mercoledì 10 febbraio 2021
La metà delle vittime avanti con gli anni è morta in istituti e Rsa mentre solo il 24% viveva in casa. Il presidente della Pontificia Accademia per la vita: promuovere un’assistenza domiciliare
La stanza degli abbracci in una Rsa di Bollate (Milano)

La stanza degli abbracci in una Rsa di Bollate (Milano) - Ansa

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«La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia»; è il titolo del documento pubblicato ieri dalla Pontificia Accademia per la vita (Pav), d’intesa con il Dicastero per lo sviluppo umano integrale. Il testo vuole essere una riflessione sugli insegnamenti da trarre dalla tragedia causata dalla diffusione del Covid-19, sulle sue conseguenze per l’oggi e per il prossimo futuro delle nostre società.

Riflessioni già avviate dalla Pav con le due Note del 30 marzo 2020 (“Pandemia e fraternità universale”) e del successivo 22 luglio (“L’Humana communitas” nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita”) e approfondite con il testo stilato congiuntamente con il medesimo Dicastero (“Vaccino per tutti: 20 punti per un mondo più giusto e sano”) del 28 dicembre scorso. L’intenzione di questi documenti, come sottolineato dai media vaticani, è quello di «proporre la via della Chiesa, maestra di umanità, a un mondo cambiato dalla pandemia, a donne e uomini alla ricerca di un significato e di una speranza per la loro vita».

Il nuovo testo è stato presentato ieri nella Sala Stampa della Santa Sede dal presidente della Pav, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, e dal segretario del Dicastero, monsignor Bruno-Marie Duffé. Dal Giappone poi è arrivata, via web, la testimonianza della professoressa Etsuo Akiba, docente all’Università di Toyama e accademico ordinario della Pav.

«A tutt’oggi – ha spiegato Paglia – si parla di più di due milioni e trecentomila anziani morti per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni. Una vera e propria “strage di anziani”. E la maggioranza di essi è deceduta negli istituti per anziani». Infatti «i dati di alcuni paesi - ad esempio l’Italia - mostrano che la metà degli anziani vittime da Covid-19 viene dagli istituti e dalle Rsa, mentre solo un 24 per cento del totale dei decessi riguarda gli anziani e i vecchi che vivevano a casa. Insomma, il 50% delle morti è avvenuto tra i circa 300mila ospiti di case di riposo ed Rsa mentre solo il 24% ha colpito i 7 milioni di anziani over 75 che vivono a casa». Il presule poi ha segnalato una ricerca dell’Università di Tel Aviv sui paesi europei che «ha evidenziato la relazione proporzionale diretta tra numero di posti letto nelle Rsa e numero dei morti anziani».

Per Paglia quindi «è urgente ripensare globalmente la prossimità della società verso gli anziani». E in questo quadro «è necessario un serio ripensamento non solo relativamente alle residenze per gli anziani ma per l’intero sistema assistenziale del vasto popolo di anziani che oggi caratterizza tutte le società». Ecco quindi che nel Documento si invoca «un nuovo paradigma di cura», si auspica che si creino le condizioni migliori affinché gli anziani possano restare in famiglia, si chiede di promuovere una «assistenza domiciliare integrata con le cure mediche».

Monsignor Duffé da parte sua ha osservato come «la cultura tecnicista, che pone al centro del pensiero e della vita l’efficacia immediata, ci porta spesso ad abbandonare gli anziani, a considerarli meno produttivi». E ha denunciato anche «la rottura del legame tra le generazioni: bambini e giovani non possono più incontrare gli anziani, tenuti in stretto confinamento». Questo «a volte porta a veri e propri disturbi psichici in alcuni bambini o giovani che hanno bisogno di stare con i loro nonni, così come i nonni hanno bisogno di stare con i loro nipoti, altrimenti moriranno di un altro virus: il dolore». Al contrario, come ripete spesso papa Francesco, il dialogo intergenerazionale va promosso, anche se a volte è «un dialogo che può essere fatto di parole o di silenzio, del disegno offerto da un bambino, che ancora fa sognare l’anziano, o dalla tenerezza dei loro sguardi, che si incrociano e si incoraggiano a vicenda».

Infine la testimonianza della professoressa Akiba che ha posto l’accento sull’indifferenza «dell’opinione pubblica» nipponica «verso la morte degli anziani» avente come sfondo «una grave discriminazione nei confronti dei malati di malattie infettive e anche il divario tra generazioni, causato dall’emergere della visione mononucleare della famiglia dal secondo dopoguerra». Alla base «c’è un’idea di autodeterminazione che deriva da una forte visione individualista». Ma anche in Giappone non mancano segni di speranza. Come il “Toyama day care system”, un progetto per cui persone anziane e bambini portatori di handicap vivono insieme nella tradizionale grande casa giapponese progettata per ospitare le tre generazioni, con il sostegno degli stessi appartenenti alla famiglia e aiutati da personale di supporto.

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