Ecco come diventare un creator
La Creator economy in Italia vale oltre quattro miliardi di euro e genera più di 18mila posti di lavoro a tempo pieno

La Creator economy in Italia vale oltre quattro miliardi di euro e genera più di 18mila posti di lavoro a tempo pieno, un ecosistema fatto di contenuti digitali, community online e nuove professioni. A certificarlo è un’indagine dell’I-Com-Istituto per la competitività, realizzata per conto di Aicdc-Associazione italiana content digital creator, che ha analizzato 522 creator italiani attivi su YouTube, Instagram e TikTok con almeno 10mila follower. I risultati al 2024 mostrano che Instagram è la piattaforma a maggiore impatto economico, con un giro d’affari di 3,3 miliardi, seguita da TikTok con 447 milioni e YouTube con 280 milioni.
Anche i redditi dei singoli creator sorprendono: il guadagno medio annuo è di circa 84mila euro, più del doppio del reddito medio italiano del 2022. Naturalmente, a crescere non sono solo i profitti individuali, ma anche gli occupati: oltre 14mila a tempo pieno su Instagram, circa 2.700 su YouTube e più di 1.200 su TikTok. Numeri che fanno riflettere.
La Creator economy è oggi uno dei settori in più rapida crescita a livello globale, con una previsione di espansione fino a 528,39 miliardi di dollari entro il 2030. Un comparto che sta richiedendo professionisti sempre più preparati ad affrontare le sfide digitali di domani e riuscire così a fare la differenza. Lo sa bene la scuola di alta formazione Dema Academy (https://dema.academy/) - specializzata in digital marketing, con un design dei corsi curato insieme con il Graduate School of Management del Politecnico di Milano. «Il mestiere del content creator nasce con i social network e con l’avvento dei primi influencer - spiega Francesco Ferrari, fondatore della Content Media House milanese Hellodì ed esperto in Digital Strategy di Dema Academy -. Secondo un sondaggio condotto da Converter Kit, un creator su dieci ha iniziato per passione o divertimento. Ma tra il 2019 e il 2022 il numero dei creator è cresciuto rapidamente, con un incremento del 48%, divenendo una professione vera e propria che si è rapidamente discostata dalla figura degli influencer. Un cambio di passo importante che necessita di una formazione adeguata. Non è più tempo - e forse mai lo è stato - di improvvisarsi esperti di community social, ma è necessario prepararsi adeguatamente per conoscere e saper gestire in maniera strategica gli obiettivi aziendali».
Negli ultimi anni il panorama della comunicazione digitale è cambiato profondamente. Se una volta l’influencer era la figura chiave nel marketing online, oggi sta emergendo un nuovo protagonista: il content creator. Il creator rappresenta l’evoluzione naturale dell’influencer tradizionale, con un focus meno orientato al marketing puro e più attento allo storytelling autentico. Questa evoluzione ha conquistato anche i brand, che sempre più spesso scelgono di collaborare con micro e nano creator. Anche se questi ultimi hanno un pubblico più ridotto rispetto ai grandi influencer, offrono qualcosa di prezioso: autenticità e impatto reale sulle decisioni dei follower. Un pubblico più piccolo, sì, ma molto più coinvolto e attento.
Diventare creator non è semplice e non esiste un percorso unico o prestabilito. Tuttavia, ci sono alcune competenze fondamentali da sviluppare. Ecco i cinque suggerimenti di Dema:
1. Creare con costanza, anche se i contenuti non sono perfetti: la pratica fa la differenza;
2. Studiare i trend, ma sviluppare uno stile personale;
3. Imparare a montare video con software come Premiere o CapCut e conoscere gli strumenti di grafica (Canva, Illustrator, Photoshop): la tecnica è fondamentale;
