mercoledì 18 ottobre 2023
Il diplomatico presso la Santa Sede, Raphael Schutz commenta la posizione del Vaticano su diritto alla difesa e ostaggi liberi. «Necessario sradicare Hamas»
Raphael Schutz, ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede

Raphael Schutz, ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Israele ha molto apprezzato alcune prese di posizione espresse dalla Santa Sede. Anche se auspica che da parte di tutta la comunità internazionale si manifesti una maggiore empatia per le atrocità sofferte dalla sua popolazione con gli attacchi di Hamas. Lo spiega ad "Avvenire" l’ambasciatore israeliano in Vaticano Raphael Schutz, ribadendo che, a parere suo e del governo che rappresenta, non si potrà parlare di de escalation e di pace prima che non venga “eradicato” il “male” rappresentato da Hamas.

Ambasciatore Schutz, come state vivendo questo momento drammatico?

Al momento, inevitabilmente, siamo concentrati sulla guerra in corso, un conflitto drammatico che la Santa Sede sta seguendo con grande attenzione, come è naturale che sia.

Venerdì scorso lei ha ricevuto la visita del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin che è venuto a portare la solidarietà della Santa Sede per il “disumano” attacco subito da Israele ad opera di Hamas…

È stato un gesto molto apprezzato da parte nostra, insieme alla netta condanna di Hamas da lui pronunciata. Come apprezzate sono state le parole di papa Francesco due giorni prima, nell’udienza del mercoledì, quando ha ribadito che Israele “ha diritto a difendersi” e ha chiesto l’immediata liberazione degli ostaggi. Altrettanto apprezzata è stata la disponibilità manifestata dal cardinale patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa di offrirsi come ostaggio al posto dei bambini rapiti da Hamas. I leader occidentali – penso al presidente Joe Biden, al primo ministro Rishi Sunak, al cancelliere Olaf Scholz, al presidente Emmanuel Macron, alla premier Giorgia Meloni – hanno espresso una grande empatia nei confronti di Israele per l’attacco subito. Una grande empatia che vorremmo ci fosse da parte di tutta la comunità internazionale.

In che senso?

Faccio un esempio. Notiamo che la parola chiave in diversi interventi rimane sempre e solo Gaza. Non vengono mai citate le cittadine e i villaggi israeliani in cui la maggior parte degli abitanti sono stati uccisi o rapiti, così come non viene menzionata la crisi umanitaria che Israele sta attraversando. Mezzo milione di israeliani (il 5% dell’intera popolazione) sono rifugiati domestici. Inoltre, non dimentichiamo che i civili israeliani sono costantemente sottoposti ad attacchi missilistici sia dal nord che dal sud. Questo ci addolora.

Cosa chiedete in particolare alla comunità internazionale?

Quello che auspichiamo è una maggiore comprensione. Il nostro obiettivo è eradicare la presenza militare di Hamas nella striscia di Gaza. Per questo ci vorrà tempo. Il che vuol dire che, a nostro modo di vedere, non è ora il momento di parlare di “de escalation” o di pace. La pace sarà possibile solo quando il male verrà eradicato. Nel 1945 nessuno ha parlato di de escalation o di pace prima della liberazione dell’Europa. Hamas è come Hitler, vuole sterminare tutti gli ebrei e, per raggiungere i suoi obiettivi, sacrifica anche i suoi civili usandoli come scudi umani, si differenzia solo perché, fortunatamente, ha meno potenza militare della Germania nazista.

Comunque l’interlocuzione con la Santa Sede procede.

Certamente. Siamo in costante e fluido contatto con gli officiali della Seconda sezione della Segreteria di Stato, il “ministero degli esteri” vaticano. Venerdì scorso ho avuto modo di parlare anche con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. Per metà novembre era prevista una sua visita in Israele. Questo viaggio era stato programmato prima degli ultimi eventi. Speriamo si possa realizzare. Anche se ora realmente non so cosa accadrà.

© riproduzione riservata

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI