domenica 26 maggio 2019
Senza dirlo apertamente, Pechino risponde all'attacco all'azienda tecnologica e colpisce il gigante aeronautico americano, diventato un bersaglio facile dopo gli incidenti dei 737 Max
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Non è nello stile del governo cinese il parlare con franchezza dichiarando i propri obiettivi. La retorica del regime è invece ricca di metafore, proverbi e umanitarismo. Poi però parlano i fatti. E quelli fanno sospettare che la Cina abbia scelto Boeing come bersaglio da colpire per vendicare l’attacco americano a Huawei.

Venerdì le tredici compagnie aeree cinesi che hanno nella loro flotta dei 737 Max con l’appoggio dell’autorità nazionale per l’aviazione civile hanno chiesto all’azienda americana un risarcimento da 4 miliardi di renminbi (520 milioni di euro) per non avere potuto usare gli aerei dopo il blocco in seguito all’incidente del 10 marzo di Ethiopian Airlines. La cifra potrebbe anche aumentare: per ora si basa sull’idea di non potere fare decollare i 737 Max fino alla fine di giugno. Due di quelle compagnie, Air China e China Southern Airlines, sono direttamente controllate dallo Stato. Le altre sono private, per quanto sia vago il confine tra pubblico e privato in Cina.

Il 737 Max è fermo in tutto il mondo, ma in nessun altro Paese i vettori hanno chiesto a Boeing di essere risarciti Boeing per la Cina è un bersaglio grosso per due motivi. Il primo è che è facile da colpire, dal momento che quello del 737 Max è un problema enorme. I due aerei precipitati nel giro di sei mesi (prima di quello di Ethiopian era caduto, a ottobre 2018, quello dell’indonesiana Lion Air) hanno ucciso 356 persone e, in attesa che le indagini facciano chiarezza, sembra evidente che entrambi gli incidenti siano principalmente dovuti a un difetto nel sistema del software dell’aereo.

Il problema ancora non è stato risolto: al termine della riunione di questa settimana tra Boeing e la Federal Aviation Authority (Faa) degli Stati Uniti non è stato nemmeno possibile ipotizzare una data per il ripristino dell’operatività. La Faa ha allargato l’indagine all’intera procedura di emergenza usata dai piloti, allungando così ulteriormente i tempi per il ritorno dei 737 Max sulle piste degli aeroporti americani. Le autorità degli altri Paesi aspettano le decisioni di Washington prima di restituire a loro volta l’autorizzazione per l’utilizzo dell’aereo. Difficilmente li rivedremo prima dell’estate.

Il secondo motivo che fa di Boeing un bersaglio grosso nello scontro Usa-Cina è che fino a pochi mesi fa l’azienda non nascondeva di puntare soprattu to sul mercato cinese per la crescita dei prossimi anni. Nelle previsioni del gruppo americano, la Cina nei prossimi vent’anni avrà bisogno di 7.680 nuovi aerei, per una spesa complessiva di 1.200 miliardi di dollari per l’acquisto dei velivoli e altri 1.500 per l’assistenza. Negli ultimi quattro anni sono arrivati dalla Cina l’8% degli ordini di Boeing e un quarto di quelli per i 737 Max (96 dei 371 aerei oggi fermi sono della compagnie cinesi).

Boeing ha anche aperto un centro di allestimento dei 737 Max in in Cina, nato dall’alleanza con Commercial Aircraft Corporation of China (altro gruppo a controllo statale) e realizzato in collaborazione con i governi locali. È la sua prima struttura di questo tipo fuori dal territorio americano. Lo scorso dicembre Boeing festeggiava la consegna del primo 737 Max 8 assemblato a Renton, negli Stati Uniti, e completato in questo centro Zhoushan, in Cina.

Chissà se ce ne saranno altri. L’esplosione dello scontro tra Washington e Pechino rischia di fare naufragare i piani di espansione a base cinese di Boeing. A tutto vantaggio della sua storica rivale europea, il consorzio Airbus. Quando a marzo è venuto in Europa per firmare, tra l’altro, il memorandum d’intesa sull’ingresso del-l’Italia nel progetto della Nuova via della seta, Xi Jinping è passato dalla Francia, dove insieme a Emmanuel Macron ha siglato l’impegno per l’acquisto di 300 aerei di Airbus, una commessa da 30 miliardi di euro. Un contratto probabilmente non scelto a caso e utile a ricordare a Trump che, se la guerra dei dazi va avanti Pechino sa dove colpire.

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