sabato 8 agosto 2020
Parla il maestro dell'Ordine, il primo asiatico designato per questo incarico, Gerard Francisco Timoner: siamo pronti a celebrare con un anno speciale la memoria e l'opera del fondatore
Fra' Gerard Francisco Timoner, in ginocchio, appena eletto maestro dell'Ordine dei predicatori al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019

Fra' Gerard Francisco Timoner, in ginocchio, appena eletto maestro dell'Ordine dei predicatori al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019 - Ordine dei predicatori

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È trascorso un anno dall’elezione del primo maestro dell’Ordine dei predicatori proveniente dall’Asia, il filippino e teologo Gerard Francisco Timoner III.

Nato 52 anni fa in una terra di antica tradizione cattolica «evangelizzata tra gli altri – tiene a precisare – dai missionari domenicani spagnoli che pubblicarono nel 1593 il primo catechismo nella nostra lingua», è stato eletto il 13 luglio 2019 durante il Capitolo generale nella città di Bien Hoa in Vietnam.

Padre Timoner è infatti l’88° successore di san Domenico e sarà alla guida dell’Ordine mendicante per nove anni. Proprio oggi i frati predicatori, con tutta la Chiesa, celebrano la memoria liturgica del loro fondatore. Una data che darà il via “simbolicamente” al Giubileo per gli 800 anni dalla morte di san Domenico (1221-2021).

«Non ho forse il talento dei miei predecessori», dice sorridendo Timoner dalla sede della curia dell’Ordine adiacente alla Basilica di Santa Sabina a Roma, dove ogni anno il Papa si reca pellegrino per celebrare la Messa con il rito dell’imposizione delle Ceneri. «Pur essendo stato scelto per questo incarico – continua – credo di non essere il frate più brillante e preparato. Qualcuno avrà pensato che fossi sciocco a dire “sì” alla nomina. Eppure non è stata la temerarietà che mi ha spinto ad accettare. Piuttosto sono stati i confratelli che mi hanno aiutato a comprendere che non rimarrò solo e che con la grazia di Dio e il loro sostegno sarò in grado di fare ciò che il Capitolo mi ha chiesto di compiere».

Parte del suo percorso accademico è europeo. Lei ha frequentato la scuola teologica di Nimega in Olanda. Quanto tutto questo ha inciso nella sua storia di frate?

Ho avuto il privilegio di imparare molto grazie all’esperienza di cinque anni (2014-2019) nella Commissione teologica internazionale. Ho fatto parte della Sottocommissione sulla sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Ricordo durante il nostro primo incontro che, riflettendo sulla vita concreta del mio Ordine, confidai che per me è ovvio e fa parte del Dna del nostro essere domenicani la sinodalità che è davvero il modus vivendi et operandi della Chiesa. È vero che ho avuto un’educazione teologica occidentale, ma anche nelle Filippine abbiamo studiato Tommaso d’Aquino e la teologia europea. Tuttavia sono rimasto orientale per tutto il resto. In altre parole, avevo una formazione teologica veramente “interculturale”. In un certo senso ho sperimentato ciò che il cardinale Joseph Ratzinger disse in una conferenza molti anni fa: «Per questo non dovremmo più parlare di inculturazione ma di incontro di culture o interculturalità».

Oggi si ricorda il vostro fondatore. Un appuntamento che ci porta al 2021 quando ricorreranno gli 800 anni dalla morte del santo di Caleruega.

Nel 2021 celebreremo l’800° anniversario del dies natalis, la nascita al cielo di Domenico. Il tema delle celebrazioni giubilari è “A tavola con san Domenico”, che si ispira al dipinto custodito a Bologna nella parrocchia della Mascarella. Mi piace immaginare il nostro padre Domenico non come un santo assiso iconograficamente su un piedistallo, ma come un uomo che vive con gioia a tavola la comunione con i suoi fratelli, riuniti dalla stessa vocazione di predicare la Parola di Dio. L’Anno giubilare ci suggerisce di riflettere su queste domande: che cosa significa per noi essere a tavola con san Domenico qui e ora hic et nunc? In che modo il suo esempio ci ispira e ci incoraggia a condividere la nostra vita, la fede, la speranza e l’amore, i nostri beni spirituali e materiali così che anche altri possano essere nutriti su questa stessa mensa? In che modo questa tavola diventa luogo per condividere la Parola e spezzare il Pane di vita?

Quale scossa profetica i domenicani, noti per l’apostolato intellettuale e per la lotta secolare alle eresie, dovrebbero dare oggi per risvegliare il senso del sacro nell’Europa ormai post-cristiana?

Credo che “abbandonare la speranza”, da una prospettiva teologica, è abbandonare Dio perché la speranza è la presenza costante di Dio con noi. La speranza non è ottimismo che nasce da un’attenta valutazione delle prospettive future rispetto alle nostre capacità e risorse. La speranza non è il rovesciamento di un presente miserabile in un futuro miracoloso. La speranza si fonda sulla certezza che Dio non ci abbandonerà mai. La speranza è la certezza che Dio si attiene ai «misteri della gioia, del dolore, della gloria e della luce» della nostra vita. «La speranza è Cristo in noi» (Colossesi, 1,27).

