Guzmán: «Il debito è diventato una trappola per i Paesi più fragili»
di Chiara Vitali inviata a Firenze
Il professore alla Columbia University: il rapporto giubilare fotografa l’impatto devastante sui conti pubblici di molti Stati dove la spesa per ripagare gli interessi supera quella per la sanità

C’è un’ingiustizia che mina la possibilità di vivere bene in decine di Paesi. Minaccia le scuole, gli ospedali, rende più fragili le infrastrutture. È la crisi del debito: contratto per migliorare le condizioni vita, diventa una «trappola» per le economie in via di sviluppo, come spiega Martin Guzmán, professore alla Columbia University e già ministro dell’Economia in Argentina. Guzmán ha lavorato al Rapporto Giubilare sul debito, presentato oggi al Festival Nazionale dell’Economia Civile a Firenze. Tra i temi principali dell’analisi c’è il ruolo dei creditori privati che ha reso più complessa la situazione dei Paesi fragili.
Professor Guzmán, quale è la tesi principale del rapporto?
Il nostro report presenta una diagnosi completa della massiccia crisi del debito che colpisce decine di Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa ma anche in parti dell’America Latina e dell’Asia meridionale. Più di 3 miliardi di persone vivono in Stati che spendono più risorse per ripagare il loro debito che per l’istruzione, la salute o il mantenimento delle infrastrutture, con conseguenze gravi per la vita quotidiana e un aumento della povertà. Noi presentiamo una tabella di marcia per affrontare questa crisi debitoria e, aspetto ancora più fondamentale, per riformare il sistema finanziario internazionale. Infatti è necessario ridurre l’incidenza di queste crisi che sono vere e proprie trappole per lo sviluppo.
Perché e come sono stati contratti i debiti dei Paesi in via di sviluppo?
Il panorama del debito oggi è diverso rispetto a qualche decennio fa, ci sono vari fattori da tenere in considerazione. Partiamo dal 2008: con la crisi finanziaria negli Stati Uniti, ci siamo trovati in un contesto di massiccia creazione di liquidità nei Paesi avanzati, che sono affluiti anche nel mondo in via di sviluppo. Per la prima volta questi Paesi hanno potuto collocare obbligazioni sui mercati internazionali. Ma, e questo è un punto importante, lo hanno fatto con tassi di interesse molto più alti rispetto a quelli pagati dalle economie sicure, e con scadenze brevi. Negli ultimi anni poi sono emersi nuovi creditori: oggi a fare credito sono i Paesi del Club di Parigi, quelli fuori dal Club di Parigi (tra cui il più grande è la Cina) e ancora i creditori privati e, naturalmente, le istituzioni finanziarie internazionali. Sono poi avvenuti due eventi-shock per i Paesi in via di sviluppo, il Covid-19 e la guerra in Ucraina. Questi hanno messo sotto pressione le finanze pubbliche e le banche centrali delle economie avanzate hanno reso i finanziamenti per i Paesi fragili più scarsi e più costosi. Molti di questi Paesi hanno risposto tagliando le loro spese pubbliche e per lo sviluppo. Entra in gioco un ultimo elemento: le Istituzioni internazionali finanziano i Paesi fragili, ma queste risorse vengono utilizzate proprio per rimborsare i loro debiti insostenibili contratti soprattutto con creditori privati. Quindi, alla fine, assistiamo a un salvataggio dei creditori finanziato dai contribuenti di tutto il mondo. E con grandi danni per le economie in via di sviluppo.
Come valuta l’operato del Fondo monetario internazionale?
Sta facendo molto meno di quanto potrebbe e dovrebbe fare. Come dicevo, i finanziamenti del Fmi spesso vengono usati per rimborsare i creditori: questo si deve evitare. Il Fondo dovrebbe attuare in modo più efficace una sua politica che prevede di prestare risorse per programmi di ripresa economica a patto che i Paesi non li usino per rimborsare debiti insostenibili. Nel nostro report scriviamo che se i Paesi non interrompono i pagamenti di debiti insostenibili, il FMI non dovrebbe concedere prestiti. Questo è fondamentale per cambiare la struttura degli incentivi, sia per i debitori che per i creditori.
Vent’anni fa, durante il precedente Giubileo, si erano fatti dei passi avanti nella riduzione del debito di alcuni Paesi. Il panorama che descrive oggi è invece molto diverso.
Sì, una delle principali differenze è proprio buona parte dei creditori oggi sono privati. La riduzione del debito non si ottiene più semplicemente sotto forma di cancellazione da parte di uno Stato verso un altro: è necessaria una ristrutturazione, cioè uno scambio di contratti con altri contratti che comportino un onere debitorio inferiore. Ecco perché le negoziazioni con il settore privato svolgono un ruolo cruciale. Vent’anni fa non era così.
Quali altre azioni sono necessarie?
Ogni caso è diverso. Ci sono alcuni Paesi che hanno bisogno di riduzioni del capitale del debito oltre alla riduzione dei tassi d’interesse. Ma altri non hanno livelli di debito così alti e trarrebbero beneficio da un’estensione sufficientemente lunga delle scadenze e riduzioni sufficientemente ampie dei tassi d’interesse.
A volte, le risorse che un Paese in via di sviluppo riesce a ottenere si perdono per la corruzione. Che cosa ne pensa?
Partiamo dalla consapevolezza che la responsabilità di una crisi debitoria che degenera sono condivise tra creditori e debitori. Quindi, anche i Paesi debitori dovrebbero avere maggiore responsabilità nel momento in cui decidono di indebitarsi. Gli Stati potrebbero adottare leggi che prevedano maggiore supervisione dei Parlamenti e dei Congressi alle decisioni sul debito, specialmente quando si tratta di prestiti in valuta estera. Questo contribuirebbe ad alleviare i problemi legati ai cicli politici, che si presentano quando un governo ha un orizzonte temporale troppo limitato ed è tentato di prendere decisioni che favoriscono le proprie possibilità a breve termine, anche se hanno conseguenze negative nel lungo termine per la società.
Perché è moralmente giusto pensare alla rinegoziazione del debito?
I creditori vengono compensati con un premio per il rischio legato al credito dato ai Paesi in via di sviluppo: si riconosce la probabilità di insolvenza. Quando però i problemi si concretizzano, il rischio viene trasferito dai creditori ai contribuenti di tutto il mondo. E questo è immorale.
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