi sede): In cima alla classifica troviamo il Politecnico di Milano (13,6 anni in sede; 16,7 fuori sede), l’Università Commerciale Luigi Bocconi (13,9 anni in sede; 16,5 furi sede), il Politecnico di Torino (14.2 anni in sede; 16,5 anni fuori sede). In fondo alla classifica troviamo l’Università degli Studi di Napoli Parthenope (18 anni in sede; 20,9 anni fori sede), l’Università degli Studi di Messina (19,1 anni in sede; 21,1 anni fuori sede) e l’Università degli Studi di Cagliari (19,7 anni in sede; 22 anni fuori sede)
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