Leone XIV, appello per Gaza e Ucraina. «Ascoltiamo il pianto delle madri»

Il Papa: nella Striscia si arrivi al cessate-il-fuoco, alla liberazione degli ostaggi, al rispetto integrale del diritto umanitario. E si faccia di tutto per fermare la guerra in Ucraina
May 27, 2025
Leone XIV, appello per Gaza e Ucraina. «Ascoltiamo il pianto delle madri»
Ansa | Papa Leone XIV benedice un bambino, in occasione della udienza generale in piazza San Pietro
Un nuovo, vibrante appello a fare di tutto per fermare la guerra in Ucraina e sostenere ogni iniziativa di dialogo e di pace. Un accorato invito ad ascoltare il pianto delle mamme e dei papà che, nella Striscia di Gaza, vedono uccisi i loro figli. E a tradurre quell’ascolto in scelte concrete e inderogabili: il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, il rispetto del diritto umanitario. Al termine dell’udienza generale svoltasi stamani in piazza San Pietro, Leone XIV si è fatto voce delle vittime delle grandi tragedie del nostro tempo, e ha dato voce alla loro sete di pace e giustizia.
«In questi giorni il mio pensiero va spesso al popolo ucraino, colpito da nuovi gravi attacchi contro civili e infrastrutture. Assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera per tutte le vittime, in particolare per i bambini e le famiglie», ha detto il Pontefice. «Rinnovo con forza l’appello a fermare la guerra e a sostenere ogni iniziativa di dialogo e di pace. Chiedo a tutti di unirsi nella preghiera per la pace in Ucraina e dovunque si soffra per la guerra».
«Dalla Striscia di Gaza – ha quindi subito aggiunto – si leva sempre più intenso al Cielo il pianto delle mamme e dei papà, che stringono a sé i corpi senza vita dei bambini, e che sono continuamente costretti a spostarsi alla ricerca di un po’ di cibo e di un riparo più sicuro dai bombardamenti». Ebbene: «Ai responsabili rinnovo il mio appello: cessate il fuoco, siano liberati tutti gli ostaggi, si rispetti integralmente il diritto umanitario! Maria, Regina della Pace, prega per noi!». E sono parole, queste del Pontefice, che lanciano un ponte fra le incandescenze di questa drammatica stagione storica e il messaggio sempre attuale e fecondo della parabola del buon samaritano, alla quale Leone XIV ha dedicato la sua catechesi.

Con il samaritano, «disposti a sentire il peso del dolore dell’altro»

«Se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare». E «si aiuta veramente se si è disposti a sentire il peso del dolore dell’altro». Attenzione: «La pratica del culto non porta automaticamente ad essere compassionevoli. Infatti, prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani». E siamo chiamati a non lasciarci travolgere dalla fretta: perché «è proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione». Ecco cosa insegna la parabola del buon samaritano, la pagina del Vangelo di Luca che Leone XIV ha messo al centro della sua riflessione con la catechesi offerta stamani.
L’udienza generale si è svolta in Piazza San Pietro, dove il Papa ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da molti Paesi del mondo. Il Pontefice è arrivato nella piazza con la papamobile: in piedi, sull’auto scoperta, ha salutato e benedetto i fedeli e accarezzato alcuni bambini. Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi che si svolge lungo l’intero Anno Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza”, Leone XIV ha incentrato la sua meditazione sul tema “Il samaritano. Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. (Lc 10,33b)”.

Il ricordo del cardinale Wyszyński, il «Primate del Millennio»

Dopo aver riassunto la catechesi nelle diverse lingue, il Pontefice ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai quarantamila fedeli raccolti nell’abbraccio dell’emiciclo del Bernini. Fra loro, il gruppo dei pellegrini polacchi. «Oggi ricordiamo il beato cardinale Stefan Wyszyński, il vostro Primate del Millennio, che durante il periodo di persecuzione della Chiesa in Polonia, nonostante la detenzione, rimase un pastore fedele a Cristo – ha detto Leone XIV salutandoli –. Con il sacrificio e il dialogo ha operato per l’unità della Chiesa e della società. La sua testimonianza sia per voi fonte di ispirazione nella sollecitudine per la Chiesa e per la Patria». Hanno quindi concluso l’udienza la recita del Pater Noster e la benedizione apostolica.

