giovedì 1 settembre 2022
Parla l’arcivescovo di Brasilia, Paulo Cezar Costa, che ha appena ricevuto la porpora. «La Chiesa deve ascoltare le ragioni dell’altro, anche se lontano. L’arcivescovo di Milano ce l’ha indicato»
Il cardinale Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia, con alcuni preti brasiliani

Il cardinale Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia, con alcuni preti brasiliani - Reuters

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Se al cardinale Paulo Cezar Costa si chiede quale sia una delle priorità per la Chiesa oggi, lui non ha dubbi: «Dobbiamo essere Chiesa del dialogo in una società sempre più divisa». Poi si ferma un attimo. E fa un nome: quello del cardinale Carlo Maria Martini. «È stato davvero un uomo del dialogo, un modello da seguire. Considero esemplare la sua capacità di confrontarsi con la città, in senso ampio del termine. Ecco perché vanno riprese in mano le sue intuizioni». Ha appena ricevuto la berretta, Costa. È una delle venti nuove porpore create da papa Francesco nel Concistoro di sabato scorso. Brasiliano, alla guida dell’arcidiocesi di Brasilia dal 2020, ha 55 anni. Un’età che ne fa il terzo più giovane cardinale all’interno del Sacro Collegio, dopo Giorgio Marengo, prefetto apostolico in Mongolia, che di anni ne ha 48, e Virgílio do Carmo da Silva, di Timor Est, che ha un anno meno di Costa.

Il cardinale Carlo Maria Martini durante un incontro della Cattedra dei non credenti a Milano

Il cardinale Carlo Maria Martini durante un incontro della Cattedra dei non credenti a Milano - Fondazione Carlo Maria Martini

Colpisce il volto sempre sorridente dell’arcivescovo latinoamericano. E il tono pacato. La sua porpora precede di pochi giorni il decimo anniversario della morte di Martini che cadeva ieri e che è stato celebrato nella diocesi di Milano di cui il gesuita d’origine torinese è stato pastore per 22 anni. Biblista Martini; teologo Costa. «Ho avuto l’opportunità di incontrarlo tre volte – racconta il neo-cardinale – ma soprattutto ho letto molti suoi scritti. Per essere Chiesa vicina a tutti siamo chiamati ad ascoltare le ragioni dell’altro, anche di coloro che possiamo avvertire come distanti. Martini ce lo ha mostrato ad esempio con la “Cattedra dei non credenti”». Un’esperienza che ha ispirato Costa nel creare in Brasile la “Cattedra Carlo Maria Martini” alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro dove è stato direttore del dipartimento di teologia. Città di cui sarebbe diventato vescovo ausiliare per volontà di Benedetto XVI ricevendo l’ordinazione episcopale nel 2011, ad appena 43 anni. In molti lo ricordano come energico coordinatore della Giornata mondiale della gioventù nel 2013 ma anche per il suo impegno nella pastorale intellettuale: ancora sulla scia dell’arcivescovo di Milano. Poi il trasferimento nella diocesi di São Carlos; la nomina nella Pontificia Commissione per l’America Latina; e l’arrivo nella capitale del Brasile dove si è distinto anche come “pastore del dialogo” con le istituzioni.

Eminenza, vanno considerate profetiche le intuizioni del cardinale Martini insieme ai suoi gesti?

Direi che Martini ha aperto una strada, che ha indicato la rotta prima di altri. La “cultura dell’incontro” cara a papa Francesco, e che ritengo l’urgenza della Chiesa, l’aveva già declinata nella pastorale ordinaria. E poi la Chiesa che lui voleva era semplice, partecipata, sinodale, fraterna. Tutte dimensioni che adesso sono di straordinaria attualità.

È il tempo del dialogo con il mondo?

Certamente. Una responsabilità che chiama in causa anche noi porporati. L’essere cardinale non ha solo una valenza ecclesiale ma anche sociale. Ciò significa favorire l’incontro con ogni donna e uomo di buona volontà e con le realtà che ci stanno intorno. Oggi viviamo un tempo di soggettività chiuse, come sono solito chiamarle. È un frangente difficile perché ciascuno pensa di essere proprietario della verità. Invece occorre uscire da se stessi e rendersi conto di essere parte di una verità più grande. È necessario allargare i propri orizzonti, il proprio sguardo. E la fede permette questo salto di qualità.

Il cardinale Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia

Il cardinale Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia - Gambassi

La Chiesa che cosa può fare?

C’è una sfida da affrontare prima di tutto: quella della prossimità. Quando la Chiesa si chiude in se stessa e si allontana dalla vita del popolo, questo diventa un grave problema. È il Vangelo stesso che ci dice come Cristo stesse in mezzo alla gente. Pertanto la comunità ecclesiale deve essere portatrice di dialogo ed essere luogo di incontro con la società. Le nostre società non hanno futuro se prevale la logica dello scontro e della contrapposizione. C’è bisogno di unire le diverse anime. E la Chiesa ha questo compito. Ciò significa una rinnovata presenza sociale che non può ridursi soltanto all’aiuto e alla solidarietà ma deve consentire alla gente di essere protagonista della propria storia. È una nuova forma di carità.

Il cardinale Martini è stato uomo della Parola che “illumina i passi”.

È un’altra delle sue eredità. Ha messo la Scrittura al centro del suo ministero e della vita della Chiesa, come sollecitato dal Concilio e poi come avrebbe rimarcato Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Verbum Domini del 2010. Solo se la comunità ecclesiale viene accesa dal fuoco della Parola, sarà evangelizzatrice e missionaria. Perché è la Parola che trasforma la vita.

Il cardinale Carlo Maria Martini durante un incontro della Cattedra dei non credenti a Milano

Il cardinale Carlo Maria Martini durante un incontro della Cattedra dei non credenti a Milano - Fondazione Carlo Maria Martini

Che cosa porta lei nel Collegio cardinalizio?

Anzitutto la gioia della Chiesa brasiliana. Mi sento di affermare che viviamo la gioia del Vangelo. E poi la valorizzazione del laicato. Nelle nostre comunità il quotidiano è segnato dal costante coinvolgimento dei laici. Serve camminare insieme. Un ruolo chiave viene svolto dalla parrocchia che è la Chiesa in mezzo alla gente e deve essere sorgente di speranza.

Quale il suo rapporto con papa Francesco?

L’ho conosciuto alla vigilia della Gmg di Rio de Janeiro del 2013 che nella Chiesa brasiliana ha suscitato l’opzione preferenziale per la gioventù. Come ausiliare, seguivo l’organizzazione dell’evento. E, poco dopo che Bergoglio è stato eletto Papa nel marzo 2013, sono venuto in Vaticano per presentagli il programma. Quello di Rio è stato il primo viaggio internazionale di Francesco e durante la settimana in Brasile ho avuto l’opportunità di trascorrere diverso tempo con lui. Il Papa desidera una Chiesa dell’incontro, aperta, capace di accogliere e mettersi in discussione. E poi ha una grande attenzione per il Brasile, come dimostra anche il fatto di aver appena creato due nuovi cardinali della nostra nazione.

Nel Paese prolificano i gruppi evangelici e pentecostali che erodono i fedeli alla Chiesa.

Tutto ciò deve interrogarci. Come comunità cristiana dobbiamo, da una parte, essere accanto al popolo e coinvolgerlo sempre di più nella vita ecclesiale; poi, dall’altra, aiutare le persone a fare esperienza del mistero. La fede è incontro con l’assoluto che avviene in maniera intensa.

Il Brasile è in fibrillazione per le elezioni presidenziali a ottobre. Si contendono la carica Lula e Bolsonaro.

Mi auguro che non si scivoli nella polarizzazione che diventa un male quando si trasforma in ideologia e si allontana dai problemi reali. Chiunque guiderà il Paese deve unirlo ed essere il presidente di tutti. Vale per il Brasile ma anche per qualsiasi nazione del mondo, compresa l’Italia.


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