lunedì 1 luglio 2019
Il cardinale segretario di Stato vaticano alla festa di Avvenire in Basilicata: la nostra vuol essere la diplomazia del Vangelo. L'incontro con Putin? SI parlerà anche di Siria e Ucraina
Il segretario di Stato Piero Parolin (Archivio Siciliani)

Il segretario di Stato Piero Parolin (Archivio Siciliani)

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«La diplomazia della Santa Sede con Papa Francesco». È stato questo il tema del colloquio con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin che ha impreziosito la serata finale della Festa di Avvenire promossa in Basilicata dalla Conferenza episcopale regionale e dall’Associazione Giovane Europa. L’evento, che ha visto la partecipazione del direttore Marco Tarquinio, si è svolto sabato sera nel “Teatro F. Stabile” di Potenza. La serata è stata introdotta dall’arcivescovo metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo Salvatore Ligorio, mentre il sindaco Mario Guarente ha portato il saluto della cittadinanza. Di seguito riportiamo una ampia sintesi delle riflessioni del più stretto collaboratore di Papa Francesco con in più una riposta sulla situazione in Venezuela.

Eminenza, quali sono le priorità della diplomazia vaticana con papa Francesco?

Le finalità della diplomazia della Santa Sede si sintetizzano nella ricerca e nella promozione della pace. Papa Francesco si inserisce nel solco della diplomazia della Chiesa con tre caratteristiche peculiari. Innanzitutto invita a non considerare i problemi in astratto, ma nella concretezza, avendo sempre di fronte i volti delle persone: bambini, anziani, emarginati, vittime della violenza. Poi ci sono le periferie. Prima c’era una visione prevalentemente eurocentrica, il Papa cerca di introdurre una prospettiva diversa. Sono le periferie che aiutano il centro a capire la realtà del mondo di oggi. La terza caratteristica è quella della pro-attività: non limitarsi a reagire alle crisi, ma cercare di prevenirle e di essere presenti, tenendo conto dei modesti mezzi a nostra disposizione.

Qual è il rapporto del Papa con i nunzi? Il decalogo loro consegnato durante l’ultimo incontro a cadenza triennale tenutosi a metà mese, aveva un tono piuttosto di rimprovero…
La diplomazia vaticana cerca di essere una “diplomazia del Vangelo”. Il Papa crede che si tratta di uno strumento utile per la missione della Chiesa. Quindi ha grande stima e apprezzamento per i nunzi. Li riceve regolarmente e ha avviato questa iniziativa di un incontro triennale con loro. Proprio per questo desidera che essi svolgano al meglio il loro compito. Nel discorso da lei citato il Papa, quasi come un atto d’amore, ha voluto mettere in guardia da quelle debolezze che possono renderlo meno efficace.

In questi anni da segretario di Stato quali sono stati i momenti più belli e quali i più critici che ha dovuto affrontare a fianco del Papa?
Non sono stati anni tranquilli. Penso alle tensioni legate alla spinta riformatrice impressa dal Pontefice o alle critiche suscitate dall’accordo con la Cina. In questo contesto quello che mi ha sempre colpito è l’atteggiamento di serenità di papa Francesco. Il Papa può essere preoccupato per i problemi, ma poi li affronta sempre con una grande pace interiore. Mi impressiona la sua insistenza sulla gioia che oserei definire quasi una cifra del suo pontificato e che si può applicare ovviamente anche nell’ambito della diplomazia: nessuno può toglierci la gioia profonda di sentirci amati dal Signore, che conduce la storia al di sopra delle tante agitazioni degli uomini.

Con papa Francesco è stato siglato uno storico accordo con la Cina per la nomine dei vescovi. Un passo, sono sue parole, che non chiude ma apre un cammino. Come sono stati i primi passi di questo nuovo percorso?
Il primo risultato positivo di questo accordo è che ora tutti i vescovi cinesi sono in comunione col Papa. Due di loro, per la prima volta, hanno partecipato al Sinodo sui giovani dell’ottobre scorso. Ora si incomincia a tradurre questo accordo nella realtà. Attraverso il meccanismo da esso previsto si stanno cercando candidati per le nomine nelle parecchie diocesi vacanti. Sapendo che ci sono ancora numerosi problemi aperti. Il primo è la registrazione civile del clero non ufficiale, in merito al quale sono stati già pubblicati degli orientamenti pastorali. Il principio che ci guida è che i fedeli cinesi siano buoni cittadini e buoni cattolici, e quindi siano rispettosi delle leggi ma nello stesso tempo non siano impediti nel vivere in pienezza la loro fede cattolica che comporta la comunione effettiva col Papa. Non mancheranno momenti difficili, ma si è creata una certa fiducia reciproca che possiamo capitalizzare per affrontare i problemi futuri. Il nostro unico scopo è stato e rimane quello di assicurare una vita normale per la Chiesa e per i cattolici cinesi. Non c’è nessuna velleità di successi politici o diplomatici. Speriamo che questo accordo sia un piccolo seme che possa germogliare e dare frutti.

Tra qualche giorno Putin sarà in Vaticano. Sarà la terza udienza del leader russo con papa Francesco. Come spiega questo interesse del leader russo, di confessione ortodossa e molto criticato in Europa per il conflitto ucraino, per il Vescovo di Roma?
Il presidente della Russia si considera uomo religioso, e penso quindi che egli riconosca nel Papa l’incarnazione di valori che ritiene importanti nella sua vita. Poi c’è l’attenzione della Russia a temi quali la tutela dei cristiani nel Medio Oriente e la crisi dei valori cristiani nelle società occidentali. L’incontro sarà occasione per affrontare questioni che preoccupano la Santa Sede, come la situazione in Siria e il conflitto nella regione orientale dell’Ucraina.

C’è un collegamento tra la visita di Putin e il summit della Chiesa greco cattolica ucraina di questa settimana?
No. È una semplice coincidenza temporale.

I vescovi cattolici di Terra Santa hanno recentemente dichiarato di ritenere ormai "vuota retorica" la formula “due popoli-due Stati”. È una valutazione condivisa dalla Santa Sede?
Noi riteniamo a livello di principio ancora valida la formula dei due Stati con i confini definiti in maniera comune e internazionalmente riconosciuta in base alle risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma è vero che tale formula incontra sempre più scetticismo nell’opinione pubblica. E quindi ci sono molti dubbi sulla sua viabilità. Il <+CORSIVO50>New deal<+TONDO50> per il Medio Oriente dagli Usa, che enfatizza soprattutto gli aspetti economici, ha trovato molte resistenze. Noi riteniamo che l’unica strada sia quella del dialogo diretto tra israeliani e palestinesi. Esso potrà essere riavviato solo a condizione di un minimo di fiducia reciproca che oggi invece manca.

Il viaggio di Papa Francesco ad Abu Dhabi ha visto la firma del Documento sulla Fratellanza con il grande imam di Al-Azhar. Ci sono segnali positivi nell’applicazione di questo documento per la vita dei cristiani in terre a maggioranza islamica?
Questo documento è stata una tappa molto importante nel dialogo con l’islam. Un concetto rilevante che si trova nel testo è quello della cittadinanza: tutti gli abitanti di un Paese sono cittadini con gli stessi diritti e doveri prima di ogni distinzione religiosa. È interessante che questo Documento in alcuni Paesi islamici è già entrato nei curriculum di studio nelle scuole e nelle università. E’ un buon segnale. Per altri cambiamenti bisogna aspettare una necessaria, lenta maturazione.

Quali criteri segue per scegliere i Paesi da visitare?
Per capirlo basta scorrere l’elenco dei Paesi toccati dalle visite apostoliche di quest’anno. C’è il criterio del dialogo interreligioso testimoniato dai viaggi in Paesi islamici come Marocco ed Emirati. Poi quello ecumenico, con le visite in nazioni ortodosse come Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania. Il prossimo viaggio in Africa sottolinea un terzo criterio: l’attenzione alle comunità cristiane più periferiche e sofferenti, da confortare e incoraggiare. In questa prospettiva si collocano le auspicate visite in Sud Sudan e in Iraq. Visite che manifestano un altro criterio - la preoccupazione per la pace - testimoniato anche dal viaggio allo studio in Giappone con una attenzione particolare per il disarmo atomico.

Passiamo all’Italia. Come è il Tevere in questa delicata fase politica: più largo o più stretto?
La storia ha conosciuto varie larghezze… Proprio quando è più difficili capirsi è lì che bisogna insistere per dialogare e parlarci. Papa Francesco ha ribadito che le relazioni con la politica nazionale devono essere gestite in prima persona dalle Conferenze episcopali locali. Ma c’è sempre disponibilità da parte della Santa Sede a collaborare.

Lei è originario di terre in cui la Lega ha oggi più o meno gli stessi voti che nella prima repubblica prendeva la Dc. Da sacerdote più che da segretario di Stato, cosa pensa di questa metamorfosi elettorale?

Non entro in merito alle scelte elettorali della gente della mia regione. L’unica mia preoccupazione è che non vengano meno quei principi di solidarietà e attenzione ai bisogni altrui che hanno sempre caratterizzato le popolazioni venete. Pensiamo al cattolicesimo sociale che in Veneto e Lombardia si è incarnato in opere a favore dei più poveri e più vulnerabili. I tempi cambiano, e cambiano anche le categorie dei poveri. Ma questa dimensione di apertura e di solidarietà non può cambiare. Ho paura che questo possa accadere e mi auguro che non sia così.

Una questione epocale che si trova ad affrontare l’Europa è quella delle migrazioni. Come affrontarla? Come conciliare il dovere morale dell’accoglienza con la virtù politica della prudenza?
Non è facile. La Chiesa deve ricordare le esigenze del Vangelo, i laici devono avere l’autonomia sulle scelte che spettano alla politica. Ma queste ultime devono essere rispettose della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti. Purtroppo su questi temi ci si divide, e le divisioni non portano alle soluzioni migliori. Mi permetto di invitare ad affrontare insieme questi fenomeni, ad essere costruttivi evitando l’esasperazione dei toni, che non serve. La comunità mondiale ha cercato di dare delle risposte concrete con il Global Compact. La collaborazione internazionale è un metodo indispensabile.

Per questo la Chiesa crede molto nella diplomazia multilaterale…
Esattamente. E a testimonianza di ciò vorrei sottolineare come nella riforma della Curia romana in cantiere sia prevista la presenza di un sottosegretario dell’attuale sezione per i rapporti con gli Stati, con competenze sul multilaterale. I problemi globali vanno affrontati in maniera globale. Ed è per questo che insistiamo molto sul multilateralismo. E, mi spiace dirlo, non siamo rimasti in molti a farlo.

Cosa dobbiamo aspettarci dal Sinodo sull’Amazzonia?
È un Sinodo pastorale. Qualcuno ha manifestato preoccupazione sulla natura politica di questa assise in riferimento alla sovranità sull’Amazzonia. Da parte della Santa Sede è stato ribadito il carattere ecclesiale e pastorale dell’evento. Ciò tuttavia non significa ignorare la realtà concreta, i problemi che vivono le popolazioni di quella regione e il fatto che l’Amazzonia è anche un bene dell’umanità e come tale va preservato.

Le notizie che vengono dal Venezuela sono sempre preoccupanti. Cosa sta facendo la Santa Sede per quel Paese?
Dalle notizie provenienti da fonti attendibili emerge il quadro di un dramma che continua e si approfondisce, nell’incapacità di trovare risposte efficaci che invertano la tendenza. A mio parere la soluzione deve essere essenzialmente politica. Ci sono diverse proposte sul tavolo - penso ad esempio ai negoziati patrocinati dalla Norvegia -, ma hanno bisogno di saggezza, di coraggio e di volontà di cercare il vero bene della popolazione da parte degli attori coinvolti. La Santa Sede non cessa di accompagnare il Paese appoggiando tutte le iniziative capaci di favorire sviluppi positivi.

La terza edizione della Festa di Avvenire

La terza edizione della Festa di Avvenire promossa in Basilicata con la collaborazione della Conferenza episcopale lucana e dell’Associazione Giovane Europa si è chiusa a Potenza con la prestigiosa presenza del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Prima dell’evento ospitato nel "Teatro F. Stabile" del capoluogo lucano il porporato a presieduto la celebrazione eucaristica per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo nella cattedrale intitolata a San Gerardo. Hanno concelebrato l’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo Salvatore Ligorio con l’emerito Agostino Superbo. Presenti il sindaco Mario Guarente e il prefetto Annunziato Vardé. Dal 25 al 28 giugno la Festa si è svolta a Matera, contribuendo così ad ampliare il già ricco programma di eventi di questi mesi previsto nella Capitale europea della cultura 2019. Le serate, alla presenza del direttore Marco Tarquinio, hanno visto sfilare ospiti di rilievo come il segretario generale della Cei, il vescovo Stefano Russo, il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan, l’ex premier Romano Prodi, il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli e il presidente del Gruppo ospedaliero San Donato, Paolo Rotelli.

La visita del cardinale a Potenza

La visita del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin di sabato a Potenza per la chiusura della Festa di Avvenire ha avuto una appendice lucana domenica. Nella diocesi di Tursi-Lagonegro ha incontrato il vescovo Vincenzo Carmine Orofino e ha visitato il Santuario mariano di Anglona dove ha salutato alcuni ospiti della Casa Alloggio per malati psichiatrici di Vallina di Calvera (Pz), la prima struttura con cui, nel 1999, è iniziata l’attività della Cooperativa Auxilium. In serata poi, antivigilia della grande Festa patronale della Madonna della Bruna del 2 luglio, ha presieduto la celebrazione eucaristica nella cattedrale di Matera con grande concorso di popolo; ha concelebrato l’arcivescovo di Matera-Irsina Antonio Giuseppe Caiazzo.

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