Quale stile di nuovo annuncio può arrivare da voi domenicani per una “rinascita” cristiana dell’Europa?

Si sente spesso dire che nel Vecchio Continente la Chiesa è avvertita come un’istituzione “stanca e anziana”. E per questo molti giovani non sono invogliati a conoscere nel profondo la vita e la storia del cattolicesimo. Ho incontrato un giovane frate europeo che ha condiviso con me il suo percorso vocazionale. Ho appreso dal mio confratello che i suoi genitori sono per tradizione cattolici ma non lo hanno battezzato. Da adulto si è messo in ricerca e ha trovato risposta alle sue domande di senso dentro la Chiesa cattolica. Alla fine ha voluto intraprendere un percorso di fede e ha chiesto di ricevere il Battesimo. Più tardi portò sua madre in chiesa e la invitò a pregare con lui. La madre pianse e sperimentò così la sua conversione. Mentre ascoltavo la sua storia, mi sono chiesto: quanti giovani sono come questo frate? Se ci sono pochi giovani che frequentano i nostri luoghi di culto, probabilmente è perché c’è stata una generazione di genitori che ha deciso di non portare i figli in chiesa. In una certo senso, l’Europa è divenuta un territorio missionario. Ecco perché papa Francesco ci chiama a riscoprire la nostra vocazione di «discepoli in missione».

Nel suo discorso di insediamento ha indicato come strada di una “nuova evangelizzazione” quella intrapresa da san Domenico e san Francesco.

Sì, ricordo di aver detto che «la missione è principalmente ciò che siamo e secondariamente ciò che facciamo». Ciò si basa sulla visione di Domenico per l’Ordine che è stata chiaramente manifestata quando ha chiesto a papa Onorio III di apportare una piccola ma significativa modifica alla Bolla del 21 gennaio 1217: infatti il fondatore volle che la parola originale praedicantes cambiasse con il sostantivo praedicatores, cioè coloro che predicano. Quindi, possiamo dire che la nostra missione non è principalmente ciò che facciamo, cioè predicare, ma chi siamo. Se questo è chiaro, tutto il resto verrà di conseguenza. Siamo predicatori anche quando non predichiamo. E rimaniamo tali anche se, da vecchi o malati, non siamo più in grado di parlare. Siamo predicatori anche se facciamo ricerca da soli nelle nostre stanze. Siamo predicatori quando aiutiamo i meno privilegiati. Credo che questa sia la nostra identità da otto secoli.

Fra' Gerard Francisco Timoner al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019

Fra' Gerard Francisco Timoner al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019 - Ordine dei predicatori

L'avvio a Bologna delle celebrazioni giubilari il 6 gennaio 2021

«A tavola con san Domenico» è il tema dell’Anno giubilare dedicato agli 800 anni dalla morte del fondatore dell’Ordine dei predicatori (1221-2021). Cuore delle celebrazioni sarà la Basilica patriarcale di Bologna dove si trovano le spoglie del santo morto nell’adiacente convento il 6 agosto 1221. Il prossimo 6 gennaio verrà aperto ufficialmente il Giubileo che si concluderà nel 2022 nel giorno dell’Epifania. Allo studio di questo Anno speciale vi è la realizzazione del “Cammino di san Domenico” che tocchi i luoghi più significativi dell’ultimo tratto di vita del santo, da Roma a Bologna. Momento “clou” sarà il prossimo 24 maggio quando si celebra la festa del “traslazione” di san Domenico.

Un Ordine di circa 5mila frati sparsi in 80 paesi

Oggi i domenicani sono circa 5mila, sparsi in 80 nazioni. La “Famiglia domenicana” include anche monache dedite alla vita contemplativa, suore apostolicamente impegnate e fraternite laiche e sacerdotali. Tanti sono i figli di san Domenico divenuti illustri per il loro apostolato intellettuale: da Tommaso d’Aquino ad Alberto Magno, da Meister Eckhart a Francisco de Vitoria, considerato uno dei padri nobili del diritto internazionale. Nel Novecento figure che hanno lasciato un’impronta rilevante durante i lavori del Vaticano II sono stati i francesi Marie Dominique Chenu e Yves Marie Congar. L’Ordine vanta anche un Premio Nobel per la pace: il belga Dominique Pire (1958) impegnato accanto ai rifugiati nel secondo dopoguerra. E un frate predicatore, il bretone Luis Joseph Lebret, è stato l’ispiratore dell’enciclica di Paolo VI “Populorum progressio” (1967). Per un’antica tradizione il teologo della Casa pontificia, ossia il “consigliere in questioni di dottrina” del Vescovo di Roma, che un tempo veniva chiamato “maestro del Sacro Palazzo”, è scelto tra le fila di questi religiosi (basti pensare a nomi come Ciappi e Cottier): oggi è il polacco Wojciech Giertych. Quattro sono stati i Pontefici domenicani nella storia della Chiesa: i beati Benedetto IX e Innocenzo V, san Pio V e il servo di Dio Benedetto XIII.

Fra' Gerard Francisco Timoner in preghiera con alcune suore al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019

Fra' Gerard Francisco Timoner in preghiera con alcune suore al Capitolo generale dei domenicani a Bien Hoa, Vietnam, nel luglio 2019 - Ordine dei predicatori



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