lunedì 20 marzo 2023
Un appello alla politica unito a un messaggio di speranza nell'introduzione del presidente della Cei alla sessione primaverile del Consiglio permanente
Il Consiglio permanente della Cei. L'introduzione del cardinale Zuppi

Il Consiglio permanente della Cei. L'introduzione del cardinale Zuppi - Cristian Gennari / Siciliani

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Un appello alla politica unito a un messaggio di speranza. “È davvero per tutti tempo di scelte coraggiose e non di opportunismi”. Perché siamo a “un preludio di primavera”, dopo l’“inverno” che ha connotato gli anni passati. Lo scrive nella sua introduzione al Consiglio permanente il cardinale Matteo Zuppi. La sessione primaverile apertasi oggi, 20 marzo, ha visto il discorso introduttivo del presidente della Cei. Che ha rilanciato l’appello rivolto a settembre da Matera “ai politici, ma per certi versi a tutti e che indicava alcune preoccupazioni che chiedono di trovare risposte certe, non provvisorie, precarie, sempre parziali”. In sostanza: “Le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, i migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale”. Per questo bando agli opportunismi e avanti con le scelte coraggiose. Che si riferiscono a tutte le questioni citate. Non specificamente ai migranti. Tanto è vero che il riferimento alla tragedia di Cutro è contenuto in un diverso passaggio della Introduzione. Quando, dopo aver ricordato la fuga in Egitto della Sacra famiglia, il porporato ha detto: "Come non ricordare l'ultima tragedia che ha coinvolto profughi, che non hanno trovato chi custodiva la loro vita?", ha chiesto ringraziando "di cuore quanti si sono prodigati in loro aiuto, manifestazione di tanta umanità e la Chiesa di Crotone che ha mostrato il volto di madre della nostra Chiesa"

Il cardinale ha inquadrato la sua analisi nel panorama ormai post pandemico. Senza però dimenticare l’inverno attraversato, in sostanza le grandi difficoltà a tutti i livelli. In altri termini le “fragilità e sofferenze del nostro tempo e della nostra gente: inverno dell’ambiente, della società, dei divari territoriali, della denatalità, dell’educazione. Inverno secondo alcuni irreversibile. Suggerivo - ha aggiunto - di profittare di questa situazione per apprendere uno ‘sguardo dal basso’, che consentisse di commuoversi e farsi carico delle fatiche dei più poveri. Ma anche chiedevo di impegnarsi in uno ‘sguardo lungo’, di costruire con generosità e intelligenza, pensando al dopo di noi, per comunicare la speranza cristiana che con fiducia pensa che tutto possa cambiare e il deserto fiorire”.

La necessità di guardare avanti non riguarda però solo la politica e la vita sociale. Largo spazio il presidente della Cei ha dedicato anche alla situazione della Chiesa italiana, nel post-pandemia. In particolare, ha notato, il Covid "ha fatto affiorare alcune debolezze ecclesiali più o meno latenti. Non le dobbiamo osservare con pervasivo pessimismo, con quella sottile tentazione di fermarci solo sulle difficoltà, sui limiti, con quell’incredulità pratica di sapere solo vedere i problemi, interpretandoli anche in maniera raffinata ma senza credere che siano occasione per l’opera di Dio. Non dimentichiamo le tentazioni dello gnosticismo e del pelagianesimo, indicate da Papa Francesco. E non dobbiamo nemmeno correre dietro la ricerca illusoria e ipocrita di comunità perfette, ma riconosciamo nella nostra fragilità e contraddizione, i tanti comportamenti virtuosi, che non dobbiamo dimenticare né perdere perché dono dello Spirito".

Una delle preoccupazioni evidenziate è "evitare che il ricorso alla comunicazione digitale, così importante durante l’isolamento, sostituisca la presenza e diventi funzionale all’individualismo e alla patologia della paura. Penserei, per esempio, opportuno terminare con tante trasmissioni informatiche che inducono a chiudersi. Ci chiediamo: “Cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?”. Dobbiamo nutrire una cultura cristiana, che dia significato e forma alla parola “insieme” perché “è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi”, ha sottolineato citando papa Francesco e il suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2023.