Da dove nasce la mancanza di speranza

«Continuiamo a meditare su alcune parabole del Vangelo che sono un’occasione per cambiare prospettiva e aprirci alla speranza. La mancanza di speranza, a volte, è dovuta al fatto che ci fissiamo su un certo modo rigido e chiuso di vedere le cose, e le parabole ci aiutano a guardarle da un altro punto di vista», ha detto il Papa, aprendo la sua catechesi e richiamando all’attenzione dei fedeli la figura del dottore della Legge che interroga Gesù su come “ereditare” la vita eterna. Persona certamente «esperta, preparata», che «ha bisogno però di cambiare prospettiva, perché è concentrato su sé stesso e non si accorge degli altri». Eccolo dunque chiedere spiegazioni a Gesù sul termine “prossimo”, che «letteralmente vuol dire colui che è vicino». Per questo «Gesù racconta una parabola che è un cammino per trasformare quella domanda, per passare dal chi mi vuole bene? al chi ha voluto bene? La prima è una domanda immatura, la seconda è la domanda dell’adulto che ha compreso il senso della sua vita». Ed è pronto a mettersi in cammino. Verso gli altri.

«Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani»

La vita è fatta di incontri. «E in questi incontri veniamo fuori per quello che siamo. Ci troviamo davanti all’altro, davanti alla sua fragilità e alla sua debolezza e possiamo decidere cosa fare: prendercene cura o fare finta di niente». Fare finta di niente: è la scelta fatta dal sacerdote e dal levita. Due persone religiose, certamente. Ma «la pratica del culto non porta automaticamente ad essere compassionevoli. Infatti, prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani».
È facile immaginare che dopo essere rimasti a lungo a Gerusalemme, quel sacerdote e quel levita non vedessero l’ora di tornare a casa. Ma «è proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione. Chi pensa che il proprio viaggio debba avere la priorità, non è disposto a fermarsi per un altro».

«Se vuoi aiutare qualcuno ti devi coinvolgere, sporcare, contaminare»

Ed ecco arrivare qualcuno che «effettivamente è capace di fermarsi: è un samaritano, uno quindi che appartiene a un popolo disprezzato». Di lui si dice solo che «era in viaggio». Dunque: «La religiosità qui non c’entra. Questo samaritano si ferma semplicemente perché è un uomo davanti a un altro uomo che ha bisogno di aiuto». «La compassione si esprime attraverso gesti concreti – scandisce Leone XIV –. Il samaritano si fa vicino, perché se vuoi aiutare qualcuno non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare; gli fascia le ferite dopo averle pulite con olio e vino; lo carica sulla sua cavalcatura, cioè se ne fa carico, perché si aiuta veramente se si è disposti a sentire il peso del dolore dell’altro; lo porta in un albergo dove spende dei soldi, “due denari”, più o meno due giornate di lavoro; e si impegna a tornare ed eventualmente a pagare ancora, perché l’altro non è un pacco da consegnare, ma qualcuno di cui prendersi cura».
Infine, la domanda: «Cari fratelli e sorelle, quando anche noi saremo capaci di interrompere il nostro viaggio e di avere compassione? Quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi. E allora la memoria di tutte le volte in cui Gesù si è fermato per prendersi cura di noi ci renderà più capaci di compassione. Preghiamo, dunque – è stato l’invito finale del Pontefice – affinché possiamo crescere in umanità, così che le nostre relazioni siano più vere e più ricche di compassione. Chiediamo al Cuore di Cristo la grazia di avere sempre di più i suoi stessi sentimenti».

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