lunedì 21 dicembre 2020
Si è spento stamattina il sacerdote che, sin dalla giovinezza, aderì al movimento di Cl. Fu tra i più stretti collaboratori di don Giussani, poi vicino a don Julián Carrón.
Una immagine recente di don Fabio Baroncini (a sinistra) in compagnia del cardinale Angelo Scola

Una immagine recente di don Fabio Baroncini (a sinistra) in compagnia del cardinale Angelo Scola - Per gentile concessione di "Tempi"

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È morto stamane all’alba a Lecco, al termine di una lunga malattia, don Fabio Baroncini, figura di spicco di Comunione e liberazione, amico e a lungo stretto collaboratore di don Luigi Giussani e poi di don Julián Carrón.

Aveva 78 anni, era nato a Morbegno nel 1942 ed era stato ordinato nel 1966. Cresciuto a Lecco, trasferito a Varese e poi per molti anni parroco a Milano a San Martino in Niguarda, lascia in queste città un profondo ricordo in una generazione di ex ragazzi di Cl, che ha educato.

Sempre Baroncini (a sinistra), con Scola (a destra), giovanissimi

Sempre Baroncini (a sinistra), con Scola (a destra), giovanissimi - .

Laureato in teologia dogmatica, fin da ragazzo amico di Angelo Scola, era un appassionato della montagna e particolarmente delle Dolomiti, dove amava condurre in memorabili gite i ragazzi di Gioventù studentesca. Da anni era malato di una severa forma di Parkinson, che lo aveva costretto a una quasi totale immobilità.

La fermezza e la lucidità con cui ha affrontato questa dura prova restano la sua ultima testimonianza a quanti lo hanno conosciuto e amato. Il funerale si svolgerà mercoledì 23 dicembre alle ore 14.30 a Lecco, nella Basilica di San Nicolò.

Il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione don Julián Carrón ha diffuso questo messaggio tramite il sito www.clonline.org.

«Cari amici, questa mattina il nostro carissimo don Fabio è stato chiamato alla casa del Padre, dopo una vita tutta segnata dalla sequela del Suo volto presente nella nostra comunione, dentro la vita della Chiesa che ha servito come sacerdote. Il 'soffio' del Signore lo aveva raggiunto da ragazzo attraverso un suggerimento del suo parroco a cercare un prete di Milano che seguiva gli studenti. Aveva appena quindici anni quando sentì parlare per la prima volta don Giussani, ma ricordò per tutta la vita quell’incontro, tanto fu decisivo per il definirsi della sua personalità: "Ebbi la netta sensazione che fino ad allora il mio essere cristiano avesse limitato la mia umanità, perché chi prendeva meno sul serio il cristianesimo mi appariva più uomo. L’aver incontrato don Giussani ha coinciso con un’esperienza che è stata di pienezza di umanità. Il mio io, finalmente, realizzava la sua umanità".

Don Giussani gli aveva fatto sperimentare una esaltazione della sua ragione nel rapporto con tutto; del primo incontro rimase fissa nella sua memoria una frase: «Panta dokimazete, to kalon katechete (1 Ts 5,21). Vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale». È un impegno che non lo ha mai abbandonato, contagiando chiunque incontrava della sua stessa passione per una fede ragionevole, capace di incontrare e valorizzare tutto ciò che di vero, bello e buono incontrava. In quanti tra di noi abbiamo potuto goderne!

La Resurrezione di Cristo ci fa guardare con certezza il compiersi del suo destino nell’abbraccio di misericordia del Padre.

Domandiamo al Signore che viene di essere come don Fabio figli nel Figlio, per continuare la testimonianza che ci ha dato di un uomo che si è lasciato afferrare da Cristo cedendo alla Sua attrattiva vincente».

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