4. Osservare i numeri: analizzare insight e performance per capire cosa funziona davvero;
5. Mettere al centro la community, non solo il contenuto.
«Oggi, essere un creator non significa più semplicemente avere un seguito o saper influenzare - sottolinea Ferrari -. Significa essere una figura strategica e competente, capace di raccontare storie, connettere le persone e coinvolgere attivamente una community. A definire un vero creator sono la sua intelligenza narrativa, la padronanza degli strumenti digitali e, soprattutto, un mindset imprenditoriale capace di trasformare una passione in una professione. E proprio per far conoscere e toccare con mano questo cambio di paradigma ai ragazzi, per creare un ponte efficace tra scuola e lavoro che abbiamo deciso di incontrare i giovani talenti milanesi: è necessario formare adeguatamente le nuove generazioni e dargli tutti gli strumenti utili per avere successo nel mondo digitale».
«Oggi, essere un creator non significa più semplicemente avere un seguito o saper influenzare - sottolinea Ferrari -. Significa essere una figura strategica e competente, capace di raccontare storie, connettere le persone e coinvolgere attivamente una community. A definire un vero creator sono la sua intelligenza narrativa, la padronanza degli strumenti digitali e, soprattutto, un mindset imprenditoriale capace di trasformare una passione in una professione. E proprio per far conoscere e toccare con mano questo cambio di paradigma ai ragazzi, per creare un ponte efficace tra scuola e lavoro che abbiamo deciso di incontrare i giovani talenti milanesi: è necessario formare adeguatamente le nuove generazioni e dargli tutti gli strumenti utili per avere successo nel mondo digitale».
L'espansione nel mercato pubblicitario
Con oltre 51mila posti di lavoro generati (18mila diretti e 33mila indiretti, tra agenzie, brand partner, consulenti, videomaker e professionisti della comunicazione) e 42 milioni di utenti attivi sui social in Italia, la Creator economy si è affermata come uno dei nuovi motori del mercato pubblicitario, superando tv e stampa per volumi di investimento. Nel 2024, infatti, gli investimenti on line hanno raggiunto i 4,2 miliardi di euro, consolidando il primato sulla spesa destinata al mercato televisivo (3,9 miliardi). Tuttavia, il lavoro che la sostiene resta invisibile: oltre il 60% dei contenuti pubblicati non è retribuito e solo un creator su cinque considera questa attività come una carriera stabile nel tempo. Il Cng-Consiglio nazionale dei giovani ha presentato i risultati dell'indagine nazionale sulla Creator economy, realizzata con il supporto scientifico di Eures-Ricerche Economiche e Sociali.
Una fotografia inedita e approfondita di un settore in continua espansione, ma ancora privo di riconoscimento giuridico e di adeguate tutele per i giovani lavoratori. Il dato più sorprendente riguarda le motivazioni: quasi l'80% dei giovani creator under 35 entra in questo mondo spinto dalla passione, più che da aspettative economiche. Condividere esperienze, idee e competenze è la molla che spinge la maggior parte dei content creator ad affacciarsi al mondo digitale. Il principale driver motivazionale è infatti il desiderio di trasmettere conoscenze (punteggio medio pari a 8,8/10), seguito dalla passione per la creazione di contenuti (8,7). Solo una minoranza monetizza tutti i contenuti prodotti (5,9%) o la maggior parte di essi (15,4%), a conferma di un settore in crescita ma ancora fragile sotto il profilo della sostenibilità economica. Le piattaforme non sono più meri spazi digitali, ma attori centrali che condizionano la produzione dei contenuti e l'organizzazione del lavoro, spesso in modo unilaterale e senza contraddittorio.
