
Cinquant’anni, e sembra un giorno. Il 26 giugno 1975 moriva improvvisamente a Roma il fondatore dell’Opus Dei monsignor Josemaría Escrivá. E oggi chi aveva seguito da subito il carismatico sacerdote aragonese profeta della santità dei laici in mezzo al mondo ricorda quel giorno come fosse ieri. Non solo. Anche le decine di migliaia di persone (ormai generazioni di donne e uomini di ogni età e condizione) che hanno sentito il cammino della ricerca di Dio nella vita di ogni giorno come una vera chiamata vocazionale avvertono tutta la gratitudine che si riserva a un padre. Tra loro monsignor Fernando Ocáriz, terzo successore di Escrivá alla guida dell’Opera come prelato. La riflessione sull’eredità del fondatore, viva e coinvolgente, si intreccia con quella su un carisma che va fatto vibrare nel tempo presente, anche attraverso la revisione degli Statuti chiesta da Francesco e ora all’esame della Santa Sede.
Monsignor Ocáriz, quel è l’insegnamento di Escrivá che oggi le sembra più attuale?
Il messaggio di san Josemaría conserva oggi una forza particolare: la chiamata universale alla santità nel lavoro a servizio della società e in famiglia, piccola Chiesa domestica, come piaceva dire a san Paolo VI. In un mondo che tende a dividere il sacro dal quotidiano la sua proposta continua a essere radicale e profondamente cristiana: ogni lavoro, ogni impegno familiare, ogni piccola gioia o sofferenza vissuti con amore diventano occasione di incontro con Dio. Questo richiamo alla santificazione del tempo presente, con realismo e speranza, è più attuale che mai.

Il vostro recente Congresso generale, appuntamento di grande importanza per il futuro dell’Opus Dei, è coinciso con i giorni nei quali la Chiesa ha conosciuto il nuovo Papa. Che riflessioni le ha suggerito questo intreccio di eventi?
Da una parte c’era il dolore per la morte di papa Francesco; dall’altra il sentimento di attesa che ci ha uniti con tutta la Chiesa, in preghiera e disponibilità. La coincidenza ci ha ricordato come la nostra identità laicale sia profondamente radicata nella Chiesa, nostra Madre. L’elezione di un nuovo Papa è sempre un momento di grazia e di responsabilità, che chiama ciascuno di noi a rinnovare la fedeltà a Cristo attraverso il successore di Pietro. Mi ha colpito la gioia di tanta gente non appena intravista la fumata bianca, un’ora prima che si conoscesse l’identità del Papa; la festa di avere già un padre comune, chiunque egli sia.
Pochi giorni dopo l’elezione del nuovo Papa lei è stato ricevuto in udienza da Leone XIV. Cosa indica questa tempestività nel poter dialogare direttamente con lui?
È stato un gesto di paternità, durante il quale il Papa ha manifestato la sua vicinanza e il suo affetto, come – appunto – padre comune nella Chiesa. Il Santo Padre, tra le altre cose, ha chiesto informazioni sullo studio attuale degli Statuti della Prelatura. Leone XIV ha ascoltato con grande interesse le spiegazioni. Poi ha fatto riferimento alle ricorrenze mariane che cadevano nel giorno della sua elezione. In un clima familiare e di fiducia, ha impartito a me e a don Mariano Fazio, il vicario ausiliare dell’Opus Dei, la sua benedizione. È stata una gioia per tutte le persone dell’Opus Dei.
Le prime settimane con papa Leone ci stanno rivelando un profilo umano e spirituale che la grande maggioranza dell’opinione pubblica non conosceva. Cosa la colpisce di più nella personalità del Papa?
Mi colpiscono la sua profondità interiore, la sua serenità, e per così dire la sua naturalezza. In un tempo spesso segnato da fretta e rumore il Santo Padre sembra custodire un silenzio pieno di Dio, che si riflette nel suo modo di parlare, di ascoltare e di guardare, alcuni atteggiamenti che lo aiutano tanto nel suo desiderio di unità. In lui si coglie una fede salda e vissuta, capace di generare speranza, e un senso di misericordia verso ogni persona, come raccontano anche tante testimonianze di Chiclayo, la diocesi del Perù dove è stato vescovo fino alla chiamata a Roma da parte di papa Francesco.
Quali impegni futuri sono emersi per l’Opera durante i lavori del Congresso generale?
Il Congresso ha rispettato il lutto che ha colpito tutta la Chiesa con la morte di papa Francesco. I lavori sono stati per questo più brevi di quanto preventivato. Sono stati comunque nominati i membri del Consiglio generale e nell’Assessorato centrale, come è previsto di fare in questi congressi. E, aldilà del Congresso in sé, c’è stato un confronto fra le persone venute a Roma da tutto il mondo sulle riflessioni offerte da tutte le nazioni in cui l’Opera è presente, grazie alle assemblee che si sono tenute nel 2024, che hanno visto la partecipazione attenta – e vorrei dire entusiasta – di migliaia di persone. Da queste assemblee è emersa una grande unità di intenti nell’impegno di evangelizzazione nel mondo del lavoro e un vero amore per la Chiesa. Fra i tanti suggerimenti arrivati da tutte le nazioni si è parlato molto dell’apostolato del “primo annuncio” cristiano, sempre più necessario in un mondo apparentemente più secolarizzato, ma nel quale si scopre una grande sete di Dio. San Josemaría definiva l’Opera come una “grande catechesi” in mezzo al mondo della vita ordinaria: a lui chiediamo luci per saperla portare avanti con gioia e generosità nelle circostanze attuali. Poi, i membri del Congresso hanno anche dato un parere positivo affinché il prelato con i suoi nuovi consigli inviasse alla Santa Sede la proposta degli Statuti che ritenesse più opportuna, tenendo conto di tutti i suggerimenti già ricevuti dal Congresso del 2023 e dalla precedente consultazione di tutti i membri dell'Opus Dei. E così è stato fatto: una volta eletto papa Leone, l’11 giugno ho presentato la proposta al Dicastero del Clero. Il prossimo passo è ora nelle mani delle autorità della Sede Apostolica.
Nel 2028 celebrerete i cent’anni dalla fondazione. Come sta cambiando l’Opus Dei?
L’Opera è chiamata a cambiare nella fedeltà al suo carisma. Cambiano i contesti culturali e sociali, e cambiano le persone, che sono quelle che incarnano il messaggio in ogni epoca, ma la sostanza rimane identica: aiutare ogni persona a scoprire che Dio la chiama proprio lì dove si trova. I cambiamenti che stiamo vivendo – anche nel processo di revisione degli Statuti – sono una spinta per custodire l’essenziale. Desideriamo essere sempre più un aiuto vero, vicino e umile a tutti, nella Chiesa e nella società.
Cosa sta imparando l’Opera dal processo di revisione degli Statuti?
L’ascolto, con spirito filiale e reale disponibilità, ha caratterizzato questi anni di lavoro, custodendo il tesoro che ci ha lasciato san Josemaría e guardando avanti. Papa Francesco ci ha invitati a un cammino di rinnovamento, che ci chiede anche pazienza e profondità. Rivedere gli Statuti è un esercizio non solo giuridico ma anche spirituale: ci aiuta a chiederci cosa davvero conta, cosa serve meglio le persone e la missione. È un’occasione per vivere più profondamente l’essenza evangelica del carisma.
Cosa trova oggi un giovane nel percorso di fede proposto dall’Opus Dei?
La possibilità di scoprire che la vita ordinaria, con le sue fatiche e bellezze, può essere un cammino sicuro che ci porta a Dio. Trovano anche accompagnamento, un dialogo sincero in amicizia, un clima familiare e una proposta di santità che non è riservata a pochi “eroi” ma è per tutti. Un invito, come diceva san Josemaría, a essere «cristiani pieni di ottimismo e slancio, capaci di vivere nel mondo la loro avventura divina», e in questo modo fare il bene e migliorare la società che li circonda. In mezzo alle incertezze del nostro tempo, molti giovani desiderano autenticità. E il Vangelo – vissuto nel quotidiano – risponde in profondità a questa sete.