Pasquale Macchi, varesino di poche parole e di un’energica vitalità messe a disposizione del Vangelo e della Chiesa, concluse la sua esistenza terrena il 5 aprile 2006. Ebbi il dono di essergli d’aiuto, pur lontano, ma sempre disponibile, per circa 30 anni. Colsi le sue gioie e le sue sofferenze, ma soprattutto accolsi il suo amore a Cristo, alla Chiesa e al ministero e magistero di Giovanni Battista Montini: Paolo VI. Fu docente nel Seminario di Seveso dopo aver conseguito la licenza in teologia e la laurea in lettere all’Università Cattolica. Profondo conoscitore della cultura e della lingua francese fece da
trait d’union con ecclesiastici, teologi, scrittori ed artisti di quel mondo.
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La sua spiritualità la ritmò nella grande tradizione ambrosiana, significandola con lo stile dei Piccoli Fratelli di padre Charles De Foucauld. Fu molto vicino al mondo delle carceri e al mondo operaio. Su mandato dell’arcivescovo Montini coordinò gli aiuti alle famiglie bisognose degli emigranti, che lasciando il Sud d’Italia, venivano a Milano per un lavoro che desse loro speranza. Da segretario del Papa fu vigile ed instancabile collaboratore senza entrare in questa o quella cordata, ma sempre difensore della privacy del Pontefice. Fu prezioso collegamento durante il Concilio tra la Segreteria e il Papa, disponibile a tutte le ore. Per mandato pontificio preparò tutti i viaggi apostolici sia in Italia che all’estero. Fu, proprio per affermazione dello stesso Paolo VI, ispiratore delle celebrazioni delle Notti di Natale presso gli operai di Trapani e tra gli alluvionati di Firenze. A lui Paolo VI chiese di adoperarsi perché a Gerusalemme potesse incontrarsi con il patriarca ortodosso Atenagora, come poi avvenne. Da lì nacque una grande stima di Atenagora per don Pasquale.
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Si prodigò affinché il Papa incontrasse il mondo degli zingari a Pomezia nel 1965. Si adoperò perché il mondo dell’arte e i vari artisti contemporanei potessero essere presenti con le loro opere in Vaticano. Nei momenti difficili fu sempre lealmente e rispettosamente vicino al Papa anche nella triste e tragica vicenda di Moro. Qui egli fu vero e concreto braccio destro del Pontefice, che era dibattuto tra le scelte del governo italiano e le logiche prudenziali della Segreteria di Stato. Molto fece monsignor Macchi anche attraverso i canali delle carceri e di presenze vicine alle Brigate Rosse. Tutto fu inutile.
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Il 6 agosto 1978 nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo celebrò l’Eucaristia e conferì l’unzione dei malati al Papa morente. Tornò nella diocesi di Milano. Nel 1980 divenne parroco al Santuario del Sacro Monte dove rivitalizzò la vita spirituale con le confessioni e la devozione del Santo Rosario. Ebbe il dono di accogliere in quel santuario il 4 novembre 1984 papa Giovanni Paolo II. Nel 1988 venne nominato arcivescovo delegato pontificio di Loreto, dove rimase fino al 1996. Qui profuse la sua attenzione per una Chiesa-comunione e fu attento agli ultimi, soprattutto ai malati. Fu vicino ai conventi di vita contemplativa; indisse la Missione al popolo; si prodigò affinché il settimo centenario lauretano fosse momento di crescita spirituale e di riflessione culturale. Restaurò l’esterno e l’interno della Basilica e volle il presbiterio a norma del Concilio Vaticano II, commissionando l’opera a Bodini. Gli ultimi anni li fece presso il monastero delle Romite Ambrosiane della Bernaga di Perego (Lecco), continuando a seguire i processi per la causa di beatificazione di Paolo VI. Fu sempre molto attento ai mezzi della comunicazione, soprattutto ad
Avvenire. Visse in semplicità e profondo spirito di preghiera, aiutato dalla severa spiritualità delle Romite. Purtroppo non vide in terra la beatificazione di Paolo VI, dopo aver tanto operato per far conoscere la spiritualità e la grandezza d’animo di quel Pontefice che volle riconciliare la Chiesa con la modernità.
*Vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste