«Al mondo serve un Papa che sia padre. Ma anche diplomatico»
di Redazione
Secondo Gabriele Pao-Pei Andreoli -presidente dell’Istituto per gli studi avanzati e la cooperazione, abbiamo bisogno di un Pontefice che sappia «unire, ascoltare e mediare con saggezza»

«La diplomazia, oggi più che mai, è una forma di carità in azione. Il futuro Papa dovrà possedere un profondo senso di equilibrio, ma anche di visione: dovrà dialogare con i popoli, i governi, le religioni e le nuove generazioni»: secondo Gabriele Pao-Pei Andreoli -presidente dell’Istituto per gli studi avanzati e la cooperazione (Iasc) - abbiamo bisogno di un Pontefice che abbracci il dialogo e la cooperazione.
«Il mondo oggi - spiega Gabriele Pao-Pei Andreoli, presidente dell’Istituto per gli studi avanzati e la cooperazione (Iasc) - è alla ricerca non solo di un successore di Pietro, ma di un riferimento morale e spirituale capace di interpretare le sfide del nostro tempo. Dopo il pontificato di papa Francesco, segnato da una forte spinta innovatrice e profetica - penso a "Laudato si'", a "Fratelli tutti" e al coraggio con cui ha toccato temi globali come la crisi climatica, la fratellanza universale e l’uso etico della tecnologia - vi è ora una necessità urgente di continuità, ma anche di ricomposizione. Serve una guida universale che sappia unire, ascoltare e mediare con saggezza. E il nuovo Pontefice - secondo Andreoli - dovrebbe affrontare la frammentazione della comunità globale e anche della Chiesa stessa, erigendosi a tessitore e diplomatico nel senso più alto del termine. Dovrà essere capace di ricucire le ferite visibili e invisibili che attraversano la Chiesa e l’umanità. Avrà il compito di restaurare una grammatica dell’incontro, che coniughi spiritualità, intelligenza, pragmatismo e compassione».
Non basta solo il carisma: occorre una visione sistemica, multilaterale, e uno spirito di cooperazione globale. È un tempo che reclama ponti, non barriere. Ma quali dovrebbero essere le caratteristiche particolari che il futuro Pontefice dovrebbe incarnare? Su questo punto, Andreoli non ha dubbi: «Oggi la Chiesa ha bisogno di una figura che, pur rappresentando una continuità ideale con il pontificato di papa Francesco, sia al tempo stesso libera da legami identitari troppo marcati con singole congregazioni religiose o correnti interne. Una figura che conosca a fondo i meccanismi della Curia romana, che abbia già dimostrato equilibrio, riservatezza, e senso delle istituzioni. Questa doppia familiarità - con la macchina vaticana da un lato e con le istanze globali dall’altro - sarebbe, a mio modesto avviso, una risorsa preziosa. La guida futura dovrà avere la capacità di parlare ai cuori, ma anche di comprendere le dinamiche complesse del nostro tempo».
Nelle sue attività con la Pontificia Accademia di Teologia e come presidente dell’Iasc, Andreoli promuove un approccio etico e transdisciplinare. «La Pontificia Accademia di Teologia rappresenta oggi uno spazio privilegiato in cui la teologia dialoga con la scienza, la filosofia, la tecnologia e le sfide umanitarie. Come presidente dell’Istituto per gli Studi Avanzati e la Cooperazione, porto avanti questa visione con iniziative concrete che uniscono pensiero e azione, come il World Changers Summit e il progetto Transcend. La nostra recente iniziativa “The Legacy of Laudato Si’”, presentata durante la Climate Week di New York, rappresenta una traduzione attuale dell’enciclica in chiave diplomatica, educativa e ambientale. Il nostro compito è quello di offrire contenuti, piattaforme e reti che possano sostenere una nuova etica globale, fondata sulla cooperazione, sulla responsabilità condivisa e sul rispetto della vita».
Un Pontefice, quindi, che per Andreoli deve abbracciare la via diplomatica come espressione di equilibrio. «Credo sia una necessità. La diplomazia, oggi più che mai, è una forma di carità in azione. Il futuro Pontefice dovrà possedere un profondo senso di equilibrio, ma anche di visione: dovrà dialogare con i popoli, i governi, le religioni e le nuove generazioni. Dovrà essere una voce profetica, ma anche una presenza concreta nelle zone di conflitto, nel dialogo interreligioso, nella promozione della giustizia e della pace. In altre parole, il Papa della cooperazione: un testimone credibile e autorevole dell’unità nella diversità. La mia speranza - conclude lo studioso - è che il Conclave si lasci ispirare non solo dalle urgenze del presente, ma anche dalle promesse del futuro. Che sappia scegliere non tanto un uomo di potere, ma un uomo di pace; non solo un leader spirituale, ma un padre universale. In un mondo frammentato, il Papa potrà essere il segno visibile di una comunione possibile. Una figura capace di interpretare le profondità dello spirito umano e di accompagnare l’umanità verso un tempo nuovo, in cui scienza, fede e giustizia camminino insieme».
© RIPRODUZIONE RISERVATA





