Gratuità, i gesti che ci uniscono come Lego
Non c'è scambio ma donazione unilaterale, dal gesto eroico ad una piccola gentilezza, che serve per costruire altruismo e cooperazione

I beni comuni, abbiamo imparato a riconoscerli, sono beni intrinsecamente fragili. Sono soggetti, infatti, per loro stessa natura, a uno sfruttamento eccessivo e, al limite, alla distruzione. È questo il messaggio che Garret Hardin ha sintetizzato con l’espressione 'the tragedy of the commons', la tragedia dei beni comuni. Scongiurare questa tragedia è una sfida enorme per la nostra capacità di fare le cose insieme, per la nostra disponibilità a cooperare. «La massima sfida attuale alla cooperazione», come sostiene il matematico e biologo di Harvard Martin Nowak. Per questo è importante comprendere di quali risorse istituzionali, comportamentali, valoriali possiamo disporre per favorire assetti cooperativi capaci di contrastare la naturale tendenza all’erosione dei beni comuni. Abbiamo iniziato concentrandosi sul tema della reputazione e della reciprocità. Sistemi capaci di rendere conveniente investire in reputazione consentono l’emersione di comportamenti cooperativi perfino tra soggetti puramente autointeressati. È famoso l’esempio storico della tregua di Natale del 1914, quando i soldati anglo-francesi e quelli tedeschi da mesi assestati lungo i confini della temibile 'terra di nessuno' uscirono dalle rispettive trincee e attraversando quelle poche centinaia di metri di territorio conteso da entrambe le parti, si andarono incontro, si scambiarono doni e cibo, celebrarono i riti del Natale e seppellirono i propri caduti. Durante la notte della Vigilia si organizzarono partite di pallone e concerti improvvisati. La cooperazione era finalmente emersa chiaramente anche tra nemici, anche in assenza di un’autorità sovraordinata, anzi, proprio contro il volere dell’autorità sovraordinata. Quell’episodio fu l’apice di mesi di combattimenti a bassissima intensità che i soldati iniziarono a sviluppare come strategia di difesa reciproca. Decisero di far finta di combattere sparando proprio là dove sapevano che il nemico, in quel momento, non ci sarebbe stato. Alla reputazione che sostenne questo comportamento si affianca il secondo elemento su cui ci siamo concentrati e cioè quello della reciprocità. Una norma sociale universale, prima ancora che un valore diffuso in tutti i codici morali. Contribuire anche in modo costoso al benessere di chi è stato gentile con noi ma anche punire chi si è comportato in maniera ingiusta.
Una terza leva che possiamo mettere al lavoro nella tutela e nella valorizzazione dei beni comuni è quella della gratuità. Mentre sia nel caso della reputazione che della reciprocità permane sempre un elemento di scambio anche se differito e non necessariamente equivalente in valore materiale, nel caso dei comportamenti gratuiti questo elemento viene meno e rimane solo la donazione unilaterale che può, certo, suscitare un 'contro-dono' - e qui si ricade nel comportamento reciprocante - ma che da questa possibilità non originariamente è motivata. Quella della gratuità è una risorsa preziosa, scarsamente riconosciuta e per questo compressa e svilita. Si manifesta in un piccolo atto di gentilezza come in un gesto eroico. Abbiamo sempre, per esempio, il dovere di salvare qualcuno che è in pericolo di vita mettendo in pericolo la nostra? Qualche anno fa si è sviluppato un interessante dibattito tra specialisti proprio su questo punto. La dottrina della cosiddetta 'no-duty rule' prevalente tra i giuristi americani prevede che non ci sia nessun obbligo. La regola generale della legge americana sugli illeciti è che nessuno può essere ritenuto responsabile per un mancato aiuto. Non esiste nessun dovere generale di 'salvataggio ragionevole' nella giurisprudenza americana. New York. Era il 2 gennaio del 2007, poco dopo mezzogiorno. Wesley Autrey, un operaio edile cinquantenne, stava aspettando la metropolitana in una stazione vicino Broadway. Stava lì con le sue due figlie, di quattro e sei anni. Non lontano da loro sulla banchina c’era Cameron Hollopeter, uno studente di cinematografia ventenne. Improvvisamente Hollopeter crolla a terra per gli effetti di un improvviso attacco epilettico. Tenta di rialzarsi, barcolla, inciampa e finisce sui binari del treno che, nel frattempo, sta sopraggiungendo. Istintivamente, senza pensarci su un secondo, Autrey scende sui binari, raggiunge il ragazzo e, non avendo il tempo di portarlo in salvo sulla banchina, preme con il suo corpo quello del ragazzo per rifugiarsi in un canale di scolo laterale di pochi centimetri di profondità, mentre il treno gli sfreccia sopra la testa a tutta velocità. I due ne usciranno illesi.
Pochi giorni dopo Autrey dichiarò al New York Times: «Non mi sembra di aver fatto qualcosa di spettacolare. Ho visto qualcuno che aveva bisogno di aiuto e ho fatto ciò che ritenevo giusto». Vi ricorderete la vicenda più recente di Mamoudou Gassama, il ventiduenne immigrato irregolare che a Parigi, qualche anno fa, scalò a mani nude un palazzo per salvare un bambino di quattro anni che penzolava da un balcone a decine di metri di altezza. Quello di salvare qualcuno in difficoltà anche a costo di correre grandi pericoli non è un dovere per la legge, ma è, certo, un comportamento più frequente di quando la teoria non suggerisca. David Hyman, della Georgetown University, ha calcolato che ogni anno, negli Usa, circa cento persone muoiono nel tentativo di salvare la vita di un estraneo; ma il risultato più interessante è che gli esempi di 'mancato salvataggio dimostrato', cioè casi nei quali qualcuno avrebbe potuto salvare la vita a una persona e non l’ha fatto sono straordinariamente rari. Conclude Hyman: «I risultati mostrano un quadro più ricco e rassicurante del comportamento dell’americano medio di fronte alle circostanze di un soccorso (...) l’attuale dibattito non dovrebbe far passare in secondo piano il fatto che nel mondo reale la scelta di rischiare pur di salvare qualcun altro è la regola anche se non la legge» (Hyman, D., 2006. 'Rescue Without Law: An Empirical Perspective on the Duty to Rescue', Texas Law Review 84, pp. 653-737). Non tutte le forme di gratuità comportano rischi così grandi, a volte sono gesti impercettibili, quasi banali, ma tutti hanno la caratteristica di essere 'additivi'. Si sommano a vicenda e creano quella massa critica di altruismo e cooperazione che rendono bella la vita in comune. Anche la gratuità, però, come i beni comuni, può essere fragile. Non riconoscerla, svilirla, può portare alla sua erosione, con enormi danni per la qualità della nostra vita individuale e collettiva.
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