Il 76% dei creator che ha subito un ban lo ritiene ingiustificato o inspiegabile e oltre la metà non ha accesso a interlocutori diretti per gestire controversie. Solo il 6,7% di chi ha tentato di accedere al credito ci è riuscito. Una situazione che alimenta precarietà e incertezza, nonostante l'impegno quotidiano e le competenze richieste. L'82% dei creator chiede una rappresentanza collettiva per ottenere tutele giuridiche, chiarezza contrattuale e sostenibilità della propria attività. Il futuro professionale degli influencer e content creator rimane segnato da incertezza e visioni contrastanti. Soltanto il 23,6% del campione considera la propria attività come una carriera a lungo termine (50% tra quanti contano su oltre 500mila follower e 14% tra chi ne ha meno di 100mila), mentre una quota più consistente (34,2%) immagina di cambiare settore/attività nel medio-lungo periodo e l'11,8% vede il lavoro di creator come una parentesi giovanile, destinata a concludersi. Infine il 30,4% non ha alcuna ragionevole certezza al riguardo, a conferma di una realtà ancora debole nei riferimenti fondamentali che il lavoro dovrebbe invece garantire.
D'altra parte, l'instabilità è la principale fonte di preoccupazione per il 67,1% degli intervistati, seguito dalla perdita di visibilità (32,9%), dalla precarietà del lavoro (28%) e dalla difficoltà di rinnovarsi (23,6%). Sette creator su dieci (70,7%) lavorano con partita Iva, cioè come liberi professionisti, il 7,1% sta valutando la sua apertura, mentre per il 22,2% risulta non necessaria (per limiti reddituali o per altre ragioni contrattuali).
Una fotografia inedita e approfondita di un settore in continua espansione, ma ancora privo di riconoscimento giuridico e di adeguate tutele per i giovani lavoratori. Il dato più sorprendente riguarda le motivazioni: quasi l'80% dei giovani creator under 35 entra in questo mondo spinto dalla passione, più che da aspettative economiche. Condividere esperienze, idee e competenze è la molla che spinge la maggior parte dei content creator ad affacciarsi al mondo digitale. Il principale driver motivazionale è infatti il desiderio di trasmettere conoscenze (punteggio medio pari a 8,8/10), seguito dalla passione per la creazione di contenuti (8,7). Solo una minoranza monetizza tutti i contenuti prodotti (5,9%) o la maggior parte di essi (15,4%), a conferma di un settore in crescita ma ancora fragile sotto il profilo della sostenibilità economica. Le piattaforme non sono più meri spazi digitali, ma attori centrali che condizionano la produzione dei contenuti e l'organizzazione del lavoro, spesso in modo unilaterale e senza contraddittorio.
Il 76% dei creator che ha subito un ban lo ritiene ingiustificato o inspiegabile e oltre la metà non ha accesso a interlocutori diretti per gestire controversie. Solo il 6,7% di chi ha tentato di accedere al credito ci è riuscito. Una situazione che alimenta precarietà e incertezza, nonostante l'impegno quotidiano e le competenze richieste. L'82% dei creator chiede una rappresentanza collettiva per ottenere tutele giuridiche, chiarezza contrattuale e sostenibilità della propria attività. Il futuro professionale degli influencer e content creator rimane segnato da incertezza e visioni contrastanti. Soltanto il 23,6% del campione considera la propria attività come una carriera a lungo termine (50% tra quanti contano su oltre 500mila follower e 14% tra chi ne ha meno di 100mila), mentre una quota più consistente (34,2%) immagina di cambiare settore/attività nel medio-lungo periodo e l'11,8% vede il lavoro di creator come una parentesi giovanile, destinata a concludersi. Infine il 30,4% non ha alcuna ragionevole certezza al riguardo, a conferma di una realtà ancora debole nei riferimenti fondamentali che il lavoro dovrebbe invece garantire.
D'altra parte, l'instabilità è la principale fonte di preoccupazione per il 67,1% degli intervistati, seguito dalla perdita di visibilità (32,9%), dalla precarietà del lavoro (28%) e dalla difficoltà di rinnovarsi (23,6%). Sette creator su dieci (70,7%) lavorano con partita Iva, cioè come liberi professionisti, il 7,1% sta valutando la sua apertura, mentre per il 22,2% risulta non necessaria (per limiti reddituali o per altre ragioni contrattuali).
