I giovani italiani andranno in pensione a 70 anni
di Cinzia Arena
L'allarme dell'Ocse: la popolazione in età lavorativa diminuirà del 35% nei prossimi 40 anni. Unica strategia posticipare l’uscita e favorire l’occupazione degli over 60. Preoccupa il gender gap: le donne hanno assegni inferiori del 29%

I giovani che iniziano oggi a lavorare andranno in pensione a 70 anni. Succederà in Italia ma anche in altri Paesi alle prese con un consistente invecchiamento della popolazione. La previsione è contenuta nel rapporto del’Ocse “Pensioni in sintesi 2025” presentato ieri. «Si tratta di una sfida strutturale fondamentale, con significative implicazioni economiche, fiscali e sociali’» ha spiegato il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann. «Viviamo più a lungo e in salute, quindi dobbiamo lavorare più a lungo» ha aggiunto indicando come unica soluzione l’aumento dell’età pensionabile effettiva e dell’occupazione tra gli over 60. Secondo il numero uno dell’Ocse, si prevede che la popolazione in età lavorativa diminuirà del 13% nei prossimi 40 anni e che il Pil pro capite diminuirà del 14% entro il 2060. I Paesi, ha aggiunto «dovranno quindi affrontare una pressione al ribasso sulle loro entrate, in un contesto di crescente spesa correlata all’invecchiamento demografico». L’invecchiamento della popolazione, si legge nello studio, è dovuto «ai bassi tassi di natalità e alle maggiori aspettative di vita» che continueranno ad aumentare la pressione fiscale sui sistemi pensionistici «in un periodo di elevato debito pubblico e di esigenze di spesa contrastanti». La popolazione dei paesi Ocse invecchierà rapidamente nei prossimi 25 anni: entro il 2050 ci saranno 52 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra 20 e 64 anni, rispetto alle 33 del 2025 e alle sole 22 del 2000.
L’aumento previsto entro il 2050 è particolarmente forte in Corea, di quasi 50 punti, e nel nostro Paese dove sarà di oltre 25 punti come in Grecia, Polonia, Repubblica Slovacca e Spagna. Si prevede che la popolazione in età lavorativa, composta da persone di età compresa tra 20 e 64 anni, in Italia diminuirà del 35% nei prossimi 40 anni. Indispensabile per rendere sostenibile il sistema pensionistico che ci sia un tasso elevato di occupati over60. «Il tasso di occupazione dei lavoratori di età compresa tra 60 e 64 anni è raddoppiato dal 2012, ma, attestandosi al 47%, nel 2024 l’Italia è ancora 10 punti percentuali al di sotto della media Ocse» si legge nel rapporto. Ulteriori miglioramenti nell’occupazione dei lavoratori più anziani attenuerebbero il forte calo previsto in Italia della popolazione in età lavorativa, di oltre un terzo entro il 2060. «Questo calo - avverte l’Ocse - avrà un impatto negativo sia sulla base contributiva pensionistica che sulla crescita del Pil». La spesa pensionistica pubblica si attesta a circa il 16% del Pil in Italia, percentuale superata solo dalla Grecia nell’Ocse, di cui almeno un quarto non finanziata dai contributi pensionistici.
In base alla legislazione vigente l’età pensionabile nei Paesi Ocse passerà da 64,7 a 66,4 anni per gli uomini e da 63,9 a 65,9 per le donne per chi inizia a lavorare oggi, con una media di 66,1 anni. Varierà dai 62 anni in Colombia, Lussemburgo e Slovenia ai 70 anni o più in Italia appunto, ma anche Danimarca, Estonia, Italia, Paesi Bassi e Svezia. Attualmente l’età pensionabile è indicizzata interamente all’aspettativa di vita nel nostro Paese e in Danimarca, Estonia, Grecia, Italia e Repubblica Slovacca, mentre in Finlandia, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia viene aumentata di due terzi dell’aumento dell’aspettativa di vita. Eliminare gradualmente la possibilità di andare in pensione prima dei 64 anni, vale a dire in media tre anni prima dell’età pensionabile, secondo l’Ocse è un passaggio obbligatorio per aumentare l’occupazione in età avanzata e limitare l’attuale pressione fiscale.
Un altro correttivo indicato dall’Ocse è la riduzione del gap pensionistico di genere. Le donne percepiscono pensioni mensili mediamente inferiori di un quarto a quelle degli uomini nei Paesi dell’Ocse un divario che da un minimo del 10% in Estonia, in Islanda, in Slovacchia, in Slovenia e in Repubblica ceca ad un massimo del 35 % in Austria, Messico, Olanda e Regno Unito, per arrivare fino alla punta massima del 47% in Giappone. Dal 2007 ad oggi il divario è diminuito passando dal 28 al 23%. L’Italia, nonostante un miglioramento sensibile, è ancora al di sopra della media con pensioni più leggere del 29%. Il miglioramento della situazione delle donne senior e il loro equo compenso occupano un posto centrale nei dibattiti sulle riforme delle pensioni, dalla Francia, al Messico, fino alla Germania e al Giappone, per citare solo alcuni Paesi.
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