domenica 12 marzo 2017
Papa Francesco raccontato dal prete delle baraccopoli argentine. «E' la nostra guida spirituale»
José Maria Di Paolo, ossia «padre Pepe»

José Maria Di Paolo, ossia «padre Pepe»

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Lo ha citato come esempio nell’incontro con i parroci di Roma, dieci giorni fa. In quell’occasione papa Francesco ha ricordato le parole di un giovane tossicodipendente di Buenos Aires. L’uomo definiva padre Pepe un «grande» perché sapeva stargli accanto. Il sacerdote non si sostituiva a lui, ma neppure lo lasciava solo. José María Di Paola, meglio noto come “padre Pepe”, parroco della baraccopoli de La Carcova, si emoziona quando ricorda la “menzione pontificia”. «Me lo hanno detto...», sussurra. Poi recupera il tono serio e il consueto plurale: «È stato un grande onore per tutti noi curas villeros». Cioè “preti delle villas”, gli slum argentini. Ce ne sono 56 nella sola capitale e 650 nella cintura urbana. Là, nei luoghi emblema delle periferie bergogliane, un pugno di sacerdoti testimonia il Vangelo ogni giorno vivendo tra gli “scartati” dell’economia che uccide. I curas villeros esistono dalla fine degli anni Sessanta quando, sull’onda del Concilio Vaticano II, preti e laici decisero di incarnare la fede nella condivisione con gli ultimi. È stato, però, 30 anni dopo, l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, a dare nuovo slancio al gruppo. Ad aiutarlo a comprendere i segni dei tempi. E a operare quella “rivoluzione copernicana” nella geografia sociale ed esistenziale in cui le villas diventano, al contempo, osservatorio privilegiato sul mondo, nonché scuola di umanità e di fede.

«Per questo, è il nostro padre spirituale. Lo è stato e lo è tuttora, solo sta un po’ più lontano», racconta ad Avvenire padre Pepe. Domani saranno trascorsi quattro anni da quando il sacerdote porteño (di Buenos Aires) ha sentito dalla tv l’annuncio dell’elezione al soglio pontificio del “suo” Bergoglio. «Non ho fatto nemmeno in tempo a capire il nome che sono stato travolto dalla gente della comunità. Chi bussava, chi mi chiamava al telefono. Non sapevano come contenere la gioia: l’uomo che non perdeva occasione per venire a visitarli era Papa». Da quell’incredibile 13 marzo, padre Pepe ha incontrato Francesco a Roma varie volte. «È lo stesso di sempre – afferma il prete villero –. Semplice, disponibile, intelligente e ironico. Certo, a Buenos Aires, era molto più timido, riservato. Ora è un comunicatore straordinario. Pochi leader mondiali sono al suo livello. Questa è la prova che lo Spirito Santo lo ha scelto. E lo accompagna, potenziandone al massimo le capacità ». Padre Pepe confessa di aver imparato molto dall’attuale Papa. «Mi ha insegnato a essere costante nel lavoro. A non fermarmi all’immediato, a cercare di guardare i fatti in prospettiva. A condurre una vita austera. E a pregare, perché senza Dio l’uomo non dà mai il meglio di se stesso. Non l’ha trasmesso solo a me. Tali caratteristiche sono ormai patrimonio comune dell’équipe dei sacerdoti villeros».

Tra questi e l’allora vescovo s’era creata un’osmosi evangelica in cui i primi portavano al pastore la sfida della periferia. E lui la illuminava con il fuoco della Parola incarnata. «Ci è stato molto vicino. Non solo nei momenti di crisi, benché ce ne siano stati parecchi: dalle minacce di morte dei narcos nei miei confronti alle fasi di dubbio, di scoraggiamento… A volte ci pungolava con nuove idee. Altre si faceva da parte per lasciarci sperimentare. E c’era sempre. Sapevamo di non camminare soli: la Chiesa porteña accompagnava ogni nostro passo». «Da Bergoglio abbiamo imparato, infine, a non cadere nella trappola delle ideologie o della politica di parte», ci tiene ad aggiungere padre Pepe. Un’implicita risposta a quanti accusano Francesco di eccessivo “sbilanciamento” sulla sfera sociale o di fare politica. «Mi sembra una critica un po’ marxista – scherza, ma non troppo, il sacerdote –. Chi lo afferma pensa, come il filosofo tedesco, che la religione sia l’oppio dei popoli, un racconto rassicurante per alienare le persone. Il cristianesimo non fugge la realtà: ci mostra, però, che la fede può e deve trasformarla. Il Papa non fa che seguire il Vangelo. E questo, spesso, dà fastidio».

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