«La nostra ricerca mette in luce uno squilibrio strutturale: nel mondo della creator economy la remunerazione dei contenuti non costituisce la regola per troppi giovani e l'instabilità è la prima fonte di preoccupazione nonostante la principale motivazione dei giovani che intraprendono questa professione sia il desiderio di trasmettere conoscenze - dichiara Maria Cristina Pisani, presidente del Cng -. Pur svolgendo spesso un'attività continuativa, professionalizzata ed economicamente rilevante, si ritrovano a vivere una condizione di debolezza sia dal punto di vista contrattuale sia da quello fiscale e previdenziale. Il settore risulta infatti ancora privo di un adeguato quadro giuridico di riferimento, solido, mirato e coerente, capace di riconoscere in maniera piena la specificità delle nuove figure professionali e delle condizioni di lavoro in questo ambito. Il lavoro c'è, il valore economico anche, ma dietro il boom economico si nasconde una realtà professionale fragile e diseguale per troppi giovani nel nostro Paese. Ci troviamo di fronte a un vuoto normativo inaccettabile, che espone migliaia di giovani a rapporti unilaterali, decisioni algoritmiche inappellabili, blocchi arbitrari e condizioni economiche precarie».« Serve - aggiunge Alessandro Fortuna, consigliere di presidenza Cng - una risposta urgente: modelli contrattuali trasparenti, riconoscimento professionale e un nuovo impianto normativo che restituisca diritti a chi oggi è l'anello più debole dell'ecosistema digitale».
YouTube diventa la nuova tv
Nel 2025, YouTube non è più soltanto la piattaforma dei video amatoriali: è diventata il principale mezzo di intrattenimento globale, con 2,7 miliardi di utenti attivi ogni mese. Secondo la ricerca presentata da Flatmates – content creator agency co-fondata da Marcello Ascani, Michele Pagani e Gummy Industries - l’evoluzione di YouTube segna un punto di non ritorno: la tv lineare perde terreno, mentre la piattaforma di Google conquista sempre più schermi domestici e quote di tempo di visione, soprattutto tra i giovani adulti. «Il fenomeno che stiamo osservando è un travaso di attenzione e fiducia - afferma Alessandro Mininno, Head of Expansion di Flatmates -. Oggi l’82% degli utenti percepisce i creator di YouTube come più affidabili della televisione tradizionale. È un dato che ha cambiato radicalmente le strategie dei grandi inserzionisti».
A confermare questo trend è la decisione di Unilever, a livello globale, di allocare il 50% del budget pubblicitario direttamente sui creator, raddoppiando gli investimenti rispetto a due anni fa (prima era inferiore al 30%). Il report di Flatmates evidenzia come l’ecosistema di YouTube si sia biforcato in due modalità di fruizione:
● Lean-in, quando l’utente cerca tutorial, recensioni e contenuti approfonditi
● Lean-back, l’esperienza passiva simile alla tv tradizionale, con video consigliati e short che scorrono in loop.
Oggi il 97% della popolazione italiana tra 18 e 54 anni utilizza YouTube, che diventa il primo canale di streaming guardato sugli smart tv. Negli Stati Uniti, la piattaforma è guardata principalmente in salotto: un miliardo di ore di video vengono visti su tv ogni giorno. Un cambiamento che non riguarda solo la quantità, ma anche la qualità della produzione: il 73% del tempo di visione negli Stati Uniti è dedicato a video di lunga durata, come documentari, podcast video e format narrativi di stampo televisivo.
