sabato 15 novembre 2014
Pubblichiamo un breve estratto del volume della giornalista di Avvenire, Lucia Capuzzi 'Rosa dei due mondi. La storia della nonna di papa Francesco'. Il libro è edito da San Paolo.
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«Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo/ teste quadre, puls ferm e fìdic san/a parlo poc ma a san cosa ch’a diso/bele ch’a marcio adasi, a van luntan/Sarajé, müradur e sternighin,/minör e campagnin, sarun e fré:/s’aj pias gargarisé quaic buta ed vin,/j’é gnün ch’a-j bagna el nas per travajé». «Dritti e sinceri, sono veramente come assomigliano/ teste quadre, polso fermo e fegato sano./ Parlano poco, ma sanno cosa dicono/E anche se camminano adagio, vanno lontano./ Fabbri, muratori, selciatori,/ minatori e contadini, carradori e fabbri ferrai,/ anche se a loro piace gargarizzare qualche bottiglia di vino,/ non c’è nessuno che li superi nel lavoro». Non solo la conserva nel breviario, insieme al testamento di Rosa. Papa Francesco conosce a memoria questa prima strofa e il resto della lunga poesia di Nino Costa, il canto dei migranti piemontesi, il loro grido di dolore e di speranza. Ad insegnargliela sono stati i nonni durante l’infanzia a Flores. L’Italia dunque è da sempre parte della sfera più intima di Francesco. Che non nasconde la sua ammirazione per Alessandro Manzoni, Dante, i film neorealisti, Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Più ancora dell’ambito culturale, Jorge Mario Bergoglio ha interiorizzato, fin dalla tenera età, il senso di sradicamento, ansia di costruire, fiducia e voglia di futuro che ha accompagnato l’esperienza degli italiani al Plata. Un tratto che lo rende profondamente argentino, il Paese dei migranti. E porteño, cioè di Buenos Aires, la città cerniera tra Vecchio e Nuovo Mondo. (…) A chiunque vi nasca, vi cresca, vi risieda un tempo o una vita, Buenos Aires resta «inchiodata nel pezzo più inaccessibile del cuore», afferma il famoso tango di Manuel Romero. Francesco, che adora questo genere musicale, lo sa bene. Come sa, però, che Buenos Aires non è solo un luogo fisico. È la stratificazione di molti passati. Dai popoli precolombiani alla Conquista. Dalla colonia all’indipendenza. Dai gauchos all’immigrazione di massa e alla reinvenzione dell’identità nazionale. Dalla cronica instabilità politica novecentesca alla brutalità dell’ultima dittatura militare. E ognuno di questi passati ha contribuito a creare un presente che anticipa il domani senza scrollarsi di dosso lo ieri. Tra reminiscenze europee, brutali diseguaglianze, nuove opportunità economiche, schiavitù e sconfinata libertà, Buenos Aires è un frammento d’Europa incuneato nell’estremità australe del Continente americano ma anche una tessera imprescindibile di quest’ultimo. È Vecchio e Nuovo Mondo, insieme, senza identificarsi né con l’uno né con l’altro. Forse per questo è una cartina di tornasole di entrambi. Il primo Papa latinoamericano e argentino della storia viene da là. E pertanto anche da qua. Consegna a Roma la tradizione di una Chiesa latinoamericana che ha saputo far fruttare come poche i 'semi' gettati dal Concilio Vaticano II. Le Conferenze dell’episcopato latinoamericano di Medellín e Puebla, la piena maturazione dell’opzione preferenziale per i poveri - intesa non come scelta di classe in opposizione ai ricchi ma come punto di vista privilegiato sulla realtà -, il fiorire di molteplici esperienze pastorali nelle periferie della società, formano il patrimonio di inestimabile valore che «il Papa della fine del mondo » ha portato nel cuore della cattolicità. Nella sua formazione riecheggiano le vicende - a volte controverse ma non per questo meno fondamentali e ricche di spunti profetici - dei sacerdoti immersi nelle baraccopoli fin dagli anni Sessanta, dei laici e religiosi impegnati, oggi come ieri, al fianco degli indios, dei piccoli contadini sfruttati fino alle moderne lotte di tanti cristiani latinoamericani contro il dilagare del narcotraffico, la tratta di esseri umani, il lavoro schiavo. Francesco, però, possiede nel suo 'Dna culturale' anche la fede schietta, generosa, pragmatica e, al contempo, mistica del cattolicesimo sociale piemontese. La religiosità semplice e profonda di Angela Crema. La generosità accogliente di Cesare Vassallo. La carità disinteressata di suo fratello Nando, il suo senso di giustizia e ansia di libertà.  Chi, credente o no, si ostina a dipingere Jorge Mario Bergoglio come un populista simpatico e ansioso di ridare 'smalto' a un’istituzione in «calo di gradimento» dopo i recenti scandali, ignora o forse vuole farlo - una traiettoria di vita (e di vite) straordinariamente complessa. L’uomo Jorge Mario, il pastore gesuita Bergoglio, il vescovo di Roma Francesco sono il frutto di una storia di fede incarnata nella realtà di 'due mondi' che in lui, finalmente, s’incontrano. Nelle sue parole - tanto vicine e penetranti - l’accento porteño si fonde con le rime di quella Rassa Nostrana che da bambino gli recitava nonna Rosa.
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