«Il vero investimento? Dare acqua e restituire dignità ai poveri»
La presidente della Fondazione Pedrollo: «Noi ponte tra i più vulnerabili e le altre aziende che vogliono donare». Il Gruppo fattura 498 milioni: «Ciò che abbiamo va trasformato in bene comune

“Abbiamo voluto dare forma concreta all’impegno che l’azienda Pedrollo ha sempre sentito parte integrante della propria identità: quello verso le persone più vulnerabili. Ogni progetto realizzato ci ha ricordato quanto sia preziosa la solidarietà quando si traduce in azioni tangibili”. Alessandra Pedrollo, 49 anni, è la presidente della Fondazione Pedrollo ETS, nata sulle solide fondamenta dell’omonima azienda fondata da suo padre 51 anni or sono. Era il 1974 quando il giovanissimo Silvano Pedrollo partì per Dubai con in tasca un diploma in elettrotecnica e zero lire. Aveva letto un articolo in cui si diceva che laggiù l’acqua era più preziosa del petrolio e che, per averla, in futuro si sarebbero combattute guerre. Nacque così la sfida di ideare agili pompe idrauliche capaci di cavare l’acqua dal deserto (allora a Dubai c’era solo sabbia): ci riuscì e in breve divenne un leader internazionale nel settore della movimentazione dell’acqua, tra i principali produttori mondiali di elettropompe. Oggi Pedrollo Group fattura 498 milioni di euro, esporta in 160 Paesi, conta 10 aziende nel mondo e 13 filiali commerciali, dà lavoro a 1.336 persone. Fin qui la storia imprenditoriale.
Ma ce n’è un’altra più stupefacente, ed è quella “identità” di cui parla la presidente della Fondazione: la convinzione che chi possiede tanto ha il dovere di investire in solidarietà verso chi non ha nulla. Al punto che l’azienda in mezzo secolo di vita ha sempre impiegato gran parte degli utili per costruire e mantenere centinaia tra scuole, strutture sanitarie, chiese e centri di accoglienza in Africa, Asia, America Latina ed Europa, rispondendo agli appelli dei missionari di mezzo mondo.
Ora cosa cambia con la Fondazione? “Ci permette di continuare ad agire in coerenza con i nostri valori, ma programmando gli interventi in modo più sistematico e incisivo”, spiega Alessandra Pedrollo. “In pratica facciamo da ponte tra le esigenze che ci arrivano dalle realtà più bisognose e chi vorrebbe donare e non sa come muoversi. I donatori spesso non sanno di chi fidarsi e cercano una realtà che garantisca che tutto ciò che offrono arrivi a destinazione”. Insomma, se prima il ‘noi’ era solo la famiglia Pedrollo con l’azienda e i dipendenti, adesso protagonista è l’intero Gruppo Pedrollo, insieme a una cordata di altre aziende, fornitori, distributori, istituzioni. Un esempio del circolo virtuoso: l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) lo scorso dicembre ha deciso di deviare la cifra dei regali natalizi su un progetto che riuscisse a cambiare i destini di una piccola parte di umanità, “quindi ci hanno fatto un bonifico che noi abbiamo direttamente girato in Etiopia a padre Angelo Regazzo, salesiano che nel ‘Don Bosco Children Center’ da decenni accoglie i bambini di strada dando loro protezione e l’intero ciclo scolastico. Era urgente ampliare l’asilo nido e i fondi di Ance sono andati lì”. O ancora, per inviare a Cuba un container colmo di beni alimentari la Fondazione ha acquistato una grande fornitura di tonno in scatola dall’azienda Callipo, che a sua volta ha deciso di raddoppiare, “tanto avevamo speso noi, altrettanto hanno offerto loro”.
Ora cosa cambia con la Fondazione? “Ci permette di continuare ad agire in coerenza con i nostri valori, ma programmando gli interventi in modo più sistematico e incisivo”, spiega Alessandra Pedrollo. “In pratica facciamo da ponte tra le esigenze che ci arrivano dalle realtà più bisognose e chi vorrebbe donare e non sa come muoversi. I donatori spesso non sanno di chi fidarsi e cercano una realtà che garantisca che tutto ciò che offrono arrivi a destinazione”. Insomma, se prima il ‘noi’ era solo la famiglia Pedrollo con l’azienda e i dipendenti, adesso protagonista è l’intero Gruppo Pedrollo, insieme a una cordata di altre aziende, fornitori, distributori, istituzioni. Un esempio del circolo virtuoso: l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) lo scorso dicembre ha deciso di deviare la cifra dei regali natalizi su un progetto che riuscisse a cambiare i destini di una piccola parte di umanità, “quindi ci hanno fatto un bonifico che noi abbiamo direttamente girato in Etiopia a padre Angelo Regazzo, salesiano che nel ‘Don Bosco Children Center’ da decenni accoglie i bambini di strada dando loro protezione e l’intero ciclo scolastico. Era urgente ampliare l’asilo nido e i fondi di Ance sono andati lì”. O ancora, per inviare a Cuba un container colmo di beni alimentari la Fondazione ha acquistato una grande fornitura di tonno in scatola dall’azienda Callipo, che a sua volta ha deciso di raddoppiare, “tanto avevamo speso noi, altrettanto hanno offerto loro”.

Il senso della Fondazione, sottolinea però la presidente, non è donare ma costruire insieme, altrimenti non funziona: “Non siamo noi che elargiamo e facciamo, c’è un incontro di sguardi tra chi dà e chi riceve, una relazione reciproca che diventa collaborazione. D’altra parte è assolutamente vero che quando torni a casa è più quello che hai ricevuto che ciò che hai dato”. Lo ha imparato in Tanzania nella missione della Consolata di “Baba” Camillo Caliari, dove tra centinaia di bambini (tanto poveri quanto sereni perché amati) ha portato suo figlio Lorenzo, o nelle favelas brasiliane, dove un’intera famiglia vive in una stanza fatiscente “ma la bambina ti tende la sua unica bambola perché ci giochi tu... Il bisogno di restituire a quei fratelli la dignità che ogni uomo merita ti brucia dentro”.
La dignità. Parte dall’assicurare acqua e cibo, ma poi questo non basta, perché esiste anche un diritto a desiderare una vita piena e realizzata. Del resto – ricorda l’imprenditrice – ogni essere umano ha bisogni materiali ma anche spirituali e culturali, ridare dignità significa allora permettere ai bambini di andare a scuola e crearsi un futuro, alle donne di avere un’istruzione e un lavoro per essere libere di scegliere, a chi non spera in nulla di ritrovare fiducia in se stesso. Perché il risultato arrivi, però, occorre un approccio imprenditoriale, “la solidarietà, infatti, è un impegno quotidiano da vivere con serietà e passione. Grazie all’intuizione iniziale di mio padre, io e mio fratello Giulio abbiamo ricevuto un bene immenso che va trasformato in bene condiviso, mettendo in rete competenze, risorse e cuore. Ai nostri figli adolescenti, anche loro consiglieri nella Fondazione, abbiamo dato un compito per l’estate: tra le emergenze planetarie che papa Francesco ha indicato nel suo testamento spirituale saranno loro a sceglierne una e a studiare cosa fare. È anche un modo perché crescano consapevoli: che merito abbiamo noi di essere nati qui e in questa famiglia?”.
Laureata in Economia e Commercio, si sta laureando anche in Psicologia. “Sapevo tutto dei numeri – sorride –, ma mi mancava una formazione specifica per rispondere più efficacemente ai bisogni delle persone. Poi con ‘Nuovi Orizzonti’ un anno fa abbiamo aperto qui a San Bonifacio un centro d’ascolto e io mi sono chiesta se stessi dando i consigli giusti. La guarigione del cuore richiede competenza”.
Lo sa bene lei che in un momento difficilissimo della sua vita era arrabbiata con Dio, “non volevo più saperne, me n’erano successe troppe”. Ma un sacerdote, don Albano, si mise al suo fianco ad ascoltarla, “senza mai parlarmi di Dio, mi ha riaperta alla vita e alla fede”. Quello che però lei definisce “l’incontro con Dio” è avvenuto in Tanzania attraverso un neonato, Michele. Lui era appena venuto al mondo, nello stesso minuto sua mamma moriva. “L’ho preso tra le mani e ho visto tutta la fragilità, tra le mie dita avevo Dio. Quel bambino mi ha cambiata in un istante, non si ha diritto di voltarsi dall’altra parte, siamo stati chiamati in cordata, non per vivere da soli”.

Una consapevolezza già scritta nel Dna di famiglia. Fin dal giorno in cui Silvano Pedrollo – l’uomo che ha realizzato migliaia di pozzi dove l’acqua infetta faceva strage – decise che dar da bere agli assetati sarebbe coinciso con il suo stile di vita, più che con il business. All’epoca in Bangladesh erano le donne a tirare su l’acqua a mano per ore sotto il sole, e il giovane imprenditore si inventò per loro una pompa che succhiava dal sottosuolo mille litri al minuto e costava come due pizze. Quell’anno i raccolti di riso furono tre anziché due e la sua carriera fece un balzo ulteriore, ma Pedrollo non era appagato: “Mio padre decise che con gli utili delle elettropompe avrebbe costruito una scuola per sole donne, mille ragazze. Funziona tuttora”. Impossibile citare le centinaia di progetti nati in seguito ovunque, dalla A di Albania alla Z di Zimbabwe. Il diritto all’acqua rimane il pilastro fondamentale della Fondazione, perché dopo i pozzi sono arrivati allevamenti e piantagioni, i villaggi sono cresciuti, gli adulti hanno trovato un lavoro, i bambini una scuola, il mondo è cambiato. Lo aveva previsto don Luigi Pedrollo, zio di Silvano, primo collaboratore di san Giovanni Calabria e oggi in via di beatificazione: “Ti occuperai di elettropompe? Vedrai quanto bene farai”, una profezia che allora il giovane Silvano non capì. “Sto leggendo i diari del mio prozio – racconta Alessandra –, un giorno don Luigi riferì a don Calabria che per sfamare tutti i loro poveri dovevano trovare un milione. La sera san Calabria è arrivato con un orfano, ‘eccolo qua il tuo milione’, gli disse. Tocchiamo con mano tutti i giorni che la Provvidenza non manca mai un appuntamento, poi noi facciamo la nostra parte”.
Il prossimo dicembre sarà in India per il concorso annuale del giocattolo migliore… Ogni Natale, infatti, da anni i figli dei dipendenti della ditta confezionano con le loro mani i doni che lei va in una missione a consegnare a centinaia di bambini. Ogni piccolo italiano costruisce (non acquista) il giocattolo per quel bambino specifico e registra un video-messaggio personale, diretto a lui o lei, chiamati per nome. Alessandra poi torna in Italia con il video-messaggio di risposta per ciascuno. “È meraviglioso vedere come comunicano tra loro e la gioia con cui i piccoli aprono uno per volta il proprio zainetto. Per ognuno è una piccola cerimonia che si svolge davanti a tutti, ci mettiamo ore”. Non sa dirci se alla fine sono più felici loro o i bambini della Pedrollo.

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