sabato 23 settembre 2023
Le storie dei ragazzi protagonisti degli "Incontri del Mediterraneo" con i vescovi. Simiao Jorge: non lascio la mia Algeria anche se ho la laurea. I giovani italiani: i drammi dei migranti ci chiamano
I giovani degli "Incontri del Mediterraneo" a Marsiglia con il cardinale Jean-Marc Aveline

I giovani degli "Incontri del Mediterraneo" a Marsiglia con il cardinale Jean-Marc Aveline - Gambassi

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«Pensate sia facile lasciare il proprio Paese?». La domanda di Simiao Jorge Nhanale racconta il dramma di chi fugge dall’Africa e sgombra il campo dalle illazioni costruite in Europa contro lo “straniero che invade”, come ripete certa politica. Ha 26 anni, parla sei lingue, sta frequentando un master in sicurezza informatica. E ha scelto di restare nella sua terra: l’Algeria. «Cristiano in una nazione a maggioranza musulmana», tiene a far sapere. La sua testimonianza è di quelle che toccano i protagonisti degli “Incontri del Mediterraneo” a Marsiglia. Vescovi e giovani insieme. In un confronto schietto. E sabato mattina insieme di fronte a papa Francesco.

Simiao Jorge Nhanale, originario dell'Algeria, che ha scelto di restare nel suo Paese anche se è laureato e parla sei lingue

Simiao Jorge Nhanale, originario dell'Algeria, che ha scelto di restare nel suo Paese anche se è laureato e parla sei lingue - Gambassi

«Rimango in Maghreb perché amo il mio Paese, perché lì ho la mia famiglia e gli amici - afferma Simiao Jorge -. Tanti coetanei sentono che il proprio futuro debba essere in Stati ben più sviluppati, come la Francia, e decidono di partire. Sono consapevole che il sistema economico dell’Algeria non è strutturato come quelli occidentali. Per questo ripeto: aiutateci a far crescere il Paese». È ciò che direbbe anche al Papa. «Tutti facciamo parte dell’unica famiglia umana. Sosteniamoci gli uni con gli altri. E, se soprattutto qualcuno è più in difficoltà, tendiamoci la mano con slancio». Confida di essere orgoglioso della sua fede. Vissuta anche come volontario nella Basilica di Sant’Agostino ad Annaba, l’ex Ippona dove il padre della Chiesa era stato vescovo. «Non è sempre facile ma è bello. Molti musulmani mi dicono: “Non avevo mai incontrato un cristiano prima di conoscerti”. E mi interrogano su ciò in cui credo. Mi emoziono ogni volta che accade».

Alberto Mannone e Giorgia Basile, due dei giovani italiani agli 'Incontri del Mediterraneo' a Marsiglia

Alberto Mannone e Giorgia Basile, due dei giovani italiani agli "Incontri del Mediterraneo" a Marsiglia - Gambassi

I migranti e le rotte nel Mediterraneo segnano le giornate-laboratorio in Francia. «Noi italiani siamo stati sollecitati a spiegare gli sbarchi a Lampedusa e il nostro approccio sulla gestione dei flussi», racconta Giorgia Basile, inviata dalla Cei a Marsiglia. «Soprattutto, però, abbiamo pregato insieme per quanti mettono a rischio la vita pur di attraversare il mare e in molti casi la perdono», aggiunge. Romana, 33 anni, è una scout. «Il Mediterraneo che noi giovani abbiamo presentato ai vescovi è riassunto nel rosone della Basilica della Madonna della Guardia qui a Marsiglia. Si vede una barca che solca le onde. Ecco, quella barca dice che il Mediterraneo unisce culture, tradizioni, popoli. Ma rimanda anche ai drammi che persino in questi giorni si consumano in mezzo al mare». Al Papa verrà consegnato un documento scaturito dal lavoro congiunto di pastori e ragazzi. «Nei vescovi abbiamo visto una grande apertura - osserva -. Desiderosi di ascoltarci e di sapere che cosa pensiamo».

I giovani italiani agli 'Incontri del Mediterraneo' a Marsiglia con il cardinale Jean-Marc Aveline

I giovani italiani agli "Incontri del Mediterraneo" a Marsiglia con il cardinale Jean-Marc Aveline - Gambassi

Giorgia è impegnata nel progetto Policoro. Come Alberto Mannone, 31 anni, di Palermo, anche lui rappresentante “under 40” della Penisola. «Abbiamo presentato anche il nostro percorso di sostegno alle attività imprenditoriali giovanili. Le fatiche ci sono pure in Italia». Ma ben diverse rispetto a quelle di chi vive lungo la sponda sud del Mediterraneo. «Mi ha toccato - continua Alberto - la testimonianza di George della Guinea. Non se ne vuole andare dalla sua terra. Ma ha confessato la sua rabbia. “Perché non si fa niente per aiutarci a risolvere i nostri problemi?”, ripeteva». A casa Alberto porterà soprattutto una parola: dialogo. «Abbiamo vissuto giornate di fraternità e amicizia da cui è emersa con forza l’urgenza del dialogo. È la risposta concreta e necessaria alle paure e ai conflitti piccoli o grandi che segnano le nostre città ma anche che innescano le guerre. E come giovani abbiamo chiesto di far leva sull’educazione: cominciamo dalla scuola».



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