sabato 23 maggio 2020
La Santa Sede annuncia i decessi. Jin Daoyuan, 91 anni, era finito in cella. Ma Zhongmu, 101 anni, è stato il primo presule di etnia mongola. Sia lui sia Zhu Baoyu, 99 anni, vennero perseguitati
Da sinistra i vescovi cinesi monsignor Andrea Jin Daoyuan, monsignor Giuseppe Ma Zhongmu e monsignor Giuseppe Zhu Baoyu

Da sinistra i vescovi cinesi monsignor Andrea Jin Daoyuan, monsignor Giuseppe Ma Zhongmu e monsignor Giuseppe Zhu Baoyu - Agenzia Fides / Avvenire

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Il quotidiano della Santa Sede, L’Osservatore Romano, ha pubblicato ieri, sotto la rubrica “Lutti nell’episcopato”, la notizia della morte di tre anziani vescovi cinesi che sono scomparsi nel corso degli ultimi mesi. Si tratta di Andrea Jin Daoyuan morto a 91 anni il 20 novembre 2019, di Giuseppe Ma Zhongmu defunto a 101 anni il 23 marzo, e di Giuseppe Zhu Baoyu spirato a 99 anni il 7 maggio scorso. Solitamente il giornale d’Oltrevere pubblica questi necrologi ufficiali poco dopo che la comunicazione della loro dipartita arriva in Vaticano. Con la Cina la storia è un po’ diversa. Infatti dopo la storica rottura col regime comunista del 1951 e con le prime consacrazioni episcopali illegittime del 1958 i nuovi vescovi consacrati nell’ex Celeste Impero non sono stati segnalati sull’Annuario Pontificio, il who’s who del Vaticano e della Chiesa cattolica, né i loro necrologi sono stati pubblicati sull’Osservatore Romano. Nonostante lo storico Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi firmato il 22 settembre 2018, sull’Annuario Pontificio continuano a non comparire i nomi dei presuli cinesi, tutti ormai in piena comunione con Roma. Questo è dovuto principalmente alla persistenza di un “doppio elenco” di circoscrizioni ecclesiastiche cinesi, che si differenzia non solo per il numero e il nome ma anche per i limiti geografici delle stesse. Da una parte quello fissato da Pio XII, che la Santa Sede non ha più toccato, e dall’altra quello stabilito unilateralmente dal governo.


Per quanto riguardo la pubblicazione dei necrologi ufficiali invece la Santa Sede ha cominciato a pubblicarli a partire dall’aprile 2004. Da quel momento infatti L’Osservatore Romano, e con esso l’agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (il dicastero vaticano che sovrintende alle diocesi cinesi, così come a quelle di tutti gli altri territori di missione), hanno sistematicamente pubblicato i necrologi ufficiali di tutti i vescovi in comunione con Roma via via passati a miglior vita. E, come dimostrano anche quelli pubblicati ieri, non si trattato di necrologi di circostanza, ma di tante piccole testimonianze, di tante tessere del più ampio mosaico della tormentata ed eroica storia della Chiesa in Cina dell’ultimo secolo.


Di monsignor Jin Daoyuan, il necrologio spiega che è stato vescovo «senza giurisdizione» della diocesi di Changzhi/Luan, nello Shanxi, omettendo, con delicatezza, di ricordare la sua consacrazione illecita del gennaio 2000, cui seguì nel 2008 la legittimizzazione ma senza appunto giurisdizione. La nota vaticana però rileva come «nel grave contesto degli anni ’50 il vescovo Andrea Jin venne arrestato e rimase in carcere per circa tredici anni», sottolinea che «è ricordato come pastore devoto e zelante verso il suo popolo», che «si è dedicato in particolare alla pastorale vocazionale, contribuendo a formare tanti sacerdoti e religiose».


Di monsignor Ma Zhongmu il necrologio spiega che era emerito di Yinchuan/Ningxia, non riconosciuto dal governo, e che è stato il primo, e finora anche l’unico, vescovo di etnia mongola. «Nel 1958 – ricorda la nota – dopo aver rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, venne condannato ai lavori forzati. Dieci anni dopo venne liberato ma costretto a lavorare come operaio nel suo villaggio, in un impianto di gestione dell’acqua. Nell’aprile 1979 fu riabilitato e poté riprendere il ministero sacerdotale». Ordinato vescovo nel 1983, nel 2005 «si ritirò dal governo pastorale e, con l’aiuto di alcuni fedeli, si dedicò a tradurre in lingua mongola il Nuovo Testamento e il Messale Romano».


Infine di monsignor Zhu Baoyu, emerito di Nanyang, in Henan, il necrologio ricorda che «dal 1964 al 1967 venne condannato ai lavori forzati, a motivo della fede». Successivamente «gli fu concesso di tornare al suo paese natio, Pushan, dove esercitò il ministero in segreto». Nel 1981 «venne di nuovo condannato a dieci anni di lavori forzati come anti-rivoluzionario». Liberato nel 1988 «poté riprendere il ministero in diverse parrocchie». Consacrato coadiutore di Nanyang nel 1995, divenne vescovo ordinario nel 2002, e la Santa Sede lo considerava emerito dal 2010. Il necrologio vaticano non entra in questi dettagli, ma nel 2011 Zhu, fino a quel momento non riconosciuto dal governo, divenne vescovo “ufficiale” di Nanyang, dove però la Santa Sede nel 2007 aveva già nominato come coadiutore monsignor Pietro Jin Lugang. La situazione si è risolta positivamente nel gennaio 2019 con il riconoscimento governativo di Jin Lugang.

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