I migranti e l'odio antisemita: la domenica di Leone XIV
I nuovi «sforzi» per superare la «drammatica situazione del Medio Oriente». La necessità di «annunciare il Cristo» anche «attraverso l’accoglienza e la solidarietà» verso i migranti. Le parole del Papa durante la Messa del Giubileo dei migranti e dei missionari

I nuovi «sforzi» per superare la «drammatica situazione del Medio Oriente». La necessità di «annunciare il Cristo» anche «attraverso l’accoglienza e la solidarietà» verso i migranti. L’urgenza di aprire «nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova». Si intrecciano più dimensioni nelle parole di Leone XIV durante la Messa che domenica mattina presiede in piazza San Pietro per il Giubileo dei migranti e dei missionari e durante l’Angelus che conclude l’appuntamento. La pioggia si alterna alle schiarite ma i brevi nubifragi non scoraggiano i pellegrini che affollano la piazza. L’emiciclo circondato dal colonnato di Bernini è colorato di bandiere: quelle delle comunità e delle nazioni rappresentate davanti alla Basilica Vaticana che nel pomeriggio sempre di domenica saranno protagonisti della Festa dei popoli intorno a Castel Sant’Angelo. Giornata che nel calendario dell’Anno Santo è dedicata a chi ha lasciato la propria terra, ma anche a chi è impegnato negli angoli remoti del mondo per portare Vangelo e promozione sociale.
Eppure sono ancora i venti di guerra che giungono fino in piazza San Pietro. Come ricorda il Papa nella riflessione prima della preghiera mariana. Il riferimento è alla Terra Santa dove almeno negli ultimi giorni «si stanno compiendo alcuni significativi passi in avanti nelle trattative di pace, che auspico possano al più presto raggiungere i risultati sperati», dice il Pontefice. E chiede a «tutti i responsabili di impegnarsi su questa strada, di cessare il fuoco e di liberare gli ostaggi» e al tempo stesso di «restare uniti nella preghiera» perché si possa «mettere fine alla guerra» e arrivare a «una pace giusta e duratura». Nel suo intervento il Papa ribadisce l’«equivicinanza» sia al mondo ebraico, sia al popolo palestinese: confida la sua «preoccupazione per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto con l’attentato terroristico a Manchester, avvenuto pochi giorni fa»; e contemporaneamente dice di continuare «ad essere addolorato per l’immane sofferenza patita dal popolo palestinese a Gaza».
Durante l’omelia Leone XIV sollecita «una nuova cultura della fraternità sul tema delle migrazioni, oltre gli stereotipi e i pregiudizi». E riassume il suo pensiero in una frase: «Ai migranti dico: siate sempre i benvenuti». Con tono deciso invita a guardare alla «storia di tanti nostri fratelli migranti», al «dramma della loro fuga dalla violenza», alla «sofferenza che li accompagna», alla «paura di non farcela», al «rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare», al «loro grido di dolore e di disperazione». E lancia un appello chiaro: alla comunità ecclesiale, ma anche alla politica e alla società. «Quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione». No alle chiusure dei cuori e delle frontiere. Serve vincere la tentazione di «rifugiarci nella comodità del nostro individualismo» così da «guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane e martoriate» per «aprire loro le braccia», afferma il Pontefice. E all’Angelus aggiunge: «Nessuno dev’essere costretto a partire, né sfruttato o maltrattato per la sua condizione di bisognoso o di forestiero. Al primo posto, sempre, la dignità umana». Tanto più se qualcuno si professa cristiano.
Il Papa cita Benedetto XVI, Paolo VI e due volte Francesco quando richiama la Chiesa a essere in «stato permanente di missione», a portare Cristo fra le genti. Certo, tiene a far sapere Leone XIV, «la fede non si impone con i mezzi della potenza e in modi straordinari» ma «trasforma la nostra esistenza tanto da renderla uno strumento della salvezza che Dio ancora oggi vuole operare nel mondo». Una salvezza che, prosegue, «si realizza quando ci impegniamo in prima persona e ci prendiamo cura, con la compassione del Vangelo, della sofferenza del prossimo» e che «lentamente cresce quando ci facciamo «servi inutili», cioè quando ci mettiamo al servizio del Vangelo e dei fratelli senza cercare i nostri interessi».
La Messa è anche l’occasione per chiedere alla «Chiesa europea» di rilanciare le «vocazioni missionarie», ossia di mettere a disposizione «laici, religiosi e presbiteri che offrano il loro servizio nelle terre di missione» e di favorire «nuove proposte ed esperienze vocazionali capaci di suscitare questo desiderio, specialmente nei giovani». Ma la celebrazione è anche una circostanza favorevole per ricordare che «la presenza di tanti fratelli e sorelle del Sud del mondo dev’essere colta come un’opportunità, per uno scambio che rinnova il volto della Chiesa e suscita un cristianesimo più aperto, più vivo e più dinamico». Si tratta di uno dei volti della «cooperazione missionaria tra le Chiese», sottolinea il Papa; l’altro è quello di «ogni missionario che parte per altre terre» e che «è chiamato ad abitare le culture che incontra con sacro rispetto, indirizzando al bene tutto ciò che trova di buono e di nobile, e portandovi la profezia del Vangelo».
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