Dentro la strategia nazionale per sostenere il non profit
Messo a punto dal governo un Piano d’Azione dell’Economia sociale, sul quale sono chiamate ad esprimersi imprese sociali, associazioni, enti e fondazioni

Ci siamo. Dopo anni di attesa è stato finalmente presentato il Piano d’Azione dell’Economia sociale. Un documento di 38 pagine messo a punto dal ministero dell’Economia e sul quale sono state chiamate a esprimere il loro giudizio, in una consultazione pubblica, le cooperative, le associazioni, le fondazioni, gli enti del Terzo settore e delle imprese sociali che promuovono inclusione, innovazione e sostenibilità. Parliamo di circa 398mila organizzazioni che operano in questo campo, con 1,5 milioni di addetti e 4,6 milioni di volontari. Un settore che rappresenta l’8% delle organizzazioni dell’economia privata e costituisce un pilastro della coesione economica e sociale del Paese, al punto che è diffusa capillarmente in tutto lo stivale: il 26,6% delle organizzazioni si trova nel Nord-Ovest, 21,6% nel Nord-Est, il 22% nel Centro, 19,5% nel Sud e 10,3% nelle Isole. Adesso il Piano d’Azione definisce, per la prima volta, un quadro unitario di politiche pubbliche dedicate a questo comparto, in linea con la raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2023. Un Piano che avrà una «durata decennale dal momento della sua approvazione e prevede una revisione di medio termine dopo i primi cinque anni». In pratica ricalca quello che già succede nel Piano europeo, approvato nel 2021 (quindi siamo in clamoroso ritardo) e che scadrà nel 2031.
La prima novità riguarda la creazione di una Direzione generale, presso il ministero dell'Economia, a cui viene affidato il compito di coordinare il sostegno alle imprese sociali, per cercare, si legge nel testo, di «favorire sinergie tra i diversi attori e i diversi livelli, nazionale e territoriale; una regìa che assuma la co-progettazione e il partenariato come strumenti ordinari e non eccezionali». Nel documento si ricorda il variegato mondo del non profit italiano, citando le 4,3 milioni di realtà che lo compongono e le 11,5 milioni di persone che ci lavorano. Per questo è «fondamentale che le politiche pubbliche di sostegno all’economia civile siano coordinate».
Ma al di là della “cabina di regia”, il Piano affronta anche il nodo di come sostenere concretamente l’economia sociale, a partire dal capitolo fiscale. E ricorda come la stessa Commissione Europea con una lettera indirizzata all’Italia abbia specificato che le agevolazioni fiscali previste dal codice del Terzo settore non costituiscano un aiuto di Stato illegittimo. Ma non solo. Sul piano fiscale, viene ribadito il principio della non imponibilità degli utili destinati a patrimonio indivisibile e del reinvestimento nelle finalità sociali, che è poi un tratto distintivo dell’economia sociale.
Si propone inoltre l’armonizzazione delle discipline regionali in materia di Irap, Iva e Imu, con l’obiettivo di garantire uniformità e semplificazione. «Un impegno da assumere nei confronti degli enti dell’economia sociale – si legge nel documento – consiste nel non estromettere (anche solo di fatto) tale categoria di contribuenti dalle evoluzioni più recenti del sistema fiscale italiano che sta introducendo strumenti di compliance preventiva e di dialogo premiale con il Fisco». Riconoscimenti che vengono annotati anche dalle cooperative. «Per la prima volta l’Italia mette nero su bianco una strategia nazionale per lo sviluppo dell’economia sociale – spiega Simone Gamberini, presidente di Legacoop –. Il Piano la riconosce come infrastruttura essenziale e pilastro di un nuovo modello europeo di sviluppo basato sulla coesione territoriale, prefigurandone un’integrazione in tutte le politiche per lo sviluppo, il lavoro, l’ambiente e l’innovazione. Ora i principi vanno tradotti rapidamente in atti concreti». Come? «Serve una legge quadro che definisca governance istituzionale, caratteristiche comuni dei soggetti e ambiti di sviluppo, coordinamento e promozione. Così come una precisa individuazione delle risorse disponibili, anche in relazione al nuovo quadro finanziario europeo 2028-2034», annota Gamberini. Nel Piano ci sono almeno due aspetti cha vanno in questa direzione: le misure di sistema e gli incentivi settoriali (sono previste azioni per favorire l’accesso al credito, la digitalizzazione, l’innovazione sociale e la rendicontazione di sostenibilità. Particolare attenzione è rivolta ai nuovi soggetti dell’economia sociale, come le comunità energetiche rinnovabili e le cooperative di utenti in ambito energetico) e le politiche di coesione e sviluppo territoriale proponendo l’introduzione di riserve di destinazione nei programmi finanziati da fondi europei (FESR, FSE+, FEASR).
«Il riconoscimento di oggi è un punto di partenza, non di arrivo e riconosce l'unicità dell'azione delle cooperative e delle imprese sociali – sottolinea Maurizio Gardini presidente Confcooperative –. Perché questa opportunità non si trasformi in un'occasione mancata a livello nazionale stiamo lavorando per consolidare l'impostazione del Piano del Governo. Servono politiche che diano gambe e respiro alle imprese dell'economia sociale». E non solo in Italia. «A livello europeo ci impegniamo per la revisione della normativa sugli appalti pubblici, dove è fondamentale valorizzare chi crea valore sociale oltre che economico – continua Gardini –. Penso poi al Piano europeo per l'housing, dove la cooperazione può dare risposte concrete alla crisi abitativa. Alla revisione della disciplina sugli aiuti di stato, che deve riconoscere la natura peculiare delle imprese sociali. E penso al rafforzamento delle CER nella riscrittura delle norme sull'Unione energetica, dove la cooperazione può essere protagonista della transizione ecologica».
Anche Giancarlo Moretti, portavoce del Forum Terzo Settore evidenzia che «il Piano dà l’opportunità al Paese di fare scuola, a livello europeo, per il riconoscimento e la valorizzazione di un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo, che vede tra i protagonisti il Terzo settore». Per Moretti «ci sono molti lati positivi, dall’impegno per facilitare l’accesso al credito ai soggetti dell’economia sociale, a quello per armonizzare la normativa fiscale degli ETS. Abbiamo suggerito dei miglioramenti, tra cui un’attenzione maggiore al volontariato e strumenti operativi per diffondere la collaborazione tra PA e Terzo settore sulle politiche pubbliche per i territori. Ad oggi non sono previste risorse, ma investire anche economicamente è cruciale per non fermare a metà il buon lavoro compiuto finora».
Non sono solo le cooperative e le imprese sociali, anche le fondazioni e gli enti filantropici guardano con molta attenzione al documento programmatico. Come spiega Carola Carazzone, segretaria generale di Assifero: “Crediamo necessario un Piano di sviluppo che riconosca il ruolo unico che la filantropia può giocare all’interno dell’ecosistema dell’economia sociale. Lo storico progetto Fertilità, e oggi il Fondo Social economy di Invitalia, potrebbero servire come base. Alle imprese sociali serve un adeguato sostegno: non solo finanziario e patrimoniale ma per lo sviluppo del capitale umano, a partire dalle leadership, come stanno facendo alcuni nostri associati con il people raising. Sarebbe, infine, strategico, rafforzare sistematicamente i processi di coprogrammazione”. Ovvero quel sostegno a “partnership tra economia sociale e imprese tradizionali” di cui si parla nel documento del Mef. Intanto per cercare di fare un punto sulla situazione l’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche insieme all’Università la Sapienza ha organizzato per il 20 e 21 novembre un convegno sul “Fattore Economia Sociale” in cui, racconta Antonello Scialdone, responsabile del coordinamento scientifico dell’evento “sono stati chiamati esperti europei e i maggiori stakeholders per analizzare il Piano e valorizzare gli attori di questa economia. Siamo in una fase cruciale ed è importante condividere le analisi più aggiornate affinché l’economia sociale possa essere una leva strategica per una crescita equa e sostenibile, capace di coniugare sviluppo economico e benessere collettivo”.
Anche perché il documento del Mef oltre alla promozione del volontariato, alle politiche per il lavoro, come il sostegno al fenomeno dei workers buyout, quei lavoratori che salvano un’azienda in crisi acquisendone la proprietà e trasformandosi in imprenditori, punta anche all’innovazione sociale incoraggiando le Startup Innovative a Vocazione Sociale (Siavs). «I contenuti del Piano rappresentano ambiti e temi di forte presidio dell’economia sociale italiana – conclude Laura Bongiovanni presidente di Isnet, associazione che raggruppa più di 1300 organizzazioni del Terzo settore in tutta Italia -. Proprio per questo motivo, sarà importante rendere effettivi i processi partecipativi e di interscambio delle conoscenze, con la creazione, come suggerito in più passaggi del documento, di linguaggi condivisi. Il primo passo è mettere a raccolta il patrimonio già esistente di dati, esperienze, conoscenze. Tra gli obiettivi dichiarati ad esempio, la creazione di standard minimi di misurazione d’impatto, non potrà prescindere dal coinvolgimento e dalla valorizzazione delle esperienze già realizzate che rappresentano una piattaforma importante di apprendimento». Tutto questo perché alla fine, se tutto dovesse andare per il verso giusto, il Piano potrebbe segnare davvero un cambio di paradigma e riconoscere questa economia come terza colonna – insieme a pubblico e privato – dell’economia reale.
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