Vecchie e nuove fondazioni crescono
Il caso Armani ha contribuito ad accendere l'attenzione su un mondo in fermento. Ecco una guida per capire come è fatto l'ecosistema e chi c'è dentro

Come direbbero i giovani, “c’è hype attorno al mondo italiano delle fondazioni”. Come mostra l’Istat, dopo anni di stagnazione, il settore mostra una discreta crescita numerica: da 7.500 unità con oltre 98.000 dipendenti nel 2016, delle quali 298 (con 1.150 dipendenti) attive nel settore della filantropia e della promozione del volontariato, a 8.713 con oltre 118.000 dipendenti nel 2023, della quali 763 attive nel settore della filantropia e della promozione del volontariato con 1.707 dipendenti. A ciò va aggiunto che, solo trent’anni fa, occuparsi di fondazioni o lavorare in una di esse evocava libri polverosi, stanze ovattate e chiuse, anziani e noiosi cattedratici.
Oggi le fondazioni sono “di moda”, in tutti i sensi: la Fondazione Giorgio Armani è solo l’ultimo esempio che ha occupato le pagine dei quotidiani, ma accanto ad essa operano anche le Fondazioni Zegna, Prada, Ferragamo e Gucci, tutte nate negli ultimi trent’anni. Ma non sono solo le imprese della moda ad avere scoperto lo strumento giuridico della fondazione. Molte altre imprese industriali e dei servizi hanno creato le proprie fondazioni: Accenture, Amplifon, Bracco, Campari, Dalmine, Enel, Eni, EY, Intesa San Paolo, McDonald, Unicredit e Unipolis, solo per citarne alcune. Queste fondazioni (di solito denominate fondazioni di impresa) sono generalmente dotate di patrimoni relativamente modesti e operano grazie ai contributi che sono loro trasferiti annualmente dalle imprese che le hanno costituite. Alcune sono semplicemente una cassaforte di partecipazioni, altre svolgono attività erogativa o operativa coerente con ciò di cui si occupa la casa madre. Tuttavia, non disponiamo di informazioni precise né sul loro numero né, tantomeno, sui patrimoni e sulle risorse di cui dispongono, se non in maniera aneddotica.
Ma esistono altri tipi di fondazioni. Ad esempio, disponiamo di molte informazioni dettagliate sulle fondazioni di origine bancaria, 85 istituzioni nate all’inizio degli anni Novanta del Novecento dalla trasformazione delle casse di risparmio e delle banche pubbliche, dotate di patrimoni complessivi superiori ai 40 miliardi di euro e che, nel 2024 hanno erogato oltre 1 miliardo di euro a fondo perduto a cause filantropiche in settori diversi, dall’arte allo sport passando per sanità e servizi alla persona. Dalla spinta delle fondazioni di origine bancaria si sono sviluppate in Italia anche le fondazioni di comunità, soggetti che – oltre a erogare risorse e a gestire progetti – mirano a raccogliere donazioni diffuse che ne alimentino il patrimonio e, di conseguenza, la stessa capacità erogativa. Sono ormai oltre 52 le organizzazioni di questo tipo diffuse in Italia ma, anche nel loro caso, non sono disponibili informazioni aggregate sulle dimensioni e l’attività svolta.
Come stiamo capendo, i diversi tipi di fondazioni si possono distinguere a partire dallo scopo che perseguono (che può essere filantropico o anche solo di controllo di un’impresa), dalla attività svolta (che può essere di erogazione oppure direttamente operativa o anche di pura gestione delle partecipazioni finanziarie), dall’origine del patrimonio (che può arrivare dalla donazione di una sola persona fisica, di un’impresa o dalla trasformazione di attività pubbliche o semi-pubbliche) e, infine, dall’origine delle risorse disponibili (che possono derivare dalla gestione del patrimonio, da donazioni o dalla vendita di beni e servizi).
A fianco dei tipi di fondazioni che abbiamo descritto, probabilmente più noti al pubblico perché più visibili, operano anche molte fondazioni che sono state create direttamente da individui o famiglie che intendevano destinare una parte del proprio patrimonio a finalità di tipo filantropico. Si tratta delle cosiddette fondazioni di famiglia, come ad esempio la fondazione Peppino Vismara, la fondazione Paideia o la Golinelli. E’ forse l’angolo più sconosciuto del mondo delle fondazioni a causa della ritrosia di alcuni fondatori a dare visibilità alla propria attività, come pure delle piccole dimensioni, dell’operatività locale o delle finalità molto specifiche di alcune di queste entità. Si tratta tuttavia di un settore che pare mostrare una discreta crescita nel corso del tempo e che probabilmente crescerà ancora di più nei prossimi anni, quando si realizzerà un cospicuo passaggio di ricchezza tra generazioni, con molte persone anziane, prive di eredi diretti, che potrebbero trovare nella creazione di una fondazione una buona destinazione per parte del proprio patrimonio.
Poiché le statistiche ufficiali non aiutano ancora ad avere informazioni precise su questo mondo, Avvenire sta compiendo un percorso che porterà a scoprirne alcuni soggetti rilevanti ed emblematici, permettendo – allo stesso tempo – di mettere e a fuoco alcuni snodi problematici nelle strategie, nelle attività e nella regolazione di questi soggetti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