Negli ultimi quattro anni:
● Broadcast TV: –21% del tempo di fruizione
● TV via cavo: –39%
● YouTube: +120%, diventando nel maggio 2025 lo streamer con la share tv più alta mai registrata (12,5% di share)
Tra i giovani italiani (18-24 anni), il sorpasso è avvenuto: 59% del tempo video è speso on line, contro il 41% della TV tradizionale. Nella fascia 25-34 anni, il dato si attesta al 52% on line. «Si è passati da una creator economy artigianale a produzioni da milioni di dollari. Mr Beast è l’esempio più iconico: per un solo video, può investire 3,5 milioni di dollari. Ma dietro queste cifre c’è la capacità di attivare community enormi e generare download o acquisti immediati», osserva Mininno
Un aspetto centrale della presentazione riguarda la formazione dei trend su YouTube. Flatmates descrive un modello in tre fasi:
● Identity – Il contenuto risuona con i valori e le aspirazioni dell’audience;
● Emotion – Genera sorpresa, empatia o desiderio di partecipazione;
● Action – Induce iscrizioni, commenti, acquisti o condivisioni.
«Ogni trend che esplode, dai Try On Haul ai video di restyling domestico, segue questo schema - continua Mininno -. E non si tratta di mode passeggere. Sono format che funzionano perché rispondono a un bisogno di identificazione e coinvolgimento attivo».
Il successo è legato a metriche chiave:
● Ctr-Click-through rate: più alto è, più l’algoritmo premia il contenuto;
● Avd-Average view duration: durata media di visione;
● Avp-Average view percentage: percentuale media di completamento.
Flatmates mappa inoltre quattro aree di crescita verticale:
● Video Essay: contenuti di approfondimento con uno stile autoriale, capaci di generare centinaia di milioni di visualizzazioni. Hanno raggiunto circa 200 milioni di visualizzazioni nel 2024.
● Video Podcast: talk show lunghi e rilassati che uniscono l’informalità dei creator e la struttura televisiva. Hanno sostituito i talk show tradizionali come principale piattaforma di discussione e raggiunto circa 400 milioni di ore/mese di visione.
● Shorts: clip verticali sotto i 60 secondi, sempre più potenti come driver di scoperta, con 70 miliardi di visualizzazioni al giorno (+50% YoY). I canali che pubblicano shorts vedono una crescita media del 350% dei download settimanali.
● Canali “Faceless”: produzioni in cui il volto del creator sparisce, sostituito da voice-over, animazioni e storytelling visivo. Hanno visto una crescita delle ricerche del +6.200% in 5 anni.
Un’ulteriore tendenza è la progressiva ibridazione con la tv: brand come Nickelodeon, Red Bull e Ulta Beauty hanno iniziato a produrre serie originali pensate direttamente per YouTube, un territorio che prima apparteneva esclusivamente ai broadcaster.
Alcuni format hanno poi trovato un terreno fertile:
● Restyling e makeover domestici: trasformazione di spazi, storytelling estetico;
● Try On Haul: +138% di ricerche in cinque anni;
● Produzioni di dimensione televisiva: Mr Beast ha investito 3,5 milioni di dollari per un solo video, generando +350% di nuovi download settimanali negli Usa e +54% di spesa in-app.
Un dato salta all’occhio su tutti, che conferma come Youtube sia un trend destinanto a durare nel tempo: l’82% degli utenti considera i creator di YouTube più affidabili di quelli di altre piattaforme. Il 91% degli spettatori in Europa e Medio Oriente ritiene che un contenuto di qualità debba eccellere sia a livello tecnico che emotivo. L’analisi di Flatmates non si limita alle statistiche, ma suggerisce ai brand e ai creator un cambio di prospettiva. «Nel 2025 YouTube non è più un canale di contorno. È la piattaforma principale su cui costruire format, storie e community. Chi non sa adattarsi al linguaggio ibrido tra video brevi e produzioni long form rischia di perdere rilevanza, conclude Mininno.
Il messaggio è chiaro: mentre la Creator economy diventa sempre più professionale e strutturata, anche i brand devono evolvere da semplici inserzionisti a produttori di contenuti credibili e riconoscibili. È la fine di un’epoca in cui bastava sponsorizzare un video. Oggi serve partecipare attivamente alla cultura on line.
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