Zuppi ha messo l'accento anche sui “santi della porta accanto”. Essi, ha fatto notare, "hanno di fatto reinventato una pastorale fuori dagli abituali confini fisici e mentali delle parrocchie, mostrando tanta solidarietà, prossimità, amore gratuito. Abbiamo capito con più vivezza che l’identità della comunità cristiana non si misura soltanto in base alla partecipazione alla liturgia domenicale. La preghiera, personale e comunitaria, ha sempre un orizzonte molto più ampio, che rende la comunità cristiana quello che deve essere, una famiglia capace di fare sentire a casa, di raggiungere le persone nelle loro case perché non siano luoghi isolati o carceri di solitudine, tessendo i legami umani e affettivi comandati dall’amore cristiano. La carità appartiene di diritto all’esperienza di fede di ogni cristiano e non può essere delegata solo ad alcuni, come non può mai essere scissa dalla dimensione spirituale. Amore e verità si nutrono l’uno dell’altra".

Quanto al Cammino sinodale della Chiesa italiana, definito "volano di una riscrittura ecclesiale", il cardinale nel ricordare che viviamo "il passaggio dalla fase dell’ascolto a quella del discernimento", aggiunge: "Nessuno si illude che vi sia la soluzione ad ogni difficoltà né che questo processo sia vissuto da tutti con il medesimo slancio. Quanti si sono coinvolti in questo cammino, a cominciare dai referenti diocesani fino ai componenti del Comitato e della Presidenza del Cammino sinodale, ci raccontano la soddisfazione del percorso fatto insieme, che sta educando progressivamente tutti i protagonisti a uno stile spirituale e pastorale nuovo". Dunque "la Chiesa del post-pandemia e del Cammino sinodale si configura sempre più chiaramente come una Chiesa missionaria, della chiamata e dell’invio di ognuno, che si misura con le domande, le sfide, con la necessità di diffondere una cultura cristiana come chiave per capire e consolare la tanta sofferenza. La pandemia ha posto tutti bruscamente dinanzi ad alcune domande esistenziali fondamentali, come il senso della morte, il perché del dolore innocente, il valore tutto umano della vita dal suo inizio alla sua fine, l’importanza della gratuità, la fragilità. Mi piace immaginare una Chiesa che si faccia carico di queste domande e offra luce e speranza per nuove motivazioni che affranchino dalla paura".

Infine il presidente della Cei ha ricordato i 10 anni di pontificato di papa Francesco. "Oggi sentiamo di rivolgerGli un grande “grazie” per l’insegnamento che ci ha consegnato in questi anni. Conosciamo i Suoi discorsi e i Suoi documenti ufficiali, che hanno inciso in profondità nella vita delle nostre comunità. Abbiamo imparato ad apprezzarLo nei Suoi gesti simbolici come la preghiera del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta o come il bacio ai piedi dei leader del Sud Sudan chiedendo il loro sforzo per la pacificazione di quella terra". E usa un'immagine suggestiva. "Papa Francesco ha assunto alcuni tratti di San Giuseppe: vediamo in Lui la cura dell’altro, la custodia dei più deboli, la solidità della fede quotidiana e il coraggio di sognare la Chiesa di oggi e di domani. Le Sue parole e i Suoi gesti sono diventati per noi un programma ecclesiale e ci offrono anche un linguaggio che avvicina tanti ed è comprensibile a tutti".
"Le Sue parole e il riferimento al discorso di Firenze - ha concluso - restano per noi una preziosa indicazione, segnano l’urgenza di tanto impegno pastorale insieme a tutto il popolo che ci è affidato e ci spingono a intraprendere con coraggio e responsabilità il nostro cammino ecclesiale".

La preghiera del Papa a San Giuseppe, che conclude l'introduzione, dice:

O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male.

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