
La preghiera è scuola di altruismo - ICP
A guardarci indietro, quasi tutti diremmo la stessa cosa: la gioia più grande l’abbiamo provata quando siamo riusciti a fare felici gli altri. Questo perché l’uomo è un animale sociale la cui vita trova senso nel donarsi, nello spendersi per chi condivide con lui un tratto del proprio cammino. Vale per ogni dimensione del nostro essere, a cominciare dalla vita dello spirito. E più si sale in alto nell’ideale scala che unisce terra e cielo e maggiore risulta l’attenzione agli ultimi, ai poveri, ai dimenticati. Amare, infatti, significa sentire forte la chiamata a uscire da sé stessi per donare vita bella, privilegiando in particolare chi non potrà contraccambiare, perché deluso, incattivito dalle sconfitte, incapace di uscire dal recinto del proprio egoismo. Lo chiede in questa preghiera Raoul Follereau (1903-1977) l’apostolo della lotta contro la lebbra: Signore insegnaci ad amare anzitutto quelli che nessuno ama.
«Insegnaci, Signore, a non amare solo noi stessi,
a non amare soltanto i nostri cari,
a non amare soltanto quelli che ci amano.
Insegnaci a pensare agli altri,
ad amare anzitutto quelli che nessuno ama.
Concedici la grazia di capire che in ogni istante,
mentre noi viviamo una vita
troppo felice e protetta da te,
ci sono milioni di esseri umani,
che pure sono tuoi figli e nostri fratelli,
che muoiono di fame
senza aver meritato di morire di fame,
che muoiono di freddo
senza aver meritato di morire di freddo.
Signore abbi pietà di tutti i poveri del mondo;
e non permettere più, o Signore,
che viviamo felici da soli.
Facci sentire l'angoscia della miseria universale
e liberaci dal nostro egoismo».