Impresa e Fondazione: Dallara rigenera la Val di Ceno
di Redazione
Sull’Appennino parmense l’attività aziendale nella produzione di telai per auto da corsa si è allargata a iniziative sociali e a luogo di confronto

In Italia, quasi il 60% del territorio è classificato come area interna: luoghi più periferici, in termini di accesso ai servizi essenziali, nei quali i giovani se ne vanno e le comunità invecchiano. La Val Ceno, nell’Appennino parmense, è uno di questi luoghi. C’è chi, però, ha sempre deciso di rimanere, come l’ingegner Giampaolo Dallara. Nella piccola cittadina in cui è nato, Varano de’ Melegari, ha fondato nel 1972 l’azienda che porta il suo nome, la più famosa nel mondo per la produzione di telai per auto da corsa. Lo ha fatto con tanti amici provenienti dalla Fiat, che avevano lasciato un posto fisso per intraprendere questa avventura: «Verso di loro e molti altri nutro grande riconoscenza. E verso Varano ho un forte desiderio di restituire tutto ciò che il territorio, il paese e le persone mi hanno dato», spiega Giampaolo Dallara. Lo ha fatto nel 2018 con la Dallara Academy, un edificio realizzato dall’architetto Alfonso Femia che unisce museo d’impresa, laboratori interattivi e alta formazione per giovani ingegneri. E lo fa oggi con la Fondazione Caterina Dallara, trasformando quello che era un vecchio fienile inutilizzato in un luogo di socialità e incontro.

L’edificio, sempre a firma di Femia, si trova ai bordi della Strada Blu, la provinciale 28 che attraversa i campi di Varano. Un luogo che si caratterizza per il senso di leggerezza ottenuto tramite l’uso dei materiali, ampie vetrate e giochi di trasparenze che entrano in perfetta armonia con il territorio. Una danza lieve incarnata anche dalle farfalle in ceramica bianca e blu posate sulle pareti della Fondazione. Ma è ben oltre una posa estetica: è la convinzione che un’impresa non esista senza il suo territorio, perché senza relazioni e intrecci tra comunità operosa e comunità di cura, i luoghi si svuotano. « Nelle comunità, il problema principale è la solitudine che conduce all’isolamento sociale», sottolinea la vicepresidente Angelica Dallara. «Con la Fondazione ci proponiamo di contrastare questo senso di estraneità attraverso progetti che “facciano comunità”».
La Fondazione, infatti, è già diventata luogo in cui gli universitari della valle si ritrovano per studiare e partecipare ad iniziative culturali. Se per tutta l’Italia si parla di “inverno demografico”, in alcune aree questo fenomeno è particolarmente accentuato. Con una continua perdita della popolazione, i cinque Comuni della Val Ceno non riempiono più neanche un terzo dello stadio di Parma, che ha una capienza di 22mila persone. Una decrescita che conta un’unica eccezione: Varano de’ Melegari, con circa 2.500 abitanti. Di questi, mille sono impiegati in Dallara, che mantiene la sua attrattività per giovani ingegneri che vengono da lontano, anche grazie alla Motorvalley University Emilia Romagna, un corso magistrale messo a punto con altre aziende del territorio.
Che ruolo può giocare in questo contesto l’architettura? Gli anni dell’architettura-spettacolo, che a lungo si è immaginato potesse riattivare l’economia locale – dal Guggenheim di Bilbao in poi – hanno mostrato che l’effetto scenografico svanisce in fretta. L’architetto Alfonso Femia lo riconosce con chiarezza: «L’architettura da sola non è “la” soluzione: le persone restano solo radicando progetti. Ma è un atto di responsabilità e generosità: usa dialogo e ascolto per dare valore al territorio ». È allora centrale un’architettura di accoglienza che si allinei alle esigenze reali delle persone. «L’architettura non deve accontentarsi di inseguire la bellezza, né essere affermazione personale dell’architetto», insiste Femia. «Deve diventare un progetto capace di generare altri progetti, che restano nel tempo per le generazioni future». La Fondazione Caterina Dallara è stata pensata anche come uno spazio dove le generazioni possano confrontarsi e dove le differenze diventino risorsa. Questo approccio rifiuta la logica dell’intervento calato dall’alto. «Non esistono formule magiche – ricorda Femia – ma responsabilità condivise. La replicabilità è nella responsabilità e generosità dell’imprenditore di “andare oltre le mura dell’impresa”».
Un piccolo Comune come Varano non può competere con una metropoli sul piano dei servizi o delle opportunità immediate. Ma può offrire qualità della vita, appartenenza, spazi di relazione. La Fondazione, con le sue trasparenze sul parco e il portico che accoglie, diventa un dispositivo sociale: mette in contatto chi normalmente resterebbe ai margini, apre possibilità dove prima non c’era nulla. In questo senso, il progetto parla a molte altre valli e borghi italiani. Non propone una ricetta unica, ma suggerisce un metodo: partire dalle specificità locali, intrecciare impresa e cultura, usare l’architettura non come monumento ma come strumento. « Il territorio è il valore futuro e l’architettura può aiutare a rivelare questo valore», insiste Femia. Così, lungo la Strada Blu, le farfalle di ceramica sulle pareti della Fondazione ricordano che anche in una valle che negli ultimi decenni ha perso due terzi della popolazione, ci sono energie capaci di trasformare il declino in occasione. Sono un invito a fermarsi e, forse, a scegliere di